Aldo Moro, flessibile "superstar,, di Luca Giurato

Aldo Moro, flessibile "superstar,, IL LEADER PC TRA APERTURE E PRINCIPI INVALICABILI Aldo Moro, flessibile "superstar,, Dalle prime celeberrime formule fino all'attuale duttilità costruttiva nella "convergenza parlamentare" sono passati parecchi anni di storia patria: e quest'uomo è diventato per molti un mito - C'è chi parla di "morologia" come qualcosa che sta tra la scienza e l'arte - Il discorso persuasivo dell'altro giorno rivolto con un filo di voce agli amici e ai "carissimi nemici" Roma, 5 marzo. ! «Lei propone Moro come presidente della Repubblica: perché?» ha chiesto l'altro giorno Gaetano Scardocchia ad Ugo La Malfa. «Perché viviamo in una situazione di grandi difficoltà, e Moro è l'uomo dell'apertura e nel contempo l'uomo che tiene duro su certi problemi fondamentali dello Stato democratico. Essendo poi il capo indiscusso di un grande partito, egli ha un notevole vantaggio su qualsiasi altro candidato». Si sa che, in politica, i pronostici, anche i più autorevoli, sono sempre valsi poco. Il giorno dell'elezione del nuovo Presidente, poi, è ancora lontano ma, stavolta, è assai probabile che la «proposta» lamalfiana si avveri. Del resto, l'altro candidato al Quirinale, ugualmente degno, è proprio lui, Ugo La Malfa, sema con questo voler far torto a chiunque voglia candidarsi, da qui a dicembre, per la prima magistratura dello Stato. Nessuno può mettere in dubbio che anche il leader repubblicano sia uomo di «apertura»; per una intesa d'emergenza con il pei, ha aperto la crisi di governo che si sta felicemente chiudendo, dopo quasi due mesi di diatribe. E' anche un uomo che tiene duro sui problemi dello Stato, tanto che, per tentare di salvarlo, continua a scovare chissà dove, una dopo l'altra, le misure più impopolari, direi deleterie, per un uomo politico: l'ultima, è il blocco degli aumenti salariali per almeno due anni. Un requisito A La Malfa, manca però un «requisito» fondamentale: non è, e non sarà mai, il leader di un grande partito. Moro lo è, ormai incontrastato, malgrado la violenta bufera dell'ultimo «conclave» de. Dunque, via libera a Moro, il solo leader oggi capace delle imprese politicamente più ardue: garantire l'unità della de; mantenere rapporti relativamente amichevoli con socialisti e laici minori; amministrare un «modus vivendi» con il pei senza rotture ma nemmeno senza cedimenti. Gianfranco Piazzesi ha scritto che «forse nemmeno De Gasperi ha mai avuto un tale prestigio e una tale somma di responsabilità». iVoi ricordiamo poco o niente «dell'era De Gasperi», per motivi anagrafici. Viviamo invece, giorno per giorno, ora per ora, ormai quasi minuto per minuto, per motivi professionali, «l'era Moro». E' cominciata all'inizio degli Anni Sessanta e, tra alti e bassi di varia intensità e entità, ha oggi raggiunto un tale fulgore da accingersi a illuminare, dal colle fatidico del Quirinale, almeno tutta la prima metà degli Anni Ottanta. Dalla «strategia dell'attenzione» (prima, sua celeberrima formula di ipotesi di apertura al pei) alla «flessibilità costruttiva» (la sua ultimissima, pronunciata con fil di voce nell'auletta ribollente del conclave de) sono passati molti anni di storia patria. Ed oggi, dopo trenVanni, il pei torna nella maggioranza, ma con un programma tutto democristiano. La de, in altre parole, potrà accordarsi con il pei, ma «entro limiti precisi e invalicabili», perché la maggioranza dovrà scaturire da «una convergenza parlamentare», sia pure con un «disegno politico», senza però «alleanze organiche» con i comunisti. Siamo stati chiari? Nemmeno per sogno. Questo è quanto Moro ha proposto e Berlinguer, alla fine, ha accettato, dopo aver cercato ogni strada per imporre prima il compromesso storico, poi il governo d'emergenza, poi il governo di unità nazionale, poi un patto d'emergenza che, ridotto all'osso, voleva dire maggioranza parlamentare. E' tanto? E' poco? Impossibile rispondere. Sono tempi difficili, complessi, inestricabili. Ieri, comunque, al termine dell'ennesimo vertice, erano tutti soddisfatti, chi più chi meno. Dunque la linea Moro, già definita in ore tutt'altro che remote «linea del Piave», ha vinto. Viva Aldo Moro superstar! Nella burrasca Quest'uomo, in una Italia mai così scettica e così piena di problemi, è ormai davvero un mito. Abbondano libri, biografie e profili sul suo conto, mentre