Gli uomini del maresciallo Tito di Frane Barbieri

Gli uomini del maresciallo Tito A TRENT'ANNI DALLA SFIDA DEL PRESIDENTE JUGOSLAVO A STALIN Gli uomini del maresciallo Tito In Jugoslavia, la Lega dei comunisti terrà l'IT Congresso a fine giugno, proprio nell'anniversario della rottura tra Mosca e Belgrado - Dalle assise periferiche già in corso tutto sembra accuratamente predisposto a garantire la continuità del sistema - L'"autogestione" al giudizio di russi e cinesi i 1 1 o BELGRADO — Alla fine di giugno si compiranno trentanni della famosa risoluzione del Cominform. cioè della sfida di Tito a Stalin e della conseguente rottura fra Mosca e Belgrado. Per caso, e forse non per puro caso, la Lega dei comunisti jugoslavi terrà il suo XI Congresso proprio in quei giorni. In preparazione di quella assise suprema sono già in corso i congressi delle sei Repubbliche e due Regioni, che compongono la Federazione jugoslava. Da questi scaturiscono già le indicazioni su che cosa ci si può aspettare dal Congresso finale. A quanto si è potuto intuire, il fatto più grosso sarà quello che non ci saranno fatti grossi. Può sembrare la solita battuta basata sul paradosso. Nel caso jugoslavo, però, acquista uno specifico valore, in quanto da vari anni gli osservatori specializzati non fanno che aspettare grossi cambiamenti e colpi di scena nel Paese di Tito. Se li aspettano probabilmente per la struttura troppo composita del Paese, per la sua posizione troppo angusta, stretto fra Oriente e Occidente, e per una troppo incalzante vicinanza dell'Urss. Tuttavia, le continue ansie i per le sorti jugoslave, ri I scontrabili più all'estero che l nel Paese, nascono anzitutto da un errore di valutazione iniziale. Da più parti si con- I tìnua tuttora a trattare la \ sfida jugoslava alla stregua | dì un'epica resistenza di un autonomismo nazionale e nazionalistico, secondo la tradizione balcanica, il quale prescinderebbe dai più complessi motivi socio-politici o ideologici. In un contesto così semplicistico sarebbe dovuto accadere, per forza di cose, che la Jugoslavia, cercando il modo più adeguato per reggere la grande sfida, concentrasse le proprie sproporzionate forze applicando con rigore un sistema autoritario, simile a quello che ha generato lo stalinismo e la tracotanza di Mosca nei confronti di Belgrado. Se così fosse stato la sfida jugoslava non avrebbe storia o acquisterebbe poca importanza. Infatti, prima o poi. il Paese, per la logica del proprio sistema, sarebbe riportato nell'alveo del blocco a cui si era ribellato. Cosi, troverebbero la loro giustificazione pure le previsioni sui grandi capovolgimenti. Una trappola La storia di questi anni indica invece che Tito si era reso conto del pericolo di cadere in una simile trappola. A ben poco avrebbe portato una resistenza basata sulla velleità di un autoritarismo nazionale contrapposto ad un autoritarismo internazionale. Perciò, l'indipendenza si era accompagnata, in tutti questi anni, alla ricerca, spesso azzarda- ta e sperimentale, di un mo dello socialista alternativo ed antitetico ai sistemi autoritari. Una caratteristica che ha fatto trascendere il taoismo dall'epoca balcanica facendolo diventare una delle correnti ideologiche e politi- \ die moderne. Paradossai- \ mente, questo tratto essen- j siale e costante della «terza \ via» jugoslava trova spesso \ insensibili ì ricercatori delle imperscrutabili strade del futuro. Sono tuttora in molti a giudicare la posizione jugoslava e le sue prospettive secondo quanto essa, in un dato momento, si avvicina o allontana da Mosca, non riuscendo a percepire che nemmeno le normalizzazioni con l'Unione Solletica non hanno mai interrotto o sviato un'esperienza che. come modello di società, non fa altro che distanziarsi da quello sovietico. Scaturisce da qui il senso del giudizio iniziale secondo cui il fatto più grosso del prossimo Congresso jugoslavo sarà quello che noti si verificherà alcun fatto grosso. «Non aspettatevi cambiamenti», dice Stane Dolane, segretario della Lega. Al Congresso vengono posti da più parti due quesiti: sarà consolidata la linea titoista, e come sarà strutturato il vertice di partito, che si presume potrebbe trovarsi a dover reggere la fase più delicata del famoso «dopo-Tito»? Nella fase pre-congressuale i due aspetti sono stati i I ■■ IIijjlj:;!:,!;'!ij:1II•|j|;! uniti in un unico concetto. A testimoniare la continuità della linea politica è stato ripubblicato, confermandone la validità, il programma della Lega, varato ancora al settimo congresso del lonta- \ no 195S. Per qualificarlo, ba \ sta ricordare che, in segno j di protesta contro il caratte \ re revisionista del documen \ to, le delegazioni