L'Italia della ragione e della buona volontà di Luigi Firpo

L'Italia della ragione e della buona volontà NEL NUOVO LIBRO DI SPADOLINI L'Italia della ragione e della buona volontà Alla nuova edizione o ristampa che mi auguro prossima del nuovo libro di Spadolini, L'Italia della ragione - Lotta politica e cultura nel Novecento (ed. Le Monnier) presentato da Luigi Firpo su La Stampa del 21 aprile, vorrei fosse aggiunto il sottotitolo « Confortatorio per gl'italiani d'oggi »: risposta anche agli scettici che non sanno che ripetere — il mondo è andato sempre così —, partendo dalla natura umana che è veramente sempre negl'istinti fondamentali la medesima, e trascurando quanto possa su di essa la pressione delle idee dominanti, i limiti che ai cattivi istinti può opporre la coscienza della collettività. Confortatorio, per ricordare che non ai tempi di Omero e di Valmichi, ma nel nostro secolo, hanno imperato, occupato cariche di governo, diretto l'opinione pubblica, realizzato riforme sociali, dato un avvio alla storia nazionale, uomini della ragione, non dell'istinto, e neppure del sogno o dell'utopia. Esortazione agl'italiani di scegliere, quali siano le loro direttive, non demagoghi, non oratori, ma uomini che sappiano quel che vogliono, dopo essersi chiesti ed avere riflettuto su ciò che sia possibile conseguire, che abbiano piani concreti. Scritto in quel bellissimo italiano, puro, di un fiorentino che non toscaneggia mai, proprio a Spadolini, il libro che raccoglie, talora rivisti e rifusi, saggi di Spadolini degli ultimi sette anni, nelle sue sei parti (« Giolittiana », « Albertini e Gobetti », «L'ultimo cinquantennio», « Laici e cattolici », « Frammenti di cultura laica », « Questa Repubblica ») ci fa sfilare dinanzi uomini diversi, spesso di opposte idee, molti in antitesi tra loro, vincitori e sconfitti, ma tutti uomini della ragione; di quella ragione il cui fine si può scorgere nelle parole di Bossuet, citate da Spadolini nella introduzione: «la ragione, in quanto ci allontana dal vero male dell'uomo che è il peccato, si chiama coscienza ». Gli sconfitti, almeno nelle contingenze della loro vita mortale — che illumineranno poi una generazione, daranno quanto di meglio l'Italia esprime durante il fascismo ed all'inizio della Repubblica — sono molto più numerosi, quasi la totalità. Il libro andrebbe letto e riletto, anche per notizie poco diffuse, per rievocare uomini se non dimenticati, ricordati solo in cerchie relativamente ristrette, poco presenti alla massa dei lettori di quotidiani. Ricordo così la registrazione dei colloqui telefonici tra Albertini e Giovanni Amendola, corrispondente romano del Corriere, tra il settembre del '19 ed il giugno del '20, o la corrispondenza giovanile, tra il 1894 ed il 1898, tra Albertini ostile al despotismo Crispino, che già guarda ad una Italia europea, e Nitri, già in cattedra, che ha lanciato il quindicinale La riforma sociale, di cui poi Einaudi sarà a lungo direttore. E tra i personaggi le pagine dedicate a Carlo Sforza, le molte rievocatrici di due giolittiani, Luigi Ambrosini e Luigi Salvatorelli. E quanti, fuori della cerchia di coloro che si occupano dei rapporti tra Chiesa e Stato, ricordano ancora le diverse posizioni di Ruffini e Scaduto? Quanti la figura di Domenico Giuliotti, lo scrittore cattolico ultra di destra, il Leon Bloy italiano, che ebbe il suo momento di popolarità con l'Ora di Barabba? Figura veramente singolare nel cattolicesimo italiano, quasi dimenticato, ma di cui un occhio attento ritrova però la traccia in molti degl'intellettuali cattolici d'oggi. E nei « Frammenti di cultura laica », come non ricordare le pagine, in cui si manifesta la sensibilità di Spadolini, dedicate alla casa ed alla tomba di Garibaldi a Caprera, alle dimore di Croce, di D'Annunzio, di Pascoli (tre case, tre stili), ad Ennio Flaiano, redattore del Corriere, scoperto come romanziere da Longanesi, ma che è tutto nel suo Taccuino, con la fedeltà crociana alla ragione, allo spirito critico, il rifiuto ad ogni irrazionalismo. I ricordi giornalistici di Spadolini vanno a Montale redattore del Corriere, semplice ed umile, ma orgoglioso della sua indipendenza, uno dei pochi esemplari di rigore morale del nostro secolo; molte pagine su Missiroli, su quel che lo divideva da Albertini (diversa valutazione del socialismo, diversa posizione di fronte alla questione religiosa) e come appendice uno scritto di Buonaiuti, l'abbozzo di uno studio organico che questi voleva dedicare all'ideale cristiano nell'opera di Oriani, ma che si arresta prima che Oriani sia nominato, e verte sulla teologia agostiniana e la dottrina del peccato originale. Ed ancora l'Io credo di Prezzolini, la domanda di Prezzolini « Che cosa resta di più cristiano in noi che non rigettiamo il peccato e non sentiamo il bisogno della resurrezione? », i suoi rapporti con Gobetti. Ma quel che più coglie nel libro è la capacità di seguire tutti gl'intrecci di correnti, le parentele spirituali tra scrittori che paiono tanto diversi, i rivoli sotterranei e segreti che passano tra movimenti politici di epoche diverse, certe filiazioni insospettate. E pagine che toccano problemi aperti, legislazioni in formazione, come i temi discussi in un convegno d'intellettuali laici e di terza forza nella primavera del 75, ove Spadolini porta ora le sue esperienze di parlamentare e di uomo di Stato che ha dovuto ben conoscere la burocrazia ed il congegno dell'Amministra¬ zione, e da cui emerge un: no allo Stato assistenziale e caritativo, no ad una prospettiva di sud-americanizzazione dell'Italia. Il libro termina con la rievocazione di Pannunzio, e quella di Carlo Casalegno « illuminista senza illusioni; laico senza manicheismi; democratico senza infatuazioni e senza inclinazioni giacobine; tanto credente nella ragione da non conoscere neanche il sentimento della paura fisica»; ed amerei accostare, a questa rievocazione, l'altra pagina, di una vittima, pur essa già lontana nel tempo, vittima delle leggi razziali, quella sull'editore Formiggini, suicida. Nella prossima, spero, edizione, ci saranno certo altre pagine, così sull'ultima tragedia italiana, quella Moro. Ma quando Spadolini parla dell'inizio del secolo, gradirei anche evocasse figure minori, maestri che davano vita ad educatorii, cui offrivano gratuitamente la loro opera, le iniziative contro l'analfabetismo, la lotta alla malaria, l'opera svolta nel Mezzogiorno e nell'Agro romano, l'acquedotto pugliese, le biblioteche circolanti, i medici che davano consigli gratuiti sulla maternità e l'igiene dell'infanzia a povere donne radunandole la mattina della domenica, le cattedre ambulanti di agricoltura, Nullo Baldini e le cooperative ravennati, il risveglio del primo decennio che fu pure il tempo di quelli che soglio chiamare i santi laici. Confortatorio degl'italiani, ho detto, questo libro; che ricorda come, a parte gli eroi, ci sono stati, vicini a noi nel tempo, gl'italiani della ragione e della buona volontà. A. C. J smolo Mario Pannunzio

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