Un poeta educatore nella Guinea Bissau di Liliana Madeo

Un poeta educatore nella Guinea Bissau Un poeta educatore nella Guinea Bissau Guinea Bissau, marzo. «I poeti precorrono la storia. La storia non si capisce senza la poesia», dice Mario De Andrade, poeta angolano e rivoluzionario, scrittore e guerrigliero nelle lotte di liberazione delle ex colonie portoghesi africane, critico letterario e da un anno dirigente in Guinea Bissau di un dipartimento del Commissariato di Stato per l'Educazione. Il tono è semplice. Il senso delle sue parole ben più ampio: De Andrade sintetizza come si ricompone in lui la divaricazione fra «pubblico» e «privato», vocazione artistica e impegno politico, come anche attraverso la poesia — che sprigiona ed esalta la creatività dell'uomo — passi il progetto di «liberazione dell'uomo» e la realizzazione di quell'ideale umano che è il socialismo. E' un uomo squisito, con capelli grigi e movenze eleganti. Lo incontriamo nel suo ufficio, una grande stanza piena di libri e scrivanie, quando gli altri collaboratori sono già andati via. Indossa una camicia leggera, rosa. Parla benissimo, fra le altre lingue, anche l'italiano. Incomincia a tracciare i piani del governo nel campo dell'educazione e la realtà del Paese. Sembra aver assunto l'ufficialità del ruolo. Poi gli cliiedip.mo del suo rapporto, come poeta, con questo intervento sull'esterno. Allora s'illumina, le parole si fanno più suggestive e appassionate. Appare — come lo descriveva in uno dei suoi libri lo storico inglese Basii Davidson — «uno scrittore dagli occhi luminosi e dalle mani danzanti che racchiudono la storia del suo popolo, un cervello acuto che non ha permesso al latino e al greco appresi al seminario e all'università di annebbiargli l'esatta percezione del mondo». Malaria, analfabetismo Racconta degli studi compiuti a Lisbona e a Roma, del soggiorno a Parigi — in esilio — quando dirigeva la rivista Presence Africaine, della «riafricanizzazìone — la riappropriazione della lingua e della cultura della propria terra, cioè il recupero della propria identità — cui insieme con Amilcar Cabrai e Agostinho Neto si dedicò quando si rese conto che la condizione di «assìmilado» lo isolava anziché unirlo ai fratelli africani: e allora divenne poeta nella lingua nativa, il kimbundu. Poi, la guerra di liberazione. Ora, il tempo della ricostruzione. «Si sta compiendo un grande sforzo, per uscire dal sottosviluppo ereditato dai portoghesi, dice. / tempi sono lunghi». Il Paese è assalito da mille necessità. Manca persino un censimento della popo¬ lazione, che si suppone si aggiri intorno al milione, su un territorio ampio quanto la Svizzera o l'Olanda. La mortalità infantile nei primi cinque anni di vita, è di circa il 50 per cento. L'analfabetismo è del 90 per cento. Mali endemici sono la malaria, l'alcolismo, la macrocefalia. Gli impianti industriali lasciati dai colonizzatori sono inesistenti e arcaici. Le colture agricole — su cui poggia l'economia del Paese — appena sufficienti al consumo interno. Nelle campagne esiste ancora la poligamia, ufficialmente proibita, ma legata al problema della sopravvivenza e al mercato della mano d'opera. In alcune zone la struttura sociale ed economica poggia tutta sulla fatica delle donne, che conducono avanti sia la famiglia sia l'organizzazione del lavoro nei campi. «Durante la lotta di liberazione guerriglieri entravano nelle capanne e snidavano gli uomini, che oziavano e attendevano il ritorno delle mogli per farsi servire», ci aveva raccontato Carmen Pereira, vicepresidente dell'assemblea nazionale. Insieme con i problemi dell'agricoltura e della salute, quello dell'istruzione è un nodo alla cui soluzione viene data la priorità. La campagna dell'alfabetizzazione è in atto. Incomincia anzitutto con un contatto diretto con gli abi¬ tanti dei villaggi interni e dei quartieri più desolati della periferia. Si paria loro di igiene, di norme sanitarie, dei rapporti con le istituzioni (come la scuola e l'ospedale). C'è il problema di rispettare convinzioni e consuetudini antiche. C'è il problema della lingua, dei 25 dialetti che vengono parlati nel Paese da altrettante comunità. Il portoghese è la lingua ufficiale e inizialmente si tentò di insegnarla a tutti. Adesso si è scelta una via intermedia e più graduale, l'utilizzazione del creolo, una sorta di mescolanza fra gli idiomi indigeni e il portoghese, che è più diffusa e accessibile. La guerra ha permesso un grande intreccio di linguaggi, scambi fra città e campagna, contadini e militari, emarginati e quadri politici, giovani e vecchi. / bambini del villaggio Alcuni, fra le nuove leve, non conoscono né il creolo né le lingue delle tribù. Un giovane studioso americano sta curando un dizionario portoghese-creolo. Contributi all'alfabetizzazione vengono da missionari cattolici, giovani che compiono il servizio civile, studenti e tecnici provenienti dall'Italia come da Cuba e dall'Urss. Piccole scuole all'aperto, per bambini e adulti, sorgono ovunque, ai margini della boscaglia, al centro di sperduti villaggi. In linea generale gli obbiettivi sono questi: democratizzazione della cultura, cioè dare a tutti possibilità di accesso all'esercizio e alla creatività delle espressioni culturali; consolidamento della cultura nazionale, recuperare ! la propria storia e identità, riconoscendogli valore e di- Ignita; collegamento con la realtà dei Paesi tecnologicamente più avanzati. In un villaggio interno, Mores, da dove la guerriglia era partita, i bambini imparavano la storia della Guinea Bissau su un libro di testo di fattura tradizionale. De Andrade riconosce: «Il nostro compito è ambizioso. E' chiaro storicamente che l'insieme della società farà propri certi mezzi di comunicazione, quelli appunto privilegiati dai Paesi più avanzati. No: non possiamo prescindere da ciò. Nello stesso tempo vogliamo valorizzare tutte le possibilità creative del popolo, vogliamo anche rispettare je salvaguardare quel patrimonio di cultura popolare che è soltanto orale. Sono esigenze diverse, che affrontiamo con una metodologia flessibile. La simbiosi fra livelli