Sinistra e dissenso: quale dialogo? di Paolo Garimberti

Sinistra e dissenso: quale dialogo? DIBATTITI A TORINO CON GRIGORENKO E BUKOVSKIJ Sinistra e dissenso: quale dialogo? L'incomunicabilità è profonda e quasi insanabile - Il confronto ha confermato che la cultura politica della Russia sovietica è molto indietro rispetto a quella dell'Occidente liberal-democratico - Il rischio di politicizzare un problema drammatico ' ; TORINO — La rassegna sul dissenso che viene dall'Est, riproposta dallu Gazzetta del Popolo sulle orme lasciate cinque mesi fa dalla Biennale veneziana, sta dimostrando una volta di più. sin dal primo dibattito, che l'incompatibilità — in termini di anedisi storico-politica e perfino di terminologia — tra la sinistra illuminata italiana e i «dissidenti» j sovietici è profonda e forse j ! ; j j ; i ! insanabile. Il tentativo di ac cost:.re «marxismo, socialismo e dissenso» (tale era il tema della tavola rotonda di mercoledì sera:, per stabilire se mai esista un nesso tra i primi due ed il terzo, ha inesorabilmente confermato che la cultura politica nella Russie sovietica, secolarmente repressa, è indietro di alcuni anni luce rispetto a quella dell'Oc"i:l-:nte liberal-democratico. Cos'i tra Norberto Bobbio, il quale cerca di spiegare che il «dissenso» non è rivolta contro il marxismo in quanto tale, bensì contro il marxismo elevato a «dottrina di Stato», e Vladimir Bukovskij. il quale nega ogni validità al marxismo avendone conosciuto soltanto l'aberrante interpretazione sovietica, non può esservi dialogo politico, ma soltanto solidarietà ideale e umana. Con la consueta lucidità. Massimo Salvadori. che ha chiuso il giro degli interventi nel dibattito di mercoledì, ha affrontato proprio questo nodo fondamentale de! rapporto tra la sinistra italiana, ed europea in generale, e il dissenso che viarie dall'Est: il rapporto, cioè, tra compatibilità politico-ideologica e solidarietà morale. Dobbiamo appoggiare il «dissenso» soltanto se corrisponde alle nostre idee? A questa domanda, carica di vis polemica verso ? comunisti italiani. Salvadori ha rispo sto con un «no» inequivocabile, anche se. ha detto, «per ipotesi le idee del dissenso fossero le peggiori immaginabili». Perché «il dissenso, in quanto richiesta del di¬ ! ritto alla libertà, va difeso ! al di là del contenuto delle | sue idee, è un problema di scelta e di responsabilità». , L'impostazione di SclvadoI ri è l'unica saggia e realistii ca. nel contempo, per le for\ ze politiche occidentali, invei stite inaspettatamente dal! l'ondata migratoria del «disi sens ». sospinta fuori dai ; confini dell'Urss. con le buo| ne e con le cattive, dopo la ! Conferenza europea di HelI sinki. Le une come gli altri, forze politiche dell'Occidente e «dissidenti», devono cer: care di chiarirsi reciproca' mente le idee, senza nel frattempo interrompere il dialogo o drammatizzarlo con isterie ideologiche. Fenomeno ignoto Per anni c'è stata troppa ignoranza attorno al fenomeno del «dissenso» sovietico perché nessuno, soprattutto nella sinistra occidenI tale e tantomeno nei partiti i comunisti dell'Occidente, si I era preso la briga di studiar| lo a fondo. Il pei, ad esem; pio. ha creduto di cavarsi dall'impaccio denunciando di volta in volta le «misure ani• ministrative» prese contro questo o quel «dissidente». Poi. quasi dì colpo, i «dissidenti» hanno preso a sciamare in Occidente, a portare la loro battaglia, clandestina in ' Russia, nell'ufficialità delle I «tavole rotonde». E c'è stato un generale smarrimento: alcuni hanno reagito, credendo di aver capito tutto, con un'adesione entusiastica: altri con sorpresa, dapprima. . poi con costernazione, infine con una chiusura troppo aprioristica per essere accettabile. La terza emigrazione russa, d'altra parte, sta ancora 1 cercando una propria identità, sparsa ai quattro ungoj Zi del mondo occidentale, pri. va di strumenti, anche Uni guistici. per capire l'Gcciden. te. da un lato, e proporre : dall'altro una propria anali' si 'non dico neppure un \ programma alternativo/ del «modello sovietico». Un cori¬ ze politiche, invece, hall- j retta. Vorrebbero che i to è lottare in Urss, con coraggio ed eroismo anche 'chi è stato a Mosca sa che non c'è retorica in questa parola, per una voltai, contro la repressione del Kgb. sopravvivere ai lager e magari ricominciare a «fare il dissidente», quasi con professionalità. Altro conto è spiegare al sofisticato uditorio occidentale perché l'Urss è un regime totalitario, se e come può cambiare. Le forze politiche occidentali, perfino gli studiosi di scien no fre questi emigrati involontari — magari ritrovatisi, in meno di ventiquattro ore. dal carcere o dal lager in Occidente, come è accaduto a Bukovskij e anche a Solzenicyn — si sintonizzassero immediatamente sulla loro lunghezza d'onda lungo i canali del «marxismo», del «pluralismo», del «totalitarismo», del «riformismo», parole che hanno un senso molto diverso per chi viene da Perni o da Karagandà. se mai ne hanno uno. Allora succede che il «dissenso» incontra entusiastica adesione da parte della destra dello schieramento politico occidentale, e uno schizzinoso atteggiamento di distacco da parte della