Cuba spiegata da Fidel Castro di Furio Colombo

Cuba spiegata da Fidel Castro INCONTRI ALL'AVANA VENT'ANNI DOPO LA RIVOLUZIONE Cuba spiegata da Fidel Castro In tutta l'isola c'è un grande lavoro di costruzione e di ricostruzione - Lo sforzo si riassume nella frase di Castro: "Non c'è niente di male a desiderare il benessere" - Oggi non è più il culto di una persona a reggere e tenere unito il Paese Di ritorno As. Cuba, marzo. Fra il 10 e il 15 marzo Cuba è stata protagonista di eventi che hanno avuto risonanza internazionale e si sono svolti in una sequenza drammatica che è culminata nella piena e improvvisa rivelazione del ruolo cubano in Africa. Il 13 marzo un'edizione speciale di Granma, «organo ufficiale del comitato centrale del partito comunista di Cuba» (che all'Avana si è esaurita in meno di un'ora) ha dedicato la prima pagina e quasi tutte le pagine interne alla situazione in Etiopia, dando per la prima volta, insieme, l'annuncio e \a spiegazione ideologica di una rilevante presenza mili tare cubana in Etiopia. *l giorno 14 marzo ho po tuto ascoltare da Fidel Ca ^S&TX^iJ&K De Baragua, nella provincia d'Qrìente% un'appassionata giustificazione dell'impegno militare in Etiopia e lo sforzo di chiarire il senso nazionale, internazionale, morale I e politico delle scelte cubane in questo momento. Sì trai ta forse del più ampio qua dro di spiegazioni e intenzio ni offerto da Fidel Castro al . l'opinione mondiale in molti \ anni. Prima di lasciare L'Avana, ho avuto una lunga conver sazione con Carlos Rafael Rodriguez, vice primo ministro e vice presidente del Consiglio di Stato, principale rappresentante di quell'antico partito comunista cubano, confluito nel «movimento 26 luglio» quando si sono congiunte le forze della Sierra Maestra di Castro, Cienfuegos e Guevara con la lotta clandestina e l'opposizione intellettuale dell'Avana. Nella settimana preceden- I | ì te avevo viaggiato ali interno i dell'isola, incontrato diri genti del partito comunista cubano, sindacalisti, esponenti del recente organismo noto come Poder Popular, operai, contadini (specialmente tagliatori di canna: siamo in piena stagione del raccolto). Ma anche insegnanti, medici, attori, studenti e cittadini incontrati a caso, in un Paese che ha poco controllo sui movimenti interni, e non assomiglia a ciò che gli europei conoscono come «un Paese dell'Est». A Cuba, date le dimensioni dell'isola, è un po' difficile «truccare» la visita per un giornalista straniero. Vi si oppone, tra l'altro, la natura estroversa e cordiale del Paese, che non sembra essere stata mai scoraggiata. Vi si oppone, anche, la massa di turismo americano e canadese che ormai torna a riversarsi su Cuba, e a cui sono aperti tutti i percorsi, non solo le spiagge ». Mi è subito apparso chiaro (e questo è un parere condiviso dai membri del Congresso americano che hanno visitato Cuba negli ultimi mesi) che il Paese è legato da un certo grado di consenso, non da espedienti di organizzazione o di forza, che questo consenso è abbastanza solido da non temere il confronto con visioni diverse (la radio americana si sente benìssimo, in inglese e in spagnolo, all'Avana, e non viene mai disturbata) e che su questo consenso si reggono le poche istituzioni e il i grande ascendente personale di I idei Castro. E anche., quasi ventanni dall ingresso J Castro all'Avana, non è il di Castro all'Avana, non è culto di una persona a reggere e tenere unito il Paese. Piuttosto, il risultato eviden¬ | ! I\lII I te di un immenso lavoro pe- | dagogico che ha diffuso fidu- ì eia non solo dalla base al i j,ertjce ma anche fra la gen. te. Questa fiducia è oggi più | resistente di qualsiasi mes! saggio di contropropaganda, I e sarebbe illusione pensare di poterla incrinare. Essa ha \ la sua controprova in un lavoro enorme di costruzione e ricostruzione che si vede dappertutto (specialmente l nelle campagne: ho visto gli I stessi luoghi che avevo visiI tato nel 1961: sembra un altro Paese) e in un diffuso decoroso livello di vita (raggiunto nonostante oltre quindici anni di totale isolamento economico da parte degli Stati Uniti). Tutto si riassume nella frase detta da Fidel Castro e ripetutami da Carlos Rafael