Il duplice significato del viaggio di Breznev di Livio Zanotti
Il duplice significato del viaggio di Breznev Il duplice significato del viaggio di Breznev (Dal nostro corrispondente) Mosca, 3 aprile. Appena qualche settimana addietro, a Mosca smentivano perfino con fastidio la dubbia notizia diffusa da una grande agenzia americana circa nuovi incidenti sulla frontiera sovietico-cinese. In visita a Chabarovsk, sull'Amur, dove adesso s'è recato Breznev, avevo visto carri e fanterìa sovietici manovrare a ridosso del confine, sui ghiacci del fiume pietrificato dal gelo. Ma le autorità locali affermavano che si trattava di normali esercitazioni e la popolazione in tutta la zona appariva tranquilla. Già esaurito il clima di relativa distensione seguito alla scomparsa di Mao Tze-tung, la polemica tra i due giganti del «socialismo reale» restava tuttavia al di sotto del livello di guardia. Ora, i viaggi di Kossighin e, soprattutto, di Breznev nell'Estremo Oriente siberiano ripropongono d'improvviso il «problema cinese», in termini di immediato allarme. Che cosa è accaduto per imporre in una così rapida successione di tempi una virata vistosamente brusca nell'atteggiamento sovietico verso Pechino? L'ipotesi di scontri tra guardie confinarie dei due Paesi non è verificabile. Dai racconti raccolti qui e là, lungo gli oltre seimila chilometri di frontiera che dalle vette del Pamir al Mar del Giappone separano l'Urss dalla Cina, episodi di tensione sono frequenti, rubricabili per ciò stesso nella normalità di un difficile vicinato. A meno di veri e propri combattimenti, come quelli del 1969 sull'isolotto di Damansk, l'allarme lanciato da Mosca ha probabilmente ragioni più generali e più profonde del solo deterioramento delle relazioni con Pechino. Ciò che spiegherebbe il repentino abbandono del tradizionale riserbo in cui al Cremlino mantengono la «Questione cinese». La pubblicità data alla missione del capo dello Stato e del partito, la presenza del ministro della Difesa, Ustinov, al suo fianco, le aspre critiche lanciate dalle colonne della «Pravda» all'irredentismo cinese dimostrano con certezza un solo fatto: i sovietici vogliono dare il massimo della pubblicità alla nuova situazione. Il fatto politico è questo. Tentandone un'analisi, se ne ricava un irrigidimento della posizione sovietica i cui segni premonitori risalgono fino agli ultimi mesi dello scorso anno e sembrano diretti ai cinesi in primo luogo, non però esclusivamente ad essi. Lo «sciovinismo giallo», che vorrebbe corrodere lentamente i confini orientali dell'Urss con un'incontenibile pressione demografica sostenuta da un audace sincretismo ideologico (Marx più Confucio, internazionalismo più nazionalismo), è un «pericolo» assai sentito dalle masse russe, vero o falso che sia. E' un tema facilmente convertibile in parola d'ordine, sulla quale mobilitare il massimo del sentimento nazionale in tutto il Paese. Con il vantaggio, per la «leadership» de) pcus, di non dover correggere pubblicamente la linea del dialogo con l'Occidente, compromettendo la strategia su cui si muove da tre lustri e alla quale appare impossibile trovare un ricambio. Anche nel riacutizzarsi della vertenza sovietico-cinese, prevale quindi sicuramente al Cremlino la preoccupazione per lo sta- Ottava tappa a Est to dei rapporti con l'Occidente e innanzitutto con gli Stati Uniti. E' in questa chiave che al «Politbjuro» valutano la prima. Il monito a Hua Kuo-feng e al partito cinese ha quali impliciti ma inequivocabili destinatari anche i governi di Tokyo e di Washington, di Bonn e di Parigi. Significa che quanti volessero alimentare la minaccia cinese sull'Unione Sovietica, preferendo sottoscrivere nuovi trattati con Pechino (come il Giappone), promettergli assistenza tecnologica militare (come la Francia), piuttosto che spingere sulla distensione Est-Ovest e quindi sulla rapida conclusione di nuovi accordi per la riduzione delle armi strategiche (Salt) e sulla ripresa di trattative per risolvere le crisi mediorientale e africana, riceverà la stessa risposta da parte di Mosca. Una replica dura, fondata sulla decisione di dimostrare la capacità sovietica a sostenere anche una rinnovata corsa agli armamenti. Livio Zanotti
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