Uno scrittore ci tratta da naufraghi intelligenti di Guido Ceronetti

Uno scrittore ci tratta da naufraghi intelligenti CHIAROMONTE; SILENZIO E PAROLE Uno scrittore ci tratta da naufraghi intelligenti Un intrico, un folto dove sul buio prevale la luce: dalle raccolte postume dei saggi di Nicola Chiaromonte, da Credere e non credere pubblicato in vita, questa immagine del suo pensiero mi è suggerita. Sono usciti, grazie alla mirabile devozione di Miriam Chiaromonte, un volume in America {The Worm oj Consciotisness) e tre in Italia, degli scritti di Nicola; abbiamo ora Scritti politici e civili (Bompiani 1976), Scritti std Teatro (Einaudi 1976), Silenzio e parole (Rizzoli 1978). La carta è giusta, qualche volta, e attraverso di lei questo amico perduto ci sdigiuna e riscalda ancora. Chiaromonte è un forte Cristoforo che ci fa passare sulle sue spalle a una sponda sicura, e sotto ci sono acque molto cattive. Non ci tratta da bambini santi, ma da naufraghi intelligenti. Deposti su terreno solido, riconosciamo in lui l'amabile, svaporante figura del maestro. Ci sono molti assassini tra noi (assassini del pensiero, per mezzo delle parole, oltre ai numerosi zeloti e criminali armati) ma anche i maestri, prodigiosamente, continuano ad apparire e a sparire, e questi cento anni di demenza trasformatricc e di testa incappucciata ne avranno contati molti, e dai loro avvertimenti ex alto, dalle loro consolazioni incorrotte, la triste faccia umana è obbligata a trasfigurarsi. Come si riconosce un maestro? Dall'impaccio a definirlo, dal suo permanere, anche quando svolga un'attività notissima, uno sconosciuto che si rivelerà nel tempo a poco a poco. Chiaromonte fu, apparentemente, un critico di lettere e di spettacoli, e anche dello spettacolo politico, la guerra e la storia. Quel critico era, in realtà, un maestro, in figura di saggista corsaro tra riviste e giornali. Respiro, sulla sua pagina dura, perché dappertutto circola l'ossigeno morale, e si sente un cuore battere, discrimine per me rigoroso. Dov'è soltanto cultura cerebrale, c'è un sicario, più che un amico; anche una superiore cultura cerebrale non riesce a darmi che una vertigine breve. Ma un pensiero alimentato dal sentimento e dalla passione morale procura quel piacere squisitamente femminile di essere capiti, che tutti gli esseri umani e viventi desiderano provare. Razionalista, questo dice poco. Razionalreligioso, ancora meno. Nicola è un veggente che, per vedere, non va per la via del sogno e del fuori di sé (la sola che permetta di toccare, certo con grandi rischi, l'Assoluto) ma applica la ragione, accettando che al di là del suo potere di stringerla, l'immobile realtà resti insoluta, sfiorata da giudizi chiari e flessibili. Forse il termine esatto, per lui, è una parola per-, duta: veditore. Nicola è un veditore. Una malinconia greca postsocratica, senza chiusure civili, una grecità naturale, d'indole, più che assorbita, gli permette di giudicare da un punto fermo l'enormità del movimento intellettuale e storico contemporaneo, attraverso il teatro e il romanzo, il cinema e il saggio, le ipotesi e i fatti, senza farsi travolgere da nessuna delle sue febbri. Brecht è visto molto bene come predicatore ingegnoso e vacuo, e Sartre in alcune sue famose imposture, ma è molto più difficile misurarsi con un testo di Mallarmé, e in Silenzio e parole c'è un saggio sulla poetica mallarmeana che non lascia dubbi sulla bontà dello scandaglio. Mallarmé è certo lontano dal gusto di Chiaromonte, eppure colpisce l'onesto amore con cui il ctitico ne esplora il fondo: il risultato non è, come capita sovente agli esegeti, di aumentarne l'oscurità. Il buon punto di partenza per filosofare è sempre una certa incredulità che il reale sia reale, il dubbio critico sulla realtà che impedisca subito di idolatrare una materia pensata come illusoria. La sola realtà che ci è data, dice Chiaromonte, è quella dell'ombra. Lavorando in questa realtà d'ombra, svolge la sua teoria del romanzo come atto di fede positiva nella natura e nella società, in un arco tra la fine del XVIII e la prima metà del XX secolo; entrata in crisi questa credenza, il romanzo non poteva che estinguersi. Questa fede estrema c'era, nonostante l'incontro di voragini di pessimismo (Dio mio, Zola!) in quei jeuilletons famosi, e resiste ancora nelle confessioni morbose e satiriche di Svevo, sempre più debolmente nell'acuto giornalismo psicologico di Piovene. Non la vedo più nella formidabile dissoluzione ccliniana (Chiaromonte ignora, se non ne parli altrove. Celine) o in Kafka: infatti Celine e Kafka fanno altro, ironicamente chiamandolo romanzo. Poi agli epigoni del grande ciclo succedono le larve, oggi il romando è Morte che vive in un respiratore, un'impostura industriale. Si pubblicano romanzi come la Disney seguita a rove¬ | sciare nelle edicole di tutto il mondo i suoi Topolini morti. Solo il racconto, forma superiore al contingente, indifferente alla fede o al silenzio, resta vivo e possibile. Uno dei testi più forti e liberatori e 11 teatro politico, nella bellissima raccolta teatrale. Con grande piacere ne stacco questa verità: « Particolarmente sterile è l'idea tuttora dominante e fondamentalmente fanatica secondo la quale il senso della vita umana si esaurisce nella sequela degli eventi storici, cioè in sostanza politici, per cui è sul terreno della lotta politica che si decide il destino dell'umanità ». Nella decomposizione d'anima (del Dio morto) che gonfia e sfigura coi suoi gas il mondo contemporanco, questa idea immonda è uno dei ritmi profondi della morte. Bisogna rinnegarla, con disgusto e con forza. « Lungi dall'essere un contratto, la società appare come il più oscuro di tutti i fatti » (Credere e non credere, p. 101). La Società come una tenebra dolente, un insolubile Enigma, coi suoi delitti e sbattimenti ciechi, sostituisce, in qualche spirito moderno, il principio metafisico del Male — rimosso dalla ragione, non dalla coscienza — e ne consuma le forze. Il fenomeno sociale nella visione di un archetipo e di una predestinazione demiurgica si placa, ma il tragico moderno (come il suo opposto, personaggio dello stesso dramma, l'Ottimismo) recide tutta la realtà che non appare per gustarselo in tutta l'estensione del suo disastro, e per bruciare 11 dentro tutte le sue carte. Perché non cerca spiegazioni al di là? Forse per una paura molto strana: di non soffrire abbastanza. E' un tragico disumano. x Se la vita associata, invece di costituire un'assicurazione contro le forze cieche, appare come | il luogo da cui esse si scatenano, e se l'individuo, invece di trovarvi delle ragioni di sperare, si urta a un destino impersonale, il patto sociale è rotto » {Credere e non credere, p. 124). Ecco un bell'esempio di pensiero tragico; negata la possibilità del patto, resta la realtà d'ombra delle forze cieche scatenate, padrone del campo. Tra barlumi e tormenti, si scopre in Chiaromonte un lento ristabilirsi (la ragione non può essere fulminea) del contatto col Sotterraneo e il Cielo, i due poli del Fato, unica uscita della Società-incubo. Per un'etica di rigore, sfidato dal più oscuro di tutti i falli, l'uomo chiaromontiano vive solo, non riconoscendo a surrogati di assoluto come Nazione, Stato, Partito, nessun potere sul proprio giudizio. Nicola fu, quando significava e costava qualcosa esserlo, antifascista, e non subì mai la tentazione marxista e comunista. Il suo ben meditato e troppo attuale anticomunismo è stato velato con pruderie in occasione dell'uscita dei suoi libri, ma è parte essenziale della sua vita avventurosa e del suo magistero civile. Sapeva che, senza un coerente anticomunismo, c'è antifascismo incoerente, per mancato riconoscimi nto del bifrontismo dell'idolo - izionale e to¬ talitario: il suo rigore non gli avrebbe permesso di rifiutare l'incenso a una faccia per prosternarsi davanti all'altra. Non mettiamo a un Chiaromonte la foglia di fico deVL'anlistalinismo, adesso diventato un diploma di merito. No: era proprio, lucidamente e implacabilmente, anticomunista, e a chi vive di principii diversi da quelli dominanti ricordarlo dà forza. Vedeva nel materialismo dialettico, come Julicn Benda, une idole romantique, un peccato di barbarie, e la repellente nullità del pensiero marxista applicato a tut-1 to, enciclopedico, panico, gli dava una giusta nausea. Un bel giudizio del precipitarsi di tante mosche letterate italiane nell'aceto comunista è da vedere a pagina 288 di Scritti politici e civili: è .'-A '64, sarà ancora più attuale domani. Chi cerca del pensiero non infetto, in Chiaromonte ne troverà. Lì si parla all'uomo, non alle masse. Buona ombra amica, parola forte. Vedeva bene che in questo duro enigma della vita associata contemporanea, sia liberale che totalitaria, tutto tende, con la paura o l'adescamento, ad ammanettare le coscienze; lo scopo « non è tanto il mantenimento dell'ordine esistente quanto la preservazione dell'ortodossia razionalista, egualitaria, tecnologica che lo sostiene » (Silenzio e parole, p. 101). E' questo il ve-1 ro dramma della libertà da capire e soffrire, dopo i sogni del secolo passato e della rivoluzione francese. Non c'è uno scampo collettivo: in questo naufragio non c'è salvezza che per pochi; tutti insieme è una generosità inutile, accresce infruttuosamente il furore e il patire. « L'idea che, con l'accumulare forza e col concentrare una quantità sempre maggiore di potere nelle sue mani, l'uomo non accresce soltanto la sua capacità di far bene, ma anche, fatalmente, per dirla con Tolstoi, la dipendenza non percepibile con i sensi dal potere supremo che regge il mondo, esponendosi con questo di più in più all'errore, alla dismisura, alla follia, e quindi all'inevitabile nemesi, una tale idea è a tutt'oggi estranea all'uomo moderno » (Credere e non credere, p. 70). Dalla scienza dotata di coscienza, come letta in sismografi, la nemesi è stata più volte preannunciata: desolato e insufficiente annuncio, se manca il senso religioso, il raggio metafisico. Oh parlatemi di Nèmesis personificata, viva su un trono astra le, di Fato trascendente, di Dio vivo! « Nèmesis alata, equilibrio della vita! Noi ti cantiamo. Dea Nèmesis, infallibile Vittoria dalle ali tese, che siedi vicino alla Giustizia e porti la Superbia dei mortali al Tartaro! » dice una tarda voce greca, che piacerebbe a Nicola ascoltare. Ignorare Nèmesis è la più grande, la più terribile delle ignoranze umane: quest'uomo che ha detto parole di verità ce lo ricorda con la sua sapienza cordiale, solitario maestro che non si è allontanato: bambini bendati, Nèmesis non è un'irrealtà, viene per tutto, e il suo tempo è in atto. Guido Ceronetti

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