SALVARLO, NEL RISPETTO DELLO STATO di Vittorio Zucconi

SALVARLO, NEL RISPETTO DELLO STATO E' la linea espressa dal governo il 4 aprile alla Camera // pei non senza brividi ripete il suo fermo no alla trattativa ROMA — Non senza brividi, non senza pietà, ma il pei ripete a voce ancor più alta «no» al riconoscimento delle Brigate, dunque «no» alle trattative. Il pei, ha detto il senatore Gerardo Chiaromonte al termine di una riunione della segreteria, «mentre rinnova l'auspicio che la vita dell'onorevole Aldo Moro possa essere salvata, ribadisce la sua posizione di fermezza democratica già chiaramente espressa in Parlamento e nella recente sessione del suo Comitato centrale. Noi comunisti riteniamo — ha continuato Chiaromonte — che il governo della Repubblica, in coerenza con le dichiarazioni rese nella seduta del 4 aprile alla Camera dei deputati dal presidente del Consiglio e avallate dal consenso delle forze democratiche e costituzionali, debba fermamente respingere il ricatto dei terroristi. Lo Stato non può derogare dai principi e dalle leggi che sono a fondamento della comunità nazionale e della convivenza civile». «Ogni cedimento — ha concluso Chiaromonte — comporterebbe rischi gravissimi per lo stesso regime democratico e per le sue istituzioni e non potrebbe essere tollerato dal popolo italiano che ogni giorno vede sottoposti a dure prove, fino al sacrificio della vita, come ancora è accaduto a Milano, gli uomini ai quali è affidato l'arduo compito di amministrare la giustizia e di garantire con la tutela dell'ordine democratico la libertà e la sicurezza di tutti i cittadini ». Il ricatto finale era previ- sto dall'inizio, dicevano ieri sera in via delle Botteghe Oscure, e l'emozione, che pure prende tutti, era stata purtroppo messa in conto quando la prima volta il partito affermò il suo «o con lo Stato o con le Br». Quello che i terroristi vogliono, mi dicono, non è la vita di qualche loro esponente in carcere, ma l'essere elevati a dignità di esercito ribelle attraverso una trattative con lo Stato, con le sue istituzioni, con i partiti. E se ciò avvenisse, fanno ancora osservare i comunisti, delle due l'una: o la Repubblica certifica la sua resa, o accetta lo stato di guerra, corti marziali, coprifuoco, pena di morte inclusi. E' questo, chiedono, che l'Italia vuole? Ma la fermezza politica, che al pei è dunque adamantina, non riesce a nascondere l'emozione degli uomini, soprattutto dei più vecchi, gli Amendola, i Pajetta, i Longo che da troppi anni, e da nemici incruenti, hanno avuto di fronte Aldo Moro. Arrivano alle Botteghe Oscure senza parlare, nel pruno pomeriggio e cominciano fra loro una serie a catena di riunioni che si protraggono fino a sera. Tato, braccio destro di Berlinguer, va alla de, nella vicina piazza del Gesù, e dice ai giornalisti ancora il suo «assolutamente no». Alle 17,15 arriva Berlinguer, interrompendo la stesura del discorso che dovrà pronunciare ai giovani della Fgci, sulla sua «Alfetta» metallizzata blindata. Nasce la riunione della segreteria e parte della direzione, con Berlinguer, Chiaromonte, Natta, Perna, Pajetta e gli al- tri, Reichlin e si discute anche di come impostare l'Unità di stamane. La linea, si decide, è la stessa espressa anche ieri mattina in un comunicato dell'ufficio stampa. In esso già si reagiva, come vedremo assai duramente, alla scelta fatta da Terracini e da Lombardo Radice, esponenti del pei, firmando un manifesto per le trattative insieme con personalità eterogenee, da Dario Fo a padre David Maria Turoldo, e pubblicato da Lotta Continua. «Il Partito comunista — si dice nella nota — ha sempre auspicato che l'onorevole Moro possa essere