I nostri gemelli francesi di Vittorio Gorresio

I nostri gemelli francesi Taccuino di Vittorio Gorresio I nostri gemelli francesi Durante i primi tre mesi di quest'anno, dall'inizio di gennaio a tutto marzo, mi sono occupato esclusivamente di cose francesi: campagna elettorale, personaggi e partiti a confronto, problemi politici e istituzionali della Quinta Repubblica. Erano temi di grande interesse, prima di tutto in sé e per sé perché la Francia è un grande Paese e quello che vi accade merita sempre e comunque considerazione ed attenzione: ed in secondo luogo perché c'è l'idea che i casi loro e i nostri si rassomigliano in una certa misura, e nasce quindi la curiosità di vedere e sapere come rispettivamente ci comportiamo nell'affrontarli, noi e loro. Devo subito dire che al momento di cominciare il mio servizio di inviato speciale a Parigi ebbi per un momento l'impressione che i casi e i fatti dei due Paesi non tanto fossero simili ma addirittura uguali, identici. Tu vai in un Paese europeo dove stanno per farsi le elezioni, e chi incontri per primo? Il presidente degli Stati Uniti, di passaggio, che naturalmente si intrattiene con il presidente francese e va a rendere omaggio alla memoria dei caduti americani sepolti nel cimitero di guerra, ma non si lascia sfuggire l'occasione di invitare al breakfast Francois Mitterrand che, essendo socialista, rappresenta la sinistra francese buona e benefica in contrapposizione a quella comunista malefica e malvagia. Tutto come in Italia, secondo uno scenario déjà vu parecchi anni fa, quando il presidente americano di turno venuto a incoraggiare i socialisti e a prendere le distanze dai comunisti era Kennedy in luogo di Carter, e l'interlocutore indigeno era Nenni al posto di Mitterrand. Per il resto, tutto uguale, salvo la piccola differenza che il presidente francese Giscard con molta discrezione si è tenuto alla larga dall'incontro CarterMitterrand, mentre la volta precedente, a Roma, Leone che era allora presidente del Consiglio, fu lui a presentare Nenni a Kennedy, e il colloquio si svolse nei giardini del Quirinale, in una bella sera d'estate. Altro stile, altro stile: per in- controre un leader dell'opposizione francese il presidente americano se lo deve invitare nella propria ambasciata, extraterrilorialmente: ma se viene fra noi glielo facciamo trovare nel giardino del Capo dello Stato. Da noi c'è dunque più scioltezza in certe cose, per esempio a riguardo dei rapporti fra la maggioranza e l'opposizione: basti pensare che a consulto dal Capo dello Stato in occasione delle crisi ministeriali usano sempre andarci tutti, i comunisti come i fascisti e perfino i monarchici quando ancora ce ne erano. In Francia, invece, per le visite informali fatte in questi giorni all'Eliseo dai capi di partiti tutti inscritti in quell'arco che in Italia chiameremmo costituzionale, si è fatto tanto chiasso, si sono sprecati tanti commenti, si è arrivati a gridare all'avvento di una nuova era. Le differenze dunque esistono fra noi e loro. Noi siamo un. po' più spregiudicati e scanzonati già da tempo, mentre i francesi adesso stanno ancora discutendo se uomini di sinistra possono o no ottenere la presidenza di commissioni parlamentari, naturalmente entro i limiti della rappresentanza proporzionale dei gruppi in assemblea. Gli amici di Giscard sono favorevoli a questo che per la Francia della Quinta Repubblica costituirebbe un'audacissima innovazio¬ ne: ma fieramente contrario resta Chirac che è il leader del partito di maggioranza relativa. Qui si potrebbero dunque notare somiglianze e dissonanze fra i casi nostri e i loro, e mi provo ad indicarle. Una dissonanza vistosa è che da noi le commissioni parlamentari sono composte in base a criteri correttamente proporzionali, e a tutti i loro uffici fino al livello delle presidenze e vicepresidenze sono ammessi rappresentanti di tutti i partiti nessuno escluso. Ma una somiglianza altrettanto vistosa è che sia in Francia sia in Italia i capi del partito di maggioranza relativa hanno tendenza a comportarsi come se fossero alla testa di quella maggioranza assoluta che essi sempre sognano — tanto fra noi quanto da loro — di riuscire un bel giorno a riconquistare. In un certo senso più avanti siamo noi, perché in Italia gli ex oppositori hanno già sgranocchiato parte del potere della vecchia maggioranza, e invece in Francia una più larga spartizione delle spoglie è ancora tutta da incominciare se non addirittura da inventare: ma si sa bene che vi sono processi destinati a svolgersi con velocità impensata e quindi nulla vieta di pensare che anche in Francia gli oppositori abbiano presto a recuperare il tempo fino ad ora perduto. Quello che è certo, in ogni modo, è che mai e poi mai si sentirà parlare in Francia di un compromesso: un termine che loro ripugna in sé e per sé, e che oltre tutto li farebbe pensare ad una loro forma di imbastardimento politico all'italiana, e Dio ne guardi. In realtà, per concludere, durante questi ultimi tre mesi di lotta politica in Francia, le somiglianze con l'Italia mi sono apparse in varie occasioni accentuate, ma non perché fosse venuto in mente a nessuno di adeguarsi a un modello italiano. E' avvenuto perché la Quinta Repubblica sente sempre più forte il richiamo della Quarta, e cioè di un sistema inutilmente rinnegato da De Gaulle, ma rimasto ben fermo nel cuore dei politici di mestiere, tanto francesi quanto italiani.

Persone citate: Chirac, De Gaulle, Francois Mitterrand, Kennedy, Mitterrand, Nenni