Chi ha raccolto l'eredità del 1968 di Stefano Reggiani

Chi ha raccolto l'eredità del 1968 IL PCI DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA PROTESTA DEI GIOVANI Chi ha raccolto l'eredità del 1968 Al convegno della Federazione giovanile comunista il tentativo di analizzare i meriti e gli errori della prima contestazione I rapporti del partito con il movimento operaio e con lo Stato - Perché e come si sono sviluppate le radici del terrorismo DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PISA — Adesso ci si accorge che il '68 è ancora un punto di riferimento, che. in bene e in male, molto (o tutto?) è partito di lì. E che le analisi sono diffìcili perché non toccano un avvenimento compiuto, consumato, come accade in altri Paesi, a una rottura che grava con le sue conseguenze sul presente. Fino a pochi mesi fa, sembrava che il decen¬ nale della prima contestazione studentesca sarebbe stata l'occasione di insopportabili «come eravamo», magari un rimpianto dell'utopia, irrimediabilmente separata dagli anni duri, per esempio dalla rivolta del '77 nelle università. Poi la crisi italiana ha convinto i liquidatori nostalgici che in gualche modo tutto si lega, nella progressione dei numeri in questo decennio: il '68 della contestazione, il '69 dell'autunno caldo, anche il 75 del referendum sul divorzio, il '76 delle elezioni con lo spostamento dell'elettorato a sinistra, naturalmente il '77 della nuova contestazione e il '78 del terrorismo. Ma si lega come? Da una parte ci sono le istituzioni (i partiti, i sindacati), c'è lo Stato democratico, nelle condizioni che sappiamo; dall' altra parte c'è uno spazio di movimento, di non istituzione, di anti-Stato, una cristallizzazione di bisogni parziali e di sofferenze «private» che il '68 non esaurito, non riassorbito (come altrove) pare aver resi definitivi, in modo che gli studiosi comunisti convenuti a Pisa su invito di Città futura possono chiamare la data «periodizzante», cioè divisione irreversibile di due epoche. Torna la domanda di Aldo Tortorella. responsabile culturale del pei: «Perché solo in Italia?», con l'altra, strettamente legata: «Com'è avvenuta l'involuzione verso la violenza?». E con il corollario polemico: «I fenomeni violenti accadono quando :1 pei si sposta dall'opposizione verso il governo». Il pei subisce la più dura frizione con i gruppi, .sfrangiati e mossi, che si collocano alla sua sinistra e la sua federazione giovanile è l'avanguardia più vulnerabile nel confronto partito-movimento. Dice Massimo D'Alema. segretario della Fgci: «La nostra federazione era stata distrutta dal '68». Adesso cerca di ricucire un rapporto faticoso con i giovani, propone un « nuovo dialogo » che stia al confine tra l'impegno tesserato e quello spontaneo. Per far questo i giovani comunisti debbono misurare il peso del '68. ! prenderne le distanze, tra! sformare un mito in un fat| to politico, indicare le col! pe, proprie ed altrui. Il conI vegno organizzato a Pisa dal- ■ la rivista della Fgci aveva un tema volutamente spez- ; zato: «Le lotte dei giovani e \ le idee del '68». Come dire: j per noi. le une non sono | sempre e necessariamente le; gate alle altre. Sono stati due giorni di ■ confronto dentro il pei, pre: parato ovviamente secondo l le esigenze della Fgci, ma ; non privi di lacerazioni, di ; rinfacci, di inquietudini, di , sincerità disarmate. Il convegno doveva tenersi a fine | marzo, poi il caso Moro l'ha \ fatto rinviare, pesando ui gualmente sulle parole e i sulle riflessioni. Il 19 aprile : si terrà a Firenze il congresso nazionale della Fgci. Ha detto Tortorella: «Non vogliamo fare la storia del ; '68, ci mancherebbe. Ma sforI zarci di leggerne le conse; guenze negative e positive ì anche nel movimento ope! raio. E aprire un dibattito j tra forze marxiste e cattoli: che sulla rottura che c'è sta] ta». Ha aggiunto: «Noi co! munque eravamo attrezzati ! per ricomporre le spinte teo; riche della contestazione, I per interpretarla». Anzi: «Il I '68 con le sue sollecitazioni i ci ha fatto ripercorrere la : storia del marxismo; a Mila: no abbiamo addirittura visto rispuntare le ombre di Beria e di Zdanov». L'impostazione di Tortorella è stata quella ufficiale ; del convegno ed ha avallato j la relazione introduttiva di ; Ferdinando Adornato, diret[ tore di Città futura. Torto'. rella ha giudicato i pregi del\ la contestazione («Ha. fatto emergere nuovi soggetti sociali e proposto vigorosa. mente la tematica della libej razione»/ e i suoi limiti /■«Partita dalla critica dell' ideologia è giunta