La contraddizione di una vittoria

La contraddizione di una vittoria PERCHE GLI ITALIANI DIEDERO LA MAGGIORANZA ALLA DC La contraddizione di una vittoria Si dice spesso che la sto- i ria la scrivono i vincitori. Ma in questo strano Paese che si chiama Italia, dove molte cose sono diverse, la i storia dell'ultimo trentennio l'hanno scritta i vinti molto più dei vincitori. La storia scritta dai vinti non è per sua natura migliore e più obiettiva di quella scritta dai vincitori, soggiace ami alla pericolosa tentazione della rivincita: il passato ■ non si può cambiare, ma si ! può giudicarlo; cosi facil- : mente si apre la via al processo al passato. Oggi il partito comunista rifiuta energicamente e con piena ragione la mentalità e il clima del I processo al trentennio; ma bisogna pur dire che ne ha \ poste alcune premesse. Il giudizio sul 18 aprile è sotto questo profilo esem- ! piare. All'indomani dell'evento in una risoluzione del comitato centrale comunista \ si abbozzava già un tipo di j interpretazione che ha con- ! dizionaio molti giudizi successivi: in sostanza la de aveva vinto per il ricatto morale del clero, per le pres- ; sioni americane che avevano ] coartato la libertà degli ita- : liani, per i brogli del governo. Elezioni non sostanzialmente libere quelle del 18 \ aprile: se i comunisti non facevano appello alla azione ' delle masse per scacciare un ■ governo imposto dal Vaticano e dagli americani, ciò era dovuto — come dichiarò To- j gliatti all'Unita — al loro senso di responsabilità e alla preoccupazione di evitare all'Italia mali peggiori. Sul motivo dei brogli non si è molto potuto insistere nelle interpretazioni successive. Vi era. fra l'altro, un dato molto significativo: le sinistre avevano perduto clamorosamente proprio nelle roccheforti operaie del Nord j ed avevano tenuto meglio (o talvolta guadagnato) nel Sud, in zone in cui i brogli elettorali avevano antiche tradizioni. Con il trascorrere del tempo il giudizio si fa certamente più articolato: nelle pagine della einaudiana Storia d'Italia, ad esempio, compaiono tra i fattori della sconfitta delle sinistre la ripresa della «doppiezza» provocata dalla costituzione del Cominform, i fatti della Cecoslovacchia difesi acriticamente fsi riconosce finalmente) dal Fronte popolare Questi fattori di insuccesso delle sinistre si affiancano ai motivi tradizionali: le pressioni del clero, «il sanguinare di immagini sacre», le pressioni americane, il ricatto degli aiuti economici e così via. La guerra fredda Ma, alla fine, il 18 aprile rimane pur sempre la data che segna irrevocabilmente la fine dell'unità antifascista e, con essa, «la fine di una fase di rinnovamento». Se il trentennio comincia quando finisce la fase di rinnovamento, diventa poi obiettivamente difficile sfuggire alla tentazione del processo al trentennio Insomma si sono distribuiti diversamente i pesi sui due piatti della bilancia, si riconoscono responsabilità della sinistra a fianco di quelle delle «forze conservatrici»; ma la bilancia è la stessa, i criteri di va lutazione non sono mutati. C'è da chiedersi se, a trent'anni di distanza, non sia giunto il momento di uno sforzo più deciso di ripensare i criteri stessi e lo sfondo storico in cui la vicenda deve essere inquadrata. Un famoso commentatore americano. Walter Lippmann, notava il 6 aprile 1948 sul New York Herald Tribune: «Molto, forse l'intero problema della guerra e della pace, è connesso alla capacità italiana di dimostrare che il comunismo non può espandersi attraverso la guerra fredda». Vi era in quelle parole il richiamo ad una realtà di cui troppo a lungo la riflessione storica ha rischiato di non tener conto: l'Italia faceva parte dell'area occidentale e cioè dell'area capitalistica; la libertà degli italiani non era quella di essere o non essere in quell'area, ma era nel modo di esservi, se nella democrazia e favorendo una politica di pace, o in altra forma. Il capitalismo non è una essenza astratta, sempre uguale a se stessa, ma una realtà storica in continua evoluzione: il fatto di appartenere all'area capitalistica non escludeva ampi margini di scelta. Sono profondamente convinto — con la maggioranza degli italiani, ivi compresi