dei partiti dell'Est, capeggiate dal pcus i e seguite da quelle dei partiI ti occidentali, avevano diser■■ tato il congresso di Lubiana. Famosa è rimasta la sfuI riata ideologica di Suslov in I un colloquio con l'ambasciai tore jugoslavo Micunovic a j proposito del programma. j riportata recentemente nelle l memorie del diplomatico. j Edvard Kardelj. storico del : titoismo. /'alter ego di Tito. ; è stato incaricato di elabora! re. attualizzandole, le impo: stazioni del programma. Il , suo ampio saggio, evitando ! ogni interpretazione restrit; tiva, approda aliautogestio' ne integrale e pluralistica ed ! è stato accettato come base i ideologica e politica del Conj gresso. Gli uomini del futuro : vertice sono stati prescelti 1 in modo da garantire la con- tinuità della linea tracciata. E' prevista dal nuovo staI tuto l'abolizione del comitaI to esecutivo, spiegando che • con ciò si vuole evitare la | creazione di un centro di poj tere sottratto ai controlli. Il | comitato centrale eleggerà ; soltanto una presidenza, ri! stretta a soli 24 membri, la j quale concentrerà il potere i decisionale ed esecutivo, di¬ pendendo dal comitato centrale. Il controllo viene garantito dalla stessa composizione della presidenza: ogni Repubblica avrà tre membri, ogni Regione due e l'esercito uno. I nomi dei ventiquattro li sappiamo già: sono coloro che negli ultimi anni si sono distinti nel consolidare, appunto, la continuità della li- nea titoista: autogestione > più non allineamento. Infatti, non c'è nessun nome nuovo: con l'eccezione di quattro capi storici, tutti appartengono alla cosiddetta terza generazione rivoluzionaria. Questi i nomi Per la Slovenia saranno eletti Kardelj e Dolane, l'attuale segretario della Lega: per la Croazia, Bakaric, altro famoso ideologo del titoismo, e Dragosavac, distintosi nella battaglia contro i nazionalisti: per la Serbia Sambolìc, il terzo fra i capi anziani, e Minic, l'attuale ministro degli Esteri; per la Macedonia: Koliscevskj e Grlickov, l'abile manovratore della Conferenza intercomunista di Berlino. E cosi via. fino a completare la lista dei personaggi collaudati nell'esprimere ed applicare l'indirizzo stabilito dopo l'eliminazione degli «eccessi devìanti» del nazionalismo e del cosiddetto anarcoliberaSismo. I presidenti dei partiti delle Repubbliche, membri di diritto della presidenza, non cambiano. Primo ministro rimarrà il montenegrino Djuranovic, ministro della Difesa rimane Ljubicic. Soltanto a sostituire Minic agli Esteri sarà chiamato il croato Vrhovec, ora membro della presidenza. I componenti del massimo organo della , Lega non potranno avere al- \ tre cariche statali. Una ecce¬ zione sarà fatta per il primo ministro, e forse per il mini- stro della Difesa. La presi- ' deva avrà un unico segretario, carica che spetterà a Stane Dolane. Tito è presidente a vita. Il dosaggio di Tito, nello scegliersi i successori, si è ispirato all'omogeneità della direzione, al collaudo delle capacità e degli orientamenti dei personaggi e infine alla rappresentatività paritetica di tutte le componenti della federazione jugoslava. Rimangono delle incognite per il dopo Tito? Troppo azzardato negarlo, però Tito, con il suo incredibile attivismo interno ed internazionale degli ultimi anni, ha cercato di ridurle al minimo. Spesso si afferma, anzitutto fra gli osservatori occidentali, che è imprevedibile l'atteggiamento, nel dopo Tito, j dei centri di potere o di forza rimasti fuori delle strut- i ture autogestionarie. come 1 l'esercito o gli organi di sicurezza, per esempio. Si parla, se non di tendenze pro-sovietiche, almeno di inclinazioni verso un sistema autoritario di quel tipo. Gli argomenti dissuadenti in proposito sono abbastanza semplici: data la loro forza, questi centri avrebbero potuto anche finora, se non impedire, almeno ostacolare il continuo e pressoché lineare sviluppo della politica titoista; tuttavia, nessun fatto simile si è verificato dal lontano caso Rankovic. del 1965 (da quando appunto si registra una più decisa linea riformistica >. Nei primi Anni Settanta la Jugoslavia aveva attraversato momenti di instabilità. Nel valutarli a Belgrado si è propensi a giudicarli come momenti di instabilità relativa, un'instabilità propria di ogni crescita riformistica. « Se no, come si potrebbe spiegare che una società instabile cerchi di uscire dall'instabilità .adottando continuamente un sistema politico ed economico sempre più aperto, come abbiamo fatto noi?», spiega un alto dirigente. Infatti, la Lega affronta il Congresso con il famoso sistema sperimentale, già definito e ormai abbastanza lontano dalla sperimentazione. Sul pluralismo Kardelj lo definisce: «Il pluralismo autogestionario». Ci vorrebbe, appunto, un libro intero, anzi complesso come il suo, per spiegare il termine. Grosso modo il concetto parte dalla constatazione che nemmeno una società socialista può essere «monolitica o amorfa», es- sendo composta anch essa da «interessi differenziati, economici e sociali come ideologici e politici». Nel socialismo di Stato le differen- ze conflittuali vengono semplicemente negate o il partito unico, identificato con il potere, «diventa l'arbitro volontaristico delle soluzioni dei conflitti». L'alternativa autogestionaria, applicata in Jugoslavia, al contrario «si fonda sul pluralismo democratico degli interessi dei soggetti autogestiti, il che significa che il sistema taglia il legame ombelicale non soltanto con il pluralismo politico borghese, ma anche con il sistema monopàrtitico delle rivo- luzioni socialiste». Dice Kardelj nel suo saggio: «Per una buona parte dei marxisti moderni la classe operaia è diventata un soggetto astratto che non governa, nel cui nome è però possibile governare». La formula jugoslava è quella di lasciare all'operaio, nel quadro del «lavoro associato» nella impresa autogestita, il famoso plusvalore marxiano da lui realizzato. Egli lo distribuisce «fra sé e sé», nella sua duplice qualità di produttore-consuma] tore e di imprenditore-investitore. «Il capitale e il lavoro vengono integrati, si identificano la gestione del lavoro e la gestione del capitale». Decidendo sulla sorte di ogni dinaro da lui realizzato, l'autogestore, tramite i suoi delegati, segue il suo impegno in tutte le istanze: dai j grossi gruppi economici, al \ comune, fino alla Federazione. Su ogni gradino «la maggioranza e la minoranza vengono costituite non in base all'opzione dei partiti monopolistici, ma si costituiscono di volta in volta come vengono formulate o votate determinate decisioni». Per far funzionare tutto ciò nel quadro di una logica economica sono necessari «la produzione mercantile ed un mercato aperto in quanto forma di scambio libero del lavoro fra gli autogestori». Fra tanti crolli dei miti demagogici, crolla anche l'ultimo. Sostiene infatti Kardelj: «Non è stata l'esistenza del mercato a determinare il carattere dei rapporti produttivi, ma viceversa questi rapporti determinano il carattere del mercato». Più semplicemente: il , \ mercato non^ va identificato con il capitalismo, né, di conseguenza, soppresso nel socialismo, in quanto «prova democratica» dell'efficienza di ogni produzione economica, come lo sono le elezioni nella politica. Tutto il concetto è già fissato nella nuova Costituzione e nella legge sul lavoro associato. Al Congresso rimane da stabilire un aspetto tuttora non definito: la funzione del partito nel quadro di questo peculiare «pluralismo autogestionario». Dice Kardelj: «Ogni sistema politico, in cui alla Lega dei comunisti spettasse il compito di governare la società nel nome del popolo, entrerebbe inevitabilmente in conflitto con la realtà autogestionaria». Il tema centrale del Congresso sarà appunto questo: come agire . politicamente dall'interno dèlta società senza governare al di sopra della società? Una sfida agli altri, ma anzitutto una sfida a se stessi. Come dice Grlickov: «La democrazia nel socialismo ed il socialismo nella democrazia sono il problema della nostra epoca, cui noi jugoslavi stiamo cercando soluzione durante decenni di nostra prassi rivoluzionaria». Nuova formula Discutendo sul proprio ruolo alla vigilia del Congresso, la Lega cerca il modo di diventare il motore ideologico del sistema: far funzionare l'autogestione autonomamente, senza sconvolgerla e senza restarne sconvolta, non sostituirsi al sistema dell'autogestione ed allo stesso tempo garantire il suo funzionamento. Un'altra formula nuova che, quando sarà varata, potrà caratterizzare il Congresso. Le composite ricerche del Congresso jugoslavo si svolgeranno in un contesto internazionale ancora più composito. Basta dire che, con ogni probabilità, la delegazione sovietica e la delegazione cinese potrebbero trovarsi a Belgrado per la prima volta assieme, dopo quindici anni, in una assise comunista. Né gli uni né gli altri concorderanno, probabilmente, con le impostazioni di Tito. Però, a testimoniare quanta strada ha compiuto V«esperimento» jugoslavo, sarà il fatto che il pcus sarà presente all'atto della messa in pratica definitiva di un programma che ventanni fa aveva boicottato con la sua ostentata assenza. Frane Barbieri ld l id Ti ii ffii è h il i fà l l] Belgrado. Il presidente Tito a una recente cerimonia ufficiale: è certo che il prossimo congresso confermerà la sua linea

Persone citate: Ljubicic, Micunovic, Minic, Spesso, Stalin, Stane Dolane