per suo ; conto ad una forma di ideologia dogmatica»;. A'on ha taciuto i rischi: «Sono contrario ad attribuire facili paternità al terrorismo, ma non si possono non ■ vedere alcune connessioni. ; Nella teorizzazione del terrorismo riemergono posizioni che sembravano storicamente battute». A questo punto. «la posta in gioco è alta», occorre «una direzione politica cosciente», altrimenti «chi rischia la sconfitta è la Repubblica». Se non c'è potere C'erano nell'Aula magna della Sapienza, l'Università ] ^ISJ^S^S^J^S^^ : , a a » i - ' i ) a o o a - i - - 68 erano ragazzi e bambini: davanti a loro i protagonisti e i teorici di dieci anni fa (quelli ricondotti all'istituzione) parevano anziani un poco impazienti, più vecchi degli anziani veri. Ha detto Adornato: «Non siamo qui per distribuire tessere ai reduci e il '68 non è una categoria dello spirito». Adornato è molto giovane, al convegno ha bene rappresentato quelle nuove generazioni di partito, uscite dai primi della classe e un poco, amabilmente, strafottenti. Con lui ci sono sembrati protagonisti simbolici dell' incontro gli ex «operaisti» (Asor Rosa. Tronti) e un teologo, il cattolico di sinistra Italo Mancini 'Bozze '78) che ha portato un messaggio troppo apocalittico per essere accolto. Naturalmente non vogliamo dimenticare il teorico Xicola Badaloni, professorale nei rimbrotti («l giovani nel '68 volevano rifondare la politica, anche quella degli operai; erano un poco superbi»/ e deciso nelle enunciazioni politiche («La. classe operaia vince la sua lotta coinvolgendo lo j Stato, essa è ormai capace j di amministrare il profitto»;. i Adornato ha posto il '68 I italiano tra crisi e moderniz| zazione. tra contatto con gli \ operai e fuga nella soggettività. Sta il fatto che l'Italia non ha saputo rispondere j alle richieste della prima : contestazione, che l'Univer! sita è rimasta tale e quale. i che nel movimento s'è acuij to il contrasto tra individuo '■ e Stato che «il romanticismo , ha prevalso sulla laicità del| la ragione». Ha detto Ador! nato nel suo intervento: j «Non basta l'assemblea se non c'è potere, non serve lo spontaneismo se non ci sono elementi stabili». Appuni to. il partito: altrimenti «si , favorisce la spoliticizzazione» e l'insensibilità di valore delle riforme. Parole d'ordine Come andò con la violen; za nel 68? Adornato: «Ci fu una violenza dimostrativa e , una di provocazione. La seconda gravida di conseguenze. Nel '68 avevano un'idea sbagliata dello Stato, e nacquero parole d'ordine che 1 adesso andrebbero rimeditai te. E poi. avevano della rivoluzione una prospettiva settaria e vetero-stalinista». Secondo Asor Rosa il '68 poteva essere una via alle riforme. Lui allora scriveva sulla rivista del psiup e lo disse. Ma anche il pei capì, secondo le parole di Longo. che «non si trattava di un movimento settoriale». Per! che. allora, quelle richieste riformistiche non vennero accolte? Appunto, per l'incapacità delle istituzioni, per il divario tra chi chiedeva e chi non dava. Asor Rosu: «Non chiudiamoci a riccio, neppure davanti alla violenza. Quell'eredità riformatrice è ancora nostra. Dobbiamo criticare il '68, non abbandonarlo». Meglio avrebbe detto Asor Rosa: recuperarlo alle origini. Sì vede come gli «anziani» sono lontani dalla bruscheria e dalle tattiche dei giovani: ma l'altro «operaista» Tronti ha comunque chiarito: «Non c'è possibilità di un movimento di massa fuori del movimento operaio». Alla politica dell'estremismo, occorre rispondere «con un salto di qualità della democrazia». Mentre sì svolgevano i lavori, in una saletta, conversando. D'Alema si chiedeva: «Il problema è questo: dove stiamo andando, verso una società pluralista o una totalitaria?». E pareva rispondergli immaginosamente dal podio degli oratori il teologo Mancini. In sostanza ha detto: c'è un raffreddamento dell'ideologia nel pei e i giovani lo sentono, affrettiamoci ad una politica efficace, unitaria (si chiami pure compromesso storico) per evitare alla Chiesa la tentazione integralistica di gestire da soia la politica. Il terrorismo, le vicende recenti potrebbero respingere i cattolici nella religione, «e allora la fede diventerebbe invincibile». Dietro le preoccupazioni del teologo s'adombra l'ipotesi di una nuova scissione tra cittadino e Stato, la prospettiva, conturbante e terribile, di un nuovo Medio Evo percorso da pietosi eroismi e da crudf violenze. Se non interverrà, con «l'amore dell' uomo, anche eversore», un disegno politico. Stefano Reggiani

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