sinistra /oppure, quella sinistra che lo sostiene lo fa soltanto per contrapporsi ad una altra sinistra, come accade in Italia per la sinistra al di là del pcii. Succede, cioè, che il «dissenso» viene sfruttato a finì di polìtica interna, in Italia, come in Francia. Ed è la cosa peggiore, perché questa adesione o repulsione emotiva non giovano certo a capire. Il problema è senz'altro drammatico per chi cerca di capire senza pregiudizi ideologici e. ancora di pia. per la sinistra, che vuole salvare il marxismo, il socialismo e il «dissenso» ic magari anche l'Urss. come tentano di fare i comunisti italiani/. Dubito che Bukovskij e il generale Petr Grigorenko. n;o-esiliato involontario in tura a dignità di norma stituzionale. là dove fari America e probabilmente al- I ta prima prova di un dibattito occidentale a più voci, abbiano capito fino in fondo l'intervento iniziale di Norberto Bobbio sullo «Stato dottrinale» e lo «Stato confessionale». La «dottrina di Stato», che nell'Urss è il marxismo, equivale ad una «religione di Stato». Nell'uno e nell'altro caso si parla, infatti, di «ortodossi» ed «eretici» e nell'Unione Sovietica questa distinzione è elevata addirit- I co- I artico- j lo 6) si dice che il nucleo \ dello Stato è il partito fon- ! dato sul marxismo ■ lenini- \ smo. Dunque. l'«eresia» del | «dissenso» è volta non contro il marxismo, bensì contro il marxismo elevato a «dottrina di Stato», contro 10 «Stato dottrinario». Ecco che l'interrogativo, posto dal \ «modello sovietico», è perciò se un partito marxista possa ammettere uno «Stato laico»: Bobbio, più che rispon- ; dere. si è limitato a constatare che finora lo «Stato laico» è stato realizzato soltan- ' to nell'ambito delle tradizioni liberal-democratiche occidentali. Quale marxismo La risposta di Petr Grigorenko sì è collocata su un altro piano, il piano di una sofferenza diretta ed indiretta che porta inevitabilmente ad un atteggiamento soltanto negativo: l'«essenza stessa» dei princìpi marxisti-leninisti è totalitaria: i «dissidenti» sovietici, perciò, hanno «messo un punto interrogativo» sul marxismo: vorrebbero discuterne con i marxisti occidentali, ma finora, sono parole di Grigorenko. essi 'compreso il pei) «mi hanno aiutato piuttosto id essere internato negli ospedali psichiatrici». Per Vladimir Bukovskij, il quale ha trascorso nei lager più di un terzo della sua ancor giovane vita, non vi è praticamente un solo marxista in Urss. «Ne ho visti di più in Occidente in un anno e mezzo che in Russia in trent'anni». ha detto con sarcasmo. In Urss, dunque, sarebbero tutti «dissidenti», la maggioranza passivi, pronti a trovare molte giustincazioni al loro silenzio, e una minoranza attivi: «La differenza è che gli attivisti del dis- ] senso non tacciono, non cercano giustificazioni: gli altri I pensano le stesse cose degli attivisti, ma stanno zitti». Per paura del lager, per sfi- '< dacia, o perché credono ot- ' timìsticamente che «il comu- i nismo passerà da solo». Ma. passando dal «particulare» del mondo sovietico al \ generale del mondo occiden- I tale. Bukovskij sbrigativamente ha affermato che non | può esistere un «comunismo buono». Gli è bastato un anno trascorso in Inghilterra per capire che chi non è iscritto a! sindacato non iròva lavoro: in Italia, gli hanno detto, succede di peggio j a chi non accetta la legge dei «sindacati comunisti»: viene licenziato 'testuali parole di ' Bukovskij i. Salvadori. nel suo Intervento, è riuscito a trovare \ la chiave, l'unica possibile, per conciliare posizioni al- j trimcnti inconciliabili. Riti- 1 novando una polemica già sostenuta in passato con i comunisti, Salvadori ha detto che '.'«eurocomunismo» non può limitarsi ad affermare i valori della libertà e ■ dilla democrazia solo entro i le frontiere dell'Europa oc- \ cidentale 'soltanto gli spa- j gnoli sono andati al di là/. | Non si tratta di «sostenere 11 dissenso, bensì il diritto ! al dissenso»: perciò, «è mistificante dire che non si può appoggiare il dissenso perché non si condivide l'idea di questo o quel dissidente». Quando «il dramma del dissenso» suona alla nostra por- ta, ha concluso Salvadori possiamo «uscire dall'imbarazzo dicendo che siamo impegnati ad affrontare la questione delle libertà in casa nostre »? Forse il problema di conciliare solidarietà e comprensione ideologica verso il «dissenso» non si porrebbe ver la sinistra se fossero meditate le parole di Petr Grigorenko. «lo non amo la parola dissenso, ha detto l'anziano generale, la cui solidità fisica non sembra essere stata scalfita dagli anni di ospedale psichiatrico. Noi dissidenti siamo in realtà difensori delle leggi, ci siamo atuonominati difensori di ruelle leggi che il partito non rispetta». E' l'approccio legalitario, molto diffuso tra i cosiddetti «dissidenti» sovietici. E nessuno ha il diritto di contestarlo, perché non si tratta più di una questione ideologica o politica, ma più semplicemente fse così si può direi di una questione di sacrosanta difesa dei diritti civili. Paolo Garimberti Quattro protagonisti della rassegna torinese sul dissenso: Petr Grigorenko, Vladimir Bukovskij, Claude Lefort, Carlos Franqui (Foto « La Stampa » - Carlo Pellegrino)