...quelle italiane...

...quelle italiane... ...quelle italiane... Sergio Segre, deputato, membro del Comitato centrale del pei, responsabile della sezione esteri. Da qualunque angolo politico le si guardi, l'importanza delle prossime elezioni francesi appare incontestabile. Importanza per la Francia, innanzitutto, dato che la posta in gioco (al di là di tutte le differenziazioni all'interno degli schieramenti in campo) è continuità o rinnovamento. Importanza per l'Europa, poi, perché non è certo indifferente l'opzione di fondo di un grande Paese come la Francia, in un momento in cui ogni Paese della Comunità e la Cee nel suo insieme sono alle prese con una crisi profonda e, sia pure a gradi diversi, alla ricerca di soluzioni nuove. Importanza internazionale, infine, per quello che la Francia rappresenta nel mondo e per il contributo di idee e di apporti che essa è chia mata a dare alla soluzione dei grandi e drammatici problemi di questa nostra terra. Importanza per noi italiani, anche, pur se non si può certo stabilire un meccanico rapporto di causa ed effetto tra gli sviluppi nell'uno e nell'altro Paese. E' purtuttavia incontestabile, ci pare, che, al di là di tutte le profonde diversità, Francia e Italia, anche per il peso che le forze di sinistra hanno nei due Paesi e per l'opzione eurocomunista dei loro due partiti comunisti, possono compiere oggi — in un mondo dove i problemi della crescita della democrazia, della partecipazione, del tipo di sviluppo economico e sociale si pongono in termini per tanti aspetti nuovi — delle scelte profondamente innovative, destinate ad avere un valore che supera le rispettive frontiere e tali da indicare che questa nostra vecchia Europa occidentale è capace di rinnovarsi nella libertà e nella democrazia e di andare avanti lungo strade originali di progresso. Alberto Benadì, presidente dell'Unione Industriale di Torino. Come imprenditore, alla vigilia del voto, senza azzardare previsioni che non mi competono, posso soltanto sottolineare alcuni auspici: 1) è necessario che il risultato elettorale rafforzi questa fase della repubblica post-gollista, agevolando il progressivo ravvicinamento della democrazia francese ai modelli europei più solidi, basati su una larga convergenza programmatica attorno a temi e proposte del centro democratico; 2) è necessario che il risultato rafforzi la politica giscardiana di convinto riavvicinamento alla prospettiva di unificazione europea e di partecipazione al sistema delle alleanze politicomilitari dell'Occidente; 3) è necessario che il risultato favorisca una nuova riaggregazione del sistema politico francese su un modello ancor più esplicitamente connesso ai filoni culturali del liberalismo e del socialismo. La vecchia Francia del gollismo da un lato e dello stalinismo dall'altro deve cedere il passo alla nuova Francia delle espressioni più avanzate della democrazia moderna. Per questo, inutile nasconderlo, sono preoccupanti certi contenuti del programma del partito socialista in tema di nazionalizzazioni, un termine che sembrava dimenticato, una mentalità che pareva superata. Ma le strutture amministrative dello Stato francese sono solide, c'è un equilibrio territoriale invidiabile per noi italiani. Infine i nostri amici francesi hanno radici troppo profonde nella democrazia, e la loro cultura politico-economica è troppo ricca di gusto autentico per il pluralismo perché si possa pensare a queste elezioni come ad un pericolo di tipo «definitivo». L'augurio è che possano essere un passo avanti. Liliana Cavani, regista. Con un maggio '68, con una sinistra intellettuale che fin da prima della guerra ha condannato lo stalinismo, con un Sartre e altre personalità che si sono poste in uno spazio ormai lontano dal partito comunista, con un drappello di «nuovi filosofi» che hanno definito i socialisti dell'Est come dei totalitaristi di un pianeta Gulag e dal lato opposto con un comunismo rigido e filo-sovietico e una destra rozzamente cattolica, la Francia si presenta con la fisionomia politica più controversa d'Europa. Le ragioni sono varie. La Francia è l'unico Paese in cui sembra che la capitale sia tutto il Paese, almeno a me dà questa sensazione. Milano, Torino, Firenze sono Italia, Hannover e Dusseldorf sono Germania ecc., ma Besangon, Tolosa e Carcassonne non esistono. E' il residuo di una monarchia che fu troppo sedentaria a Parigi? Sta di fatto che le democrazie hanno una vitalità centrifuga e le vecchie monarchie centripeta. Oserei dire che la Francia vive ancora un processo transitorio verso la repubblica e quindi verso la democrazia. La grande quantità delle candidature che caratterizza queste elezioni, che sembrerebbe espressione di maturo uso di democrazia, a me sembra al contrario il segno di una grande incertezza e oserei dire di una democrazia vissuta ancora con immaturità: il voto vi appare infatti come un fatto troppo personale, persino privato. Il partito che possa non scontentare nessuno non esiste mai; è auspicabile che in Francia come da noi si giunga a più frequenti movimenti civili d'opinione per ogni istanza delle minoranze dei quali i partiti maggiori debbano farsi garanti. La frammentazione giova al caos e al baratto di sottogoverno. Inoltre questa frammentazione distrae l'interesse verso un discorso più europeo, verso la meta sperata di un Parlamento europeo dove le democrazie più mature dovrebbero trasmettere quello che hanno di buono e dove il discorso economico dovrebbe cessare di essere privato e divenire comune per un equilibrio di redditi che trovo urgente anche ai fini di prevenire avventure delle quali vediamo allarmanti segnali ogni giorno. Luigi Granelli, deputato, dirigente dell'Ufficio esteri della de e parlamentare europeo. Tutti riconoscono la generale incertezza che accompagna le elezioni francesi del 12-19 marzo. Il gioco dei piccoli numeri con i voti agli ecologisti o alle femministe non sembra tale da arrestare la crisi dei tradizionali equilibri politici. Molti sondaggi continuano a dare per vincente la sinistra, con oltre il 50 per cento, nonostante la rottura sul «programma comune». La maggioranza attuale sembra stabilizzarsi attorno al 45 per cento, anche dopo l'entrata in campo del presidente Giscard che non ha sanato le laceranti divisioni dei suoi seguaci. Un risicato successo della maggioranza può accentuare l'instabilità di governo, dato lo scontro tra il violento conservatorismo di Chirac ed il riformismo di Giscard sostenuto, oltre che dai nostri amici del Cds, da altri gruppi non trascurabili. L'affermazione di misura della sinistra non può che porre a Mitterrand, specie in vista del turno di ballottaggio, problemi non facili tra cui quello della presenza dei comunisti al governo. L'ipotesi di una «terza via» di centro-sin:stra appare politicamente ardua e, riportando in primo piano il potere dei partiti e del parlamento, trasformerebbe alla radice la Quinta repubblica. E' dunque logico attendersi, in ogni caso, rilevanti novità. Ne è una riprova il pronunciamento ufficiale di molti partiti, oltre al Cds, per la reintroduzione della rappresentanza proporzionale a modifica di un sistema elettorale per molti aspetti perverso. Sarà poi la stessa gravità dei problemi sociali, economici, istituzionali, a spingere, anche in Francia, più verso il cambiamento e l'intesa che verso il gioco delle elezioni a catena nel permanere delle divisioni e della instabilità di governo. Non è quindi da escludere che anche la Francia debba ammettere il logoramento dell'aureo sistema dell'alternanza al potere e l'utilità di forme di democrazia consociativa, fondate sul pluripartitismo e sulla politica di coalizione.

Persone citate: Alberto Benadì, Chirac, Liliana Cavani, Luigi Granelli, Mitterrand, Sartre, Sergio Segre