In tutti i prodotti ci sono sostanze velenoso

In tutti i prodotti ci sono sostanze velenoso Industria chimica, un labirinto che è molto difficile da percorrere In tutti i prodotti ci sono sostanze velenoso A chi spetta compilare le tabelle di nocività? - Il ricatto dell'"indennità di rischio" concessa ai lavoratori C'è un rischio, grande, che si corre nell'addentrarsl nel labirinto delle nocività, vere o presunte, delle sostanze industriali. Ed è quello di farsi inconsapevoli portavoce di interessi che, con il problema dell'ambiente di lavoro, ben poco hanno da spartire. Battaglie colossali, a raffiche di miliardi, sono combattute sui fronti tecnologici dell'Industria mondiale. Fior di scienziati portano avanti ricerche talmente contrastanti da lasciare non solo perplessi, ma fortemente preoccupati per la verginità d'una «scienza' cosi agile nell'assecondare questa o quella tesi. E', questo, un nodo oscuro nel rapporti fra padronato Internazionale, lavoratori e, ultimi anelli della catena produttiva, consumatori. In agosto dell'anno scorso la Du Pont de Nemour, colosso dalla chimica statunitense, ha reso noti I risultati d'una ricerca che dimostra senza ombra di dubbio la cancerogenicltà dell'acrilonitrile, detto anche cianuro di vinile, liquido a temperature normali, usato nella polimerizzazione delle materie plastiche, delle fibre tessili e delle resine sintetiche. Du Pont non ha fatto che confermare le risultanze d'una ricerca effettuata per conto della Manufacturing Chemist Association (MCA) e finanziata dalla stessa Du Pont, dalla Down Chemical, dall'American Cyanamid, e poi da Gulf, Monsanto, Eastman, Uniroyal, Vistron e Borg Warner. Tutto bene, fin qui, ma ecco che si scopre che la stessa Du Pont, con Goodyear, Celanese ed Eastman Chemicals è impegnata nel lancio di un nuovo prodotto, che si chiama «Pet» (polietllenetereftalato). Il quale, messi fuori gioco I derivati dell'acrilonitrile, metterebbe k.o. I concorrenti del colosso americano impegnati sul fronte dell' -Acn». Allora, data per certa la pericolosità dell'acrilonitrile, chi garantisce per il «Pet-? Questo è solo un esemplo di come la concorrenza delle multinazionali possa «creare* un caso e decretare la fine della produzione di un certo tipo di materiale. Posto infatti che si può considerare Impossibile che esistano sostanze sintetiche del tutto Innocue («Dipende solo dal dosaggio- afferma il direttore dell'istituto di ricerche Mario Negri di Milano, prof. Silvio Garattini) ecco che qualsiasi prodotto può essere messo sotto accusa qualora ciò diventi funzionale all'Interesse economico di un'azienda. Diffondendo così una strana sensazione fra i lavoratori e i consumatori: se si urla tanto su tutto — è II ragionamento dell'uomo della strada — vuol dire che non si hanno troppo le Idee chiare. Ed anche gli allarmi perfettamente giustificati fi¬ niscono col cadere nell'indifferenza. Accade cosi che l'Industria chimica, come abbiamo indicato nei giorni scorsi, trovi ampi spazi per l'impiego dello stesso acrilonltrile (nei copolimeri del butadiene), come i cromati di piombo, la fenolformaldeide (che in presenza di acido cloridrico può formare il mici diale blscloro-metil-etere, cancerogeno nella percentuale di una parte su dieci milioni di aria Inalata), la tiourea, cancerogena sui ratti ed usata anche come conservante dei limoni e tanti altri prodotti similmente nocivi. Quali sono I rimedi? Distinguiamo fra le soluzioni a lungo termine e quelle immediatamente realizzabili. A lungo termine esistono gli strumenti tecnici e sociali per intervenire? Esistono e si chiamano «Cnr», cioè Consiglio nazionale delle ricerche e «legislazione». Il «Cnr» dovrebbe e potrebbe assumere In prima persona l'onere di determinati accertamenti, per non lasciare al finanziamento industriale l'Iniziativa, che, in tal modo, è sempre • guidata». La legislazione dovrebbe Imporre criteri ben più severi degli attuali che, amplissimi sulla carta, diventano proprio per ciò eccessivamente vaghi. A breve termine esistono due «ipotesi», che ci appaiono attuabili e, quanto meno, suscettibili di discussione. Una è l'obbligo, da parte dell'Inai!, di cambiare la schedatura delle pratiche affiancando a quella numerica e impersonale di oggi quella distinta per categoria di malattia, in modo da avere subito un panorama preciso della situazione sanitaria in ogni gruppo. All'interno di questi gruppi, poi, una suddivisione aziendale consentirebbe di individuare le varie «fabbriche della morte» prima che ci arrivi un pretore di buona volontà com'è accaduto all'«lpca» di Cirlè. La seconda ipotesi, che ci rendiamo conto destinata a trovare dure opposizioni, è l'abolizione delle indennità di rischio, «penose», «di posto» o come le si voglia definire, inglobandole «una tantum» negli stipendi attuali e mai più riesumandole. I lavoratori non perderebbero quattrini, le aziende non si troverebbero gravate di ulteriori oneri salariali. Ma gli operai, non più ricattabili o «alienabili» con le mille, duemila o cinquemila lire in più (e qualche volta, in certe fabbriche, gli zeri sono anche quattro o cinque), troverebbero forse la forza e la voglia per imporre una lotta «vera» sull'ambiente. La quale sarà anche, come dice qualcuno, «una lotta da tempi di vacche grasse», ma che va fatta, ad ogni costo, prima che sia tardi. Mauro Benedetti

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