molti comunisti — che l'appartenenza del nostro Paese all'area occidentale sia stata per noi una grande fortuna. Ma anche se non si condivide questo giudizio, non cambia il dato di fatto. La circostanza, dunque, che i partiti della sinistra, il comunista e il socialista, si ponessero allora come portatori di una alternativa ideologica al sistema, con un «legame di ferro» con l'Unione Sovietica, proprio nel momento in cui la guerra fredda approfondiva il solco fra i due mondi fino ai limiti di un conflitto armato, ha obiettivamente contribuito all'emarginazione della classe operaia, ha enormemente ridotto le sue effettive possibilità di influenza sul «come» dell'appartenenza dell'Italia a'.iarea dell'Occidente e del capitalismo. Questo giudizio sulle responsabilità delle sinistre, che può sembrare astratto, esce confermato, a mio avvi- l so, dalla nuovissima ricoI struzione delle origini e del1 le vicende del Fronte popolai re ad opera di Santi Fedele i ^Fronte popolare. La sini■ stra e le elezioni politiche i del 18 aprile 1948, ed. BomI piani;: una ricostruzione at! tenta e critica e proprio per questo illuminante al di là della dichiarazione di fiducia nel partito comunista che si legge nel finale delle i pagine introduttive di Paolo ' Alatri. I partiti minori L'analisi di Fedele conferma, anche attraverso un'attenta ricostruzione della evoluzione dei partiti minori, l'impossibilità di una posizione neutrale dell'Italia nel clima della guerra fredda. La proposta del fronte unitario, fin dall'inizio, ha un carattere difensivo. Il partito socialista, profondamente diviso al suo interno sull'ipotesi del fronte — Basso e Pertini sono contrari al blocco elettorale unitario — è dominato, fra l'altro, dal desiderio di non misurarsi fino in fondo sul terreno elettorale con gli effetti della scissione socialdemocratica. II par'ito comunista dà prova a Mosca di intransigenza con una scelta di cui Togliatti stesso non è per nulla entusiasta. Cosi la mobilitazione della classe operaia avviene, di fatto, su una base che è destinata ad isolarla in un Paese inserito nell'area occidentale. La difesa degli eventi di Praga e la ■ dissennata propaganda antiamericana — della quale Fedele sottolinea la scarsa incidenza nelle masse popolari — non fanno che accentuare l'isolamento in cui il fronte è destinato a cacciare la classe operaia. La linea difensiva da cui il fronte è nato diventa obiettiva tendenza alla ghettizza¬ zione. In questo contesto di fondo, decisamente filosovietico e antiamericano, non servono la moderazione del programma (con l'apertura ai ceti medi) o il tentativo di ricuperare, con una serie di iniziative, la democrazia di base (consigli di gestione; comitati per la terra) a salvare il fronte dal fallimento. Ingrao, nel suo saggio Masse e potere, ha lucidamente scritto: «Gli organi di democrazia di base apparvero soprattutto strumenti di mobilitazione e di agitazione politica e non riuscirono a presentarsi come leve articolate per un controllo democratico dell'economia». E invece proprio di un controllo democratico dell'economia, intemo al sistema e non ad esso ostile, avrebbe avuto bisogno la fase di ricostruzione: questo contributo decisivo i partiti della classe operaia non l'hanno dato. Di fronte al rinchiudersi della sinistra in una opposi¬ zione ideologica alla realtà, il successo della de fu la premessa per essere nell'area di influenza americana in modo democratico. Aveva ragione De Gasperi di dichiarare dopo il successo: «Sento un solo orgoglio: quello di avere avuto fiducia nel popolo italiano». Gli italiani avevano capito. La drammatizzazione della campagna elettorale, i toni da crociata (reciproci del resto) non cancellano questo significato positivo del 18 aprile. Ma rimane, come una ferita profonda nella democrazia italiana, l'esclusione di una parte considerevole della classe operaia, il suo sentirsi estranea allo Stato. Qui è la contraddizione del 18 aprile. Siamo partiti trent'anni fa da questa contraddizione: il prenderne coscienza è il contrario di un processo, è la condizione per superarla. Pietro Scoppola

Persone citate: De Gasperi, Ingrao, Masse, Pertini, Pietro Scoppola, Togliatti, Walter Lippmann