la morologia è già più di una scienza, è un'arte, una musa non sappiamo quanto popolare. Oltre che a De Gasperi, è stato paragonato — còme ricorda Costanzo Costantini nel suo «Messaggi di fumo» — a Giolitti, Depretis, Amleto, Croce, Facta, Kerenski, Machiavelli, Marco Polo; è stato definito grande ideologo, grande politologo, maestro nell'arte di governare gli uomini, un «superdotato in ogni campo, perfino nell'aspetto fisico. Non pochi, infatti, affermano che è un uomo affascinante». Un mito, dunque, sia pure soprattutto tra i politici e nel variopinto microcosmo che gira intorno ai signori del «Palazzo». Gli ultimi esempi sono freschi, quasi uova di giornata. Conclave dei senatori e dei deputati de per decidere se dar via libera ad Andreotti per la piccola apertura al pei. E' subito burrasca nera. Insorgono i «cento», cioè i democristiani contrari ad ogni intesa con i comunisti. «Qui si spara ad altezza d'uomo», confida il deputato Cuminetti a un giornalista amico. Insorgono i dorotei, anche se il loro leader, Piccoli, prende, cautamente ma non troppo, distanze ravvicinate. Ma è un altro brutto colpo per l'accoppiata Moro-Andreotti, che minaccia d'essere travolta quando ai due grupponi si uniscono, con motivazioni diverse, l'irruento Donat-CatUn, gli ex dioscuri RumorColombo. E' finita? Dalla linea del confronto si passa a quella dello scontro? «Calma, calma, oggi parla Moro e tutto si aggiusta. Vedrete. Vedrete...» assicura Franco Evangelisti, celando sempre più a malapena un certo nervosismo. Ma Moro, c'è, arriva, fa il suo discorso? «Non è un discorso, sono delle osservazioni...» sussurra con un fil di voce, quasi a volersi scusare per l'attenzione spasmodica che suscita ogni apparire della sua figura. E' vero, sono «solo» delle osservazioni, sciorinate a braccio, per due ore. Però, in tutto quel tempo, nell'auletta stracolma non vola una mosca; gli occhi degli amici e dei carissimi nemici sono tutti puntati su quel volto da sfinge. «Le cose nuove — dice la sfinge — nascono dalle elezioni del 20 giugno, ma hanno una radice più lontana». «Occorre — continua — un atto di coraggio, sfuggire alla logica paralizzante dei risultati elettorali in modo costruttivo». «Oggi, occorre operare con flessibilità costruttiva — precisa, e nell'auletta i suoi "fans" sono all'acme dell'entusiasmo, mentre i ripensamenti più atroci assalgono i contestatori di vec¬ chia e nuova data — una linea imposta, oltretutto, dai gravi rischi insiti ad un'alternativa a questa». «Ma — è il momento culminante, con un grande, generale applauso — se nell'intesa si toccasse uno solo dei principi di fondo sui quali si basa la de, sarei io il primo a chiedere di presentarmi agli elettori». Fuori, i cronisti avvertono una eco vaga degli applausi e sono sempre più disperati: non c'è un testo del discorso, non si può entrare nell'aula, il tempo stringe e non resta che il suicidio. In tanta angoscia, ecco l'ultimo «miracolo» di Moro superstar: e addirittura in sua assenza, «in via del tutto flessibile e indiretta», come, forse, egli direbbe. Ad uno ad uno, proprio alla spicciolata, escono dall'auletta alcuni dei protagonisti del «conclave». Annunciano nuove mozioni? Altri contrasti? La fine di Andreotti? Udite, udite, portano, invece, umilmente, con grande scrupolo cronistico, mini-cartelle, maxi-foglietti, spezzoni, frasi virgolettate, sintesi cifrate stenografate o incollate nella memoria, del discorso di Moro, anzi del «discorso». Moro ha vinto l'ultima e più difficile delle sue battaglie e ha «provocato» la nascita di una nuova categoria di lavoratori della mente e del braccio: quella del «deputato-cronista», del «senatore-trombettiere». Cosi il «verbo» è stato fatto conoscere al volgo. A poco a poco, il discorso dell'unità, dell'apertura, dell'approfondimento delle intese prende forma e sostanza anche agli occhi dei giornalisti non più disperati ma ormai inebriati, super-lanciati nel proverbiale groviglio di coordinate e di subordinate. Il peggio è passato. Moro lascia l'auletta ripetendo il suo quasi-inchino davanti a tutti. Franco Evangelisti, tornato raggiante, può scatenarsi in un «giu¬ dizio»: «Ano! Io l'ho sempre detto: Moro è er meglio». Subito dopo, la «riflessione»: «... Naturalmente, dopo Giulio». Luca Giurato La fumata bianca (Disegno di Franco Bruna per « Stampa Sera »)

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