restituito alla sua famiglia, al suo partito, alla democrazia italiana, anche attraverso ogni sollecitazione e appello che possa essere utile a tal fine». Ma la linea del partito — continua il testo dopo aver sconfessato come «individuale» l'adesione di Terracini e Lombardo Radice — è, e resta, quella chiaramente assunta in queste settimane: un netto rifiuto di piegarsi al ricatto dei nemici della Repubblica, convinto e solidale appoggio ad ogni passo unitario che possa fare ancora sperare nella salvezza di Aldo Moro. C'è dietro questo comunicato un retroscena interessante: esso era stato scritto senza che fossero noti il volantino delle Br e la prova fotografica. Prima di diffonderlo perciò l'ufficio-stampa pei aveva voluto chiedere alla direzione se esso fosse ancora valido. Dopo qualche discussione, si è deciso di diffonderlo, dunque implicitamente ufficializzandolo anche come prima risposta all'ultimo ricatto, in attesa che più tardi Berlinguer e la direzione preparassero una dichiarazione specifica. Dubbi sulla chiusura del pei ad ogni discorso fra Stato e terroristi, fra partiti e rapitori, non ne possono esistere in questo momento. Riprova ne è l'irritazione, definita «forte», con la quale si è ac , colto, qui in direzione, il pas società con l'apertura di craxi verso trattative. Un ce | amento per la sinistra, si dice, e — questo si intuisce bMpaoMnlSlsspmlrariCpsr«msppil timore che il psi, pensando al futuro polemico, si voglia proporre come interlocutore privilegiato della de. Al centralino del partito poi, così come a quello della de, sono [ arrivate telefonate di poliziot-1 ti democratici chiedendo di ricordare anche i 5 morti del- i la scorta. «I terroristi hanno | firià riscosso — mi aveva detto Pajetta — il tragico prezzo della loro azione». Non sarebbe esatto tuttavia considerare < ja i^gg della fermezza politi- ca riaffermata dal pei come un fatto assoluto: essa è piuttosto figlia del soppesamento relativo di considerazioni diverse che hanno portato al «no». Il pei sa ad esempio che con la sua chiusura rischia di dar nuova voce sia all'estrema sinistra che lo accusa di essere il «partito della morte», sia alla destra de che punzecchia e minaccia Zaccagnini. Sa anche quanto pesi, in termini umani, la fermezza ai capi dello scudo crociato (e quando si credette che Moro fosse stato ucciso, martedì Berlinguer corse ad abbracciare Zaccagnini nell'ufficio di piazza del Gesù). Conosce e sconta infine il duro contraccolpo politico che inevita- bilmente la de subirebbe se Moro venisse assassinato, perché la rottura dell'accordo a cinque è proprio tra gli obiettivi delle Brigate rosse. Ma il peso di questi elementi non può superare, per il pei, la necessità di proteggere lo Stato, come ente politico, dall'«aberrazione» di un riconoscimento fattuale del terrorismo. E, in subordine, si vuole pensare al futuro, al prossimo ricatto del terrore, al quale sarebbe impossibile resistere, dicono i portavoce, dopo aver ceduto una volta. Quale richiesta potremmo rifiutare? Chiedono. E dunque quale processo avrebbe credibilità sapendo che gli imputati verranno presto o tardi rimessi in liberta? Il pei dunque, come sempre «animale politico» lento, ma massiccio: non poteva lasciarsi smuovere dal tragico ma prevedibile «ultimatum» di ieri. Lo sappiamo, dicono i portavoce, che la nostra scelta può anche sembrare crudele. Ma noi dobbiamo guardare anche oltre Moro, alla battaglia lunga e terribile che ancora ci aspetta per tornare un Paese civile. E il cui esito finale, mi dicono in conclusione, sarà determinato anche da come oi comportiamo oggi. Vittorio Zucconi

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