È morto Angelo Maria Ripellino di Guido Ceronetti
È morto Angelo Maria Ripellino È morto Angelo Maria Ripellino Poeta, critico, insigne slavista, fece conoscere in Italia i versi di Pasternak e molti autori cechi ROMA — E' morto la notte scorsa a Roma il poeta, critico letterario e teatrale Angelo Maria Ripellino. per collasso cardiaco. Nato a Palermo nel 1923 si era trasferito giovanissimo a Roma: era ordinario di letteratura russa e ceca, critico teatrale dev'Espresso. A Ripellino va attribuito, tra l'altro, il merito di essere stato il primo a presentare in Italia la poesia di Boris Pasternak e la prosa di Andre? Belyj. Praga ha avuto il suo scrittore esule: Angelo Maria Ripellino è morto. Lo aveva ferito mortalmente dieci anni fa. La vita di Ripellino, che parlava il ceco come l'italiano, si era sposato a Praga, era stato curato in un sanatorio nella foresta boema, aveva tradotto poeti cechi, si era impregnato di tutti i sortilegi della Moldava, aveva avuto uno straordinario sussulto all'epoca della primavera praghese, esattamente dieci anni fa. Le notizie da Praga erano incredibili, elettrizzanti: un regime comunista dei più tetri processava se stesso, tra lo stupore e il sollievo di un popolo umiliato, faceva trapelare tremendi segreti, alzava pietre tombali, faceva parlare ombre sanguinose che puntavano il dito su uomini che cercavano di farsi dimenticare, e specialmente su Mosca, da cui erano partiti ordini e sicari. Ripellino fu inviato dell'Espresso in quel mai visto cupio dissolvi, al principio di luglio. Le sue corrispondenze di quel periodo sono una testimonianza eccezionale, di passione e di dolore. Visse i giorni dell'invasione come se l'anima di quella Praga infelice e magica di cui sarebbe stato il poeta si fosse trasferita in lui più scrittore ceco che italiano, più vicino di chiunque altro a quei letterati risuscitati per poco tempo. Fuggi tra il diluviare dei carri sovietici, che rivedeva oggi nella malattia che gli corrodeva i nervi, mostruosi insetti metallici da Giudizio Finale di Bosch. Da allora comincia la storia della sua morte, la storia del ferito di Praga. Ripellino, più che un giornalista rientrato da una missione, aveva l'aria di un cavaliere battuto, di un reduce spaesato e malvisto. Dieci anni di consumazione lenta, perdendo via via il contatto con gli scrittori e i registi cechi scampati in Occidente al flagello, forse anche con le notizie da Praga, ormai grigie e spente, ma di grande attività accademica, letteraria e giornalistica, fino al silenzio di questi ultimi mesi, di rattrappimento e di pena fisica e morale. «Un mare di fiori gettato su un guitto / non può colmare il suo vuoto orrendo». Tristi versi, i suoi ultimi versi, di autobiografia senza speranza, tutti di vecchiaia precocemente vissuta, di presentimento di morte. Intitolata Autunnale barocco la sua ultima raccolta di poesie è la meno barocca di tutte, la meno appesantita e guastata dalla sua frenetica nomenclatura: un lungo monologo con se stesso vicino a morire, con bagliori e frane, dove la poesia arretra davanti allo schiumare del lamento. Ha avuto un destino di superstite. Un supremo balletto funebre di avanguardia russa divorata, di futurismo slavo tramontato, su una scena ormai disertata dal pubblico. Un modernissimo con l'orologio magicamente in ritardo. Con l'attuale opposizione letteraria e religiosa al regime sovietico non ha, mi sembra, punti in comune; c'è in quella piccola repubblica assediata troppa attualità e futuro; Ripellino ha avuto l'ultimo fratello in Pasternak, quasi tutti i suoi adorati modelli orientali in un tempo tutto ingoiato dai lager, dalle rivoluzioni. Tra Mosca e Praga, un raro destino di scrittore slavo e italiano. Guido Ceronetti
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