Rodriguez: «Non c'è niente di male a desiderare il benessere». Impossibile per il visitatore decidere se «il benessere» sia stato raggiunto, tanto più che gli ospiti cubani discutono continuamente e apertamente di difficoltà e di ritardi. Ma poiché nessuno controlla i movimenti del visitatore e poiché questo livello di vita si vede, a caso, un po' dovunque, in campagna più ancora che nelle città, il segno è certamente in direzione dello sviluppo. E lo sviluppo — pur mostrando i segni della fatica — avviene in un'atmosfera più allegra, più aperta, molto meno formalizzata del mondo socialista conosciuto dagli europei. Centro e simbolo di questo sviluppo sono i bambini e i giovani, le ragazze orgogliose con le uniformi dei j «colleges» e le minigonne più corte del mondo, le attrezzature sportive che si vedono in mezzo ai campi, e gli ospedali che sono in costruzione dovunque. Ma il punto di riferimento culturale e morale è V internazio- nalismo. Questa espressione ! c j appare una parola d'ordine di origine leninista. Ma è facile rendersi conto che Cuba ha ereditato l'inclinazione internazionalista dalla sua storia, dal suo irredentismo di un tipo aperto a tutti gli influssi e gli stimoli della cultura liberale del mondo, in una formula storica simile a quella italiana, ma fin dall'origine non di élite, a causa della partecipazione degli ex schiavi, dei negri. Questo punto va ricordato I per ambientare le parole di Fidel Castro sulla piazza di Mangos De Baragua. per I spiegare almeno in parte la presenza cubana in Africa, per evitare il rischio di chiù- j dere una realtà molto complessa e molto intensa in una inadeguata scatola di slogan. Non è un caso che Castro abbia parlato dell'Etiopia dopo avere celebrato il centenario di un generale negro che si era ribellato agli spagnoli, in una situazione più risorgimentale che \ «rivoluzionaria». E dedicando al rapporto fra il passato di Cuba, il suo colonialismo e la sua rivoluzione liberale, molto più tempo che alla «verifica ideologica» dei fatti. Sapeva, evidentemente, a quale radice profonda risponde il senso di identità e il tipo di consenso del suo Paese. Quando è passato dal ricordo del generale Maceo alla guerra in Etiopia, Castro ha detto: «Noi lamentiamo questo conflitto. Tutto è stato fatto per evitare la guerra fra Somalia ed Etiopia. Il 20 marzo dell'altr'anno io ho incontrato nello Yemen i rappresentanti dell'Etiopia e della Somalia. In quella occasione il presidente somalo Siad Barre si è formalmente impegnato a non intervenire nell'Ogaden. Si è impegnato con me. Voi sapete che se si toccano le frontiere storiche in qualsiasi Paese africano, si provoca una vera catastrofe. Anche se è vero che quelle frontiere sono di origine coloniale». Due elementi importanti emergono da questo passo della dichiarazione di Castro. Il primo è la condanna per un uomo e un regime che non ha mantenuto la sua promessa (una promessa considerata di enorme importanza da tutti gli Stati africani): questo fatto può avere motivato un risentimento dell'orgoglio cubano? Ma è il secondo fattore, quello della «catastrofe» in caso di rottura delle frontiere tradizionali, che trova consenso in Africa e che — bisogna notarlo — coincide con l'opinione dell'ambasciatore americano all'Onu, Andrew Young. Ma Young, è stato l'unico ! i i I | ; I che pure 1 membro del governo ameri ! cano ad affermare di «avere I capito» il ruolo cubano in . Angola, ad avere accettato come «naturale» la campo- I nenie africana della cultura i i ! | : : , | i i { I I | j ! j cubana, si è associato alla > domanda di tanti: che cosa \ fanno i cubani in Etiopia? | ! Hanno dovuto restituire in ; questo modo l'aiuto avuto, in tanti anni, quasi solo dal- j l'Unione Sovietica? i d I Fidel Castro nelle dichiarazioni fatte a Mangos De Baragua la sera del 14 marzo non ha mai nominato l'Unione Sovietica. E solo due volte ha congiunto l'espres- , sione «imperialismo» alla j | I j parola «America». Ventanni di isolamento — lo dimostrano le parole pubbliche e private di Castro e lo dimostra il comportamento dei cubani — non hanno costrui¬ to alcun profondo e irreversibile sentimento di odio verso gli Stati Uniti, e niente del genere, in senso politico o pedagogico, viene in questo periodo praticato o insegnato. Resta freddezza, naturalmente. E una prudenza che rasenta la diffidenza o la esprime. Ma l'odio non sembra parte dell'educazione cubana. Il mito dell'internazionalismo invece sì. Ma specialmente nell'identificazione con la radice africana della Cuba povera e schiava. C'è dunque un senso antico e umanitario, in questa interpretazione dell'interna- zionalismo, che solo in po- che formule astratte coinci- de con la stessa parola del lessico leninista. E appare invece, ai cubani, un fatto nazionale, storico e psicolo- I gico profondamente capito. Basta a spiegare per intero la situazione africana? Fidel Castro sembra parlare con la preoccupazione di farsi capire bene, di non suscitare ventate di vanagloria militare, di non dare l'immagine o lo stordimento della «grande potenza». Prima del suo discorso, prima della «edizione unica» di Gramma dedicata interamente alla guerra in Africa, radio e giornali cubani avevano dato, dell'Etiopia, notizie sobrie e senza interpretazione. Vuol dire che solo la vittoria ha potuto rendere popolare uno sforzo non popolare? La risposta è difficiI le. Ma la passione pedagogì- ■ I ! | j I ! | ca, il render conto puntuale, | minuto, spiegato fino al det- | taglìo, con cui Fidel Castro i ! espone lo svolgersi degli ! eventi, fa pensare a un inedi- i to rapporto assembleare \ che, certo, la dimensione del j Paese rende possibile. Ma i che non potrebbe evitare di \ raccogliere, se ci fosse, e se fosse diffuso, il dissenso. Deve essere ricordato comunque che anche a Mangos De Baragua la maggior parte delle citazioni, dei riferimenti e del compiacimento orgoglioso di Fidel Castro è andato all'Angola. E sul rapporto «naturale» fra Cuba e l'Angola non sembrano esservi dubbi fra i cubani. Si sente che non è una parola d'ordine di partito. Nei giorni della mia presenza a Cuba è stato dedicato più tempo alla celebrazione della partenza per l'Angola di una «brigata» di insegnanti elementari, di quanto sia stato dedicato all'intera vicenda bellica dell'Etiopia. Nonostante il tono a volte febbrile delle riunioni pubbliche e politiche, ogni richiamo a una attività umana e morale (ospedali, maestri, dottori) sembra istintivamente più popolare del richiamo a una guerra. Calcolo il tempo: le frasi che ascolto da Fidel Castro, dedicate all'aspetto pedagogico, educativo, sono molto più calde e frequenti di quelle dedicate, in qualunque forma, alla guerra. Ha importanza, per l'orgoglio cubano (che qualche visitatore da «hi- I straniero definisce \ dalgo» ), il dovere del paga mento dei «debiti»? j Uno dei debiti è verso l'U \ nione Sovietica, che ha tenu I to in piedi il Paese in tutti ' questi anni. Inutile rìcorda- I re ai cubani la convenienza strategica e politica dei russi. Essi non dimenticano da dove è venuto il solo aiuto possibile quando la loro situazione era disperata. L'altro è il « debito di civiltà », come dice ancora Fidel Castro, verso l'Africa. Questo sentimento è certamente il più radicato, e spiega la «comprensione» di Andrew Young sulla presenza cubana in Angola. ■ Sambra un segno di solileI vo, a Cuba, che l'impresa ! etiopica sia finita. Un solile| vo senza grandi celebrazioni. j Ma basandomi su quello che I ho visto e ascoltato, sulle pa! role di Castro, sugli altri col| loqui di cui riferirò nei prossimi giorni, penso che sia un | errore immaginare o aspet | tarsi un «ripensamento» cu i bano sulla presenza in Afri ! ca. Piuttosto, se la cintura di i diffidenza intorno a Cuba fi- i \ nirà di essere così rigida da j parte della cultura politica i occidentale, e possibile che \ \ vi sia in futuro una «cuba- nizzazione» della presenza di j questo Paese in Africa. Cioè j un ruolo progressivamente più indipendente. Fra un anno ci sarà all'Avana la assise mondiale dei Paesi «non allineati» del mondo. In quel momento, dipenderà, credo, dal grado di autonomia economica, di accesso ai mercati, di libera diponibilità delle risorse, se il tipo di internazionalismo «naturale e storico» di Cuba potrà prevalere sulle formule che dividono il mondo. Furio Colombo I . \ I ! L'Avana. Fidel Castro, in una recente immagine (foto Grazia Neri)