Come è nato il sofferto appello di Paolo VI per la vita di Moro di Giuseppe Fedi

Come è nato il sofferto appello di Paolo VI per la vita di Moro Come è nato il sofferto appello di Paolo VI per la vita di Moro ROMA — «Uomini delle Brigate Rosse, lasciate a me, interprete di tanti vostri concittadini, la speranza che ancora nei vostri animi alberghi un vittorioso sentimento di umanità. Io ne aspetto pregando, e pur sempre amandovi, la prova». Lo scritto del Papa alle Br — letto poco dopo le 10,30 di ieri ai giornalisti dal portavoce pontificio Romeo Panciroli — perché restituiscano «alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l'onorevole Aldo Moro», si conclude con questo auspicio che apre nuovi spazi alla speranza. Per la prima volta il Papa nomina esplicitamente, e in modo straordinariamente semplice e efficace, gli « uomini delle brigate rosse », ai quali si rivolge non con il solenne plurale «majestatis», ma semplicemente con il pronome « io ». Un discorso sofferto — elaborato dal Pontefice nella tarda serata di venerdì — e legato a un esile filo di speranza. Un intervento fatto da Paolo VI proprio in nome di quella legge divina che, pur nella sua infinita misericordia, sa essere altrettanto infinitamente terribile verso chi non rispetta la sacralità della vita. (.«E tutti noi — si legge in un passo della lettera — dobbiamo temere Iddio vindice dei morti senza causa e senza colpa»). Ribadendo la posizione della Santa Sede, il Papa spiega di non avere «alcun mandato» da esercitare nei confronti di Moro e di non essere «legato da alcun interesse privato verso di lui». Il senso è chiaro: si tratta di una conferma inequivocabile che il Vaticano non ha compiuto finora alcun passo diretto. Il concetto viene ripreso nell'articolo di fondo scritto su L'Osservatore Romano (uscito ieri con qualche ora d'anticipo) da Valerio Volpini. «Non spetta a noi — rileva il direttore, — e men che meno in questo momento, di interferire negli intendimenti e nel contenzioso politico se non per quel che per propria natura il politico coincide con i motivi morali di un'intera comunità». La lettera del Papa alle Br riassume in un certo senso le posizioni differenziate del Vaticano, ufficialmente neutrale (non si può cedere dinanzi all'aut-aut di chi, dopo aver colpito al cuore, intenderebbe costringere lo Stato a una resa umiliante e, peggio, sovvertitrice di tutti i valori della democrazia) e di un gruppo di vescovi che, sia pure a titolo personale, hanno gettato il loro peso a favore di quel composito gruppo di intellettuali e politici disposti ad aprire trattative con le Br, in un dialogo che « va al di là delle disposizioni per iniziative umanitarie ». Ma a nessuno sfugge che quello di Paolo VI è qualcosa di più; e il lungo travaglio del Papa può essere compreso compiendo un passo indietro. Il 16 marzo, appena informato della strage di via Fani e del rapimento di Aldo Moro, il Pontefice invia due telegrammi, al cardinale vicario di Roma, Poletti, e alla signora Eleonora Moro, in cui augura che « il deciso impegno di tutti i responsabili possa restituire alla diletta nazione italiana quella tranquillità nell'ordine senza la quale non può aversi convivenza civile ». Tre giorni dopo, parlando ai fedeli in piazza San Pietro durante la benedizione per la Domenica delle Palme, lancia un breve appello: « Preghiamo — dice — per la liberazione dell'onorevole Moro, a noi caro, perché sia restituito ai suoi cari ». Il 30 marzo, avuta notizip ' della lettera attribuita a Moro inviata a Cossiga, in cui si sottolinea che « un preventivo passo della Santa Sede potrebbe essere utile », don Pastore, vice direttore della sala stampa vaticana, dichiara che « il Vaticano non si è mai ritirato quando s'è trattato di compiere azioni umanitarie », Si arriva a domenica 2 aprile: rivolgendosi ai fedeli nell'allocuzione di mezzogiorno, Paolo VI rivolge un nuovo struggente invito alle Br: « Noi non abbiamo alcun particolare indizio sullo stato di fatto; ma noi rivolgiamo tuttavia agli ignoti autori del terrificante disegno un appello vivo e pressante per scongiurarli di dare libertà al prigioniero ». Da allora più nulla di ufficiale, se non le cronache apparse sull'Osservatore Romano, improntate ad un grand* rispetto per l'ordinamento po litico, sociale e civile del Paese, ai diritti e ai. doveri delu Stato e al principio che la salvezza dello Stato è K legge suprema, per cui «siamo servi della legge per essere lìberi ». Nello stesso tempo, il Vaticano, mentre si delineava l'iniziativa di quattordici vescovi a favore della trattativa, riconosceva apertamente "me «ten- tativi di carattere umanitario da una parte e considerazioni umanitarie dall'altra possono condurre ad una soluzione d:l dramma ». Il 16 aprile, in un'intervista all'on. Galloni, un giornalista prospetta per la prima volta l'intervento mediatore della « Caritas Internationalis » che il vice segretario della de non esclude. Il giorno dopo, l'Osservatore commenta: « Noi non pensiamo che coloro che lo tengono in proprie mani uccidano per il gusto di ucci dere ». E ancora: « La nostra attesa non si rifa a consid-: razioni politiche: la nostra speranza è che prevalga il senso di un'umanità che non possiamo ritenere perduta. Non spargete altro sangue, non uccidete più ». Nella stessa gior nata il prelato tedesco Georg Hussler, presidente della « Ca ritas », afferma la disponibilità dell'organizzazione cattolica per tentare una via che porti alla liberazione d- Moro. La Conferenza episcopale italiana, mercoledì scorso, si fa interprete della fiducia che l'intera comunità cristiana continua nonostante tutto a coltivare. Per quanto grave possa essere la situazione, ì vescovi affermano di credere che « ci sia sempre spazio per la speranza ». E rivolti ai rapitori di Moro: « A chi intendesse assumere responsabilità nel decidere di una vita umana e del significato che essa può avere per la pace <? lo svi luppo del Paese, la presidenza della Cei chiede di desistere e di cercare le vie giuste ». Poi, prima della mezzanotte fra venerdì e sabato, mentre cresceva l'angoscia per la sorte dello statista. Paolo VI si è chiuso nel suo studio ed ha cominciato la stesura della lettera divulgata ieri mattina. Ha lavorato fino alle due, sottoponendosi, con l'impegno che ha caratterizzato le sue ansiose giornate fitte di lavoro e di contatti, ad un nuovo, intenso sforzo, senza essersi consultato con nessuno. Quindi, dietro le insistenze di monsignor Macchi e dei suoi collaboratori, il Papa è andato a riposare per alcune ore. Si è alzato, come sempre, molto presto e, dopo essersi consultato con padre Panciroli, ha fatto avvertire i «vaticanisti» (che dalle nove cominciavano ad affluire nella sala stampa) che un'ora dopo vi sarebbe stata una importante comunicazione, non meglio precisata, del suo portavoce. Poco dopo le 10,30, infine, la distribuzione ai giornalisti della copia dell'accorato appello. Nel maggio '74, per invocare la liberazione del giudice Mario Sossi, il Papa s'ora detto disponibile a farsi « inter cessore di clemenza » qualora fosse stato richiesto il ministero della Chiesa. E il 17 ottobre scorso, in un telegramma all'arcivescovo di Colonia, s'era dichiarato pronto a olfrire la sua vita in cambio ài 86 ostaggi di un « Boeing » bloccato da terroristi arabi e tedeschi nell'aeroporto di Mogadiscio. Dopo l'appello di ieri, l'attesa trepidante del Pontefice si consuma « nella preghiera e nell'amore ». I Giuseppe Fedi

Luoghi citati: Colonia, Mogadiscio, Roma