Lettera aperta a Umberto Eco di Andrea Barbato

Lettera aperta a Umberto Eco Nomi e Cognomi di Andrea Barbato Lettera aperta a Umberto Eco Caro Eco, l'orse l'universo è davvero una conferenza stampa, come hai detto brillantemente a Milano a metà aprile, per ricordarci che oggi molto spesso si producono fatti per produrre notizie. Non ho ascoltato direttamente la tua relazione alla Casa della Cultura, ma ne ho sotto gli occhi il testo. Non voglio confutarlo, prima di tutto perché non ne avrei l'autorità scientifica, e in secondo luogo perché quasi tutto quello che hai detto è acuto e condivisibile. Per pagine e pagine ci hai spiegato, soprattutto a noi che dell'informazione abbiamo fatto un mestiere, che il pubblico è cambiato, che la società è diversa, che i gesti sono ormai quasi sempre un messaggio, che il silenzio sarebbe un rimedio funesto, che l'ideologia tradizionale del racconto della realtà è in crisi proprio perché qualcuno, sempre più spesso, produce dei fatti solo per produrre la notizia dei fatti stessi, cioè produce notizie per mezzo di notizie. E' un dramma professionale che viviamo ogni giorno, e nel quale è facile riconoscersi in pieno. Caro Umberto, verso la fine della tua diagnosi così sapientemente diagnostica, tu indichi anche i possibili rimedi. E per fortuna non sei per nulla attratto dalla tentazione del silenzio, che invece sembra affascinare un altro scienziato, Franco Ferrarotti. Il quale, in un suo elzeviro che vuol essere un piccolo prontuario su «come isolare i terroristi», confessa che se il sedici marzo fosse stato presidente del Consiglio, avrebbe decretato un black-out assoluto. Ferrarotti non sembra tenere in gran conto quella libertà di stampa che permette proprio a lui di cominciare il suo articolo con queste solenni e tremende parole: «Il Papa ha sbagliato». Ma non m'inquieta la sua indifferenza verso un astratto diritto liberale, chiaramente in crisi, e che potrebbe essere rivendicato solo in una società dove tutti i diritti liberali avessero eguale cittadinanza. M'inquieta che il sociologo non capisca quali sinistri effetti avrebbe avuto il suo provvedimento se egli fosse stato l'inquilino di palazzo Chigi, cosa che per fortuna non è avvenuta. Come non si accorge che in tal modo si sarebbe avuta proprio quella regressione verso «forme magiche e irrazionali» che egli altrove denuncia. Come le voci, i sospetti, gli allarmi incontrollati ci avrebbero presto ridotti ad una giungla. E come invece solo l'ininterrotta «parlerie», la riflessione conti¬ nua, la meditazione a voce alta ci abbiano impedito questo regresso verso i fantasmi e le ombre, pur a prezzo di qualche inevitabile caduta di tono. Non opponiamo a Ferrarotti solo antiche virtù di società forti, come la tolleranza, il rispetto dell'espressione altrui, il senso della cultura critica: gli opponiamo la nocivita della sua terapia. Sono lieto, caro Eco, che tu non abbia scelto questa via teorica. Del resto, come avresti potuto, proprio tu che sei il profeta delle comunicazioni sociali, tu che hai cresimato le «radio di movimento», quelle che creavano i fatti raccontandoli? Ma verso la fine della tua relazione, non ti sottrai neppure tu al dovere di suggerire una soluzione. E qui mi permetto di dissentire. Qua! è la tua cura per schivare i «fatti notizia»? Mi perdonerai un riassunto infedele. Tu dici che occorre rinunciare del tutto all'illusione dell'oggettività. Ma soprattutto occorre rinunciare all'anormale, alla notizia insolita, al racconto dell'evento straordinario, e «interessare i lettori ai grandi fatti ripetitivi e collettivi che costituiscono la "norma"». Mio Dio, se questo è un attacco allo scandalismo, lo sottoscrivo; se è uno dei tuoi paradossi, lo ammiro. Ma se è una nuova teoria del messaggio, ne ho paura. Ironia per ironia, vogliamo provare a calarlo nella vita di un giornale? I tedeschi invadono la Polonia, e tutti gli inviati del «Corriere» si precipitano in Svizzera o in Polinesia. Ma c'è poco da scherzare, c'è un nocciolo duro nella tua relazione. E' il mito della normalità, della società senza eventi, della realtà prevedibile e preordinata. Alla quale questo nuovo giornalista dovrebbe poi finalmente prestare la propria militanza di interprete e di commentatore. Una visione etica, una missione quasi predicatoria, una funzione sociale, una democrazia senza conflitti neppure benefici. Più che l'ordine dei giornalisti, Eco, tu fondi un ordine monastico. O sei la regina che distrugge gli specchi per non vedersi brutta? Comincia una stagione in cui dovremo forse difendere le libertà su due fronti: quello delle revolverate da una parte, e quello dei rimedi peggiori dei mali, delle resipiscenze, dei protettori soffocanti, del «ve lo avevo detto io». Non posso arruolarti in questa schiera, so che non ne fai parte. Non vorrei però che, dopo aver avuto tasse scandinave, innefficienze levantine e inflazione sudamericana, avessimo presto anche libertà bulgare.

Persone citate: Eco, Ferrarotti, Franco Ferrarotti, Umberto Eco

Luoghi citati: Milano, Nomi, Polonia, Svizzera