Un accordo sul futuro di Pierre Drouin

Un accordo sul futuro SEMINARIO SULL'EUROPA Un accordo sul futuro Cosa succede quando un centinaio di europei, tutti più o meno specializzati in «futurologia», vengono radunati per quattro giorni di intense riunioni chiedendo loro di dibattere sulla tesi «Il modello di vita e il cambiamento sociale del Vecchio Continente»? L'Associazione internazionale dei futuribili, un ente francese con sede a Parigi che ha avuto l'idea del seminario di studi, ha finito da poco di raggruppare in un documento interno i dati più significativi emersi dall'incontro. Pescando fra il vivaio degli interventi si capisce subito perché l'Europa non abbia saputo finora esprimere un vero «messaggio» da trasmettere al resto del mondo, e, peggio ancora, perché quest'Europa così pigra stenti ad infiammarsi dinanzi ad idee e tematiche innovatrici. E' quanto emerge dall'omogeneità dell'atteggiamento intellettuale scaturito nel corso del dibattito, articolato fin che si vuole ma legato da un filo comune: esiste un consenso di massima sugli obiettivi della società da costruire, che dovrebbe essere non violenta, ecologica, decentralizzata ed androgina, ma per altri traguardi l'inventiva tarda a manifestarsi. Ci si chiede quindi se non sarebbe più esatto considerare innanzitutto la situazione demografica. La vitalità di qualsiasi comunità dipende dall'età dei suoi membri e l'Europa sta purtroppo invecchiando a ritmo accelerato. In tutti i Paesi del Continente, eccetto due, Islanda e Turchia, la quota degli anziani oltre i 65 anni oltrepassa il 14 per cento della popolazione. Nel 1975 tale percentuale era raggiunta appena in tre nazioni. Il trend verso la tarda età non può più essere spiegalo con l'allungamento della vita, grazie al miglior regime alimentare e biologico, in quanto deriva dalla brusca caduta della natalità. Le conseguenze immediate del disequilibrio sono già evidenti: il forte aumento delle spese sociali a carico della popolazione attiva, i drammatici problemi dell'assistenza agli anziani, di quanti vivono soli, le alterazioni negli schemi di consumo. Un'ulteriore constatazione, che avvicina in parte l'Europa agli Stati Uniti, deriva dal benessere, assicurato da strati sociali sempre più numerosi. Si tratta tuttavia di una crescita destinata a toccare presto la fase di stallo accentuando il fenomeno di bipolarizzazione che si sta già verificando, distinguendo coloro che beneficeranno della progressione e quanti invece verranno superati dall'espansione. Un esempio. L'informatica per uso casalingo. Chi approfitterà dei mini-computer che dovrebbero essere messi a disposizione per regolamentare l'economia domestica? Saranno certamente, e unicamente, coloro che avranno i mezzi finanziari e la capacità di usarli. Oltre al denaro sarà quindi il sapere, e perciò il potere, a separare ulteriormente le classi sociali. La perdita di fiducia nella democrazia rappresentativa è un altro dato abbastanza diffuso su questo lato dell'Atlantico. Dappertutto cresce la contestazione nei confronti di esperti e di «maestri del pensiero», scade il prestigio dei notabili, si diffida delle azioni di governo, ci si rende conto dell'inadeguatezza delle soluzioni proposte per risolvere i mali della società, invero sempre più raffinati. L'esempio della posizione deUa donna contemporanea è indicativo, ci sono più malattie nervose fra le sposate che non fra le nubili e le divorziate, esattamente il contrario della casistica registrata in campo maschile. E' indubbio che le legislazioni europee hanno finalmente contribuito alla «liberazione» femminile eppure la proporzione delle donne nei quadri superiori dirigenti e nelle professioni liberali è rimasta pressoché stazionaria da un trentennio. Non esistono insomma «valori» europei ma comportamenti spiegati con l'evoluzione costante della società industriale e i cui fattori più evidenti sono lo sradicamento individuale, la minaccia portata dalla disparità nel tipo di vita delle regioni periferiche, l'accelerazione dei cambiamenti, la sensibilizzazione delle disuguaglianze. Se esiste un patrimonio comune degli europei, esso trae la sua forza da vari fattori divergenti come le microculture, i modelli di piccole comunità, i movimenti mediteiranei, la rinascita di lingue regionali e dialetti. La voglia di cambiare è forte a Gibilterra come a Berlino, dunque è chiaro che gli europei puntano nella direzione di una radicale decentralizzazione. L'unanimità di consensi raccolti su questo argomento è impressionante, tutti si sono dichiarati d'accordo sulla coesistenza di tre punti fermi a favore della centralizzazione e di altrettanti contro. Fra ì primi si possono classificare la razionalità socio-economica e la ricerca di economie «scalari» per ammortizzare le spese tecnologiche che acquistano sempre maggiore complessità, l'intreccio fra i diversi problemi della gestione pubblica e privata che conduce a concentrare l'informazione, infine la volontà di mantenere il potere conquistato. Nel secondo gruppo emergono il diffondersi di associazioni di difesa o di pressione, gli individui che tentano di creare, al di fuori delle istituzioni, nuovi centri di relazioni «spontanee», il gusto di sperimentare formule inedite a livello economico e sociale, infine tutti quei gruppi uniti dall'intento di liberarsi dalla morsa «spazio-tempo industriale» per trovare un altro «stile» di vita. Chi vincerà? Il centralismo, legato alla violenza, alle repressioni, all'oppressione delle minoranze, o la decentralizzazione dove si cesserà di vendere la propria anima al diavolo in nome dell'avidità, del desiderio del profitto, di sempre maggiori beni di consumo preferendo invece ottenere una società più «conviviale»? L'iniziativa per un'«allra società» deve giungere dal basso incontrando però, per svilupparsi in movimento, anche una spinta dall'alto che comporti la riduzione di costringimenti legali, sociali e psicologici, lasciando cioè libero l'uomo di fare ciò che più gli piace. Per gli europei «futuristi» dei quali ci stiamo occupando in questa indagine l'avvenire sarà un misto di tre concetti: l'economia di mercato (business as u- sual), la burocrazia e l'alta tecnologia, e, ultimo componente, i pìccoli gruppi, meno emarginati di oggi, ai quali spetterà il compito di far rivìvere l'economia del baratto, le relazioni personali, la benevolenza del lavoro parziale. Se attualmente gli europei sembrano comportarsi più o meno alla stessa maniera molto lo si deve al progresso tecnologico, ma attenzione: un'Europa che non ha saputo far emergere valori per sua scelta difficilmente lo farà in caso di necessità. Conviene quindi nutrire complessi ed avere la cocienza sporca? Le tendenze mondiali, lo stesso progresso nelle telecomunicazioni con i satelliti stazionari si riveleranno forse più importanti per l'evoluzione del modo di vita europeo che le tendenze intrinseche all'Europa. Inoltre, quanti di coloro che predicano evoluzioni rapide e diffondono proposte pratiche avveniristiche sono disposti a mutare radicalmente la propria vita personale? Americani ed europei lianno veramente compiuto progressi evitando di gettare pezzi di carta per terra in luoghi pubblici, cercando di ridurre l'uso di sigarette ed alcolici, di frenare gli sprechi energetici e delle risorse materiali? Siamo onesti, il cittadino del Vecchio Mondo che dovrebbe essere così saggio, ha mancato molti appuntamenti. Ed è così che soltanto durante la notte, a tastoni, si cerca oggi la vera vocazione dell'Europa. Pierre Drouin

Persone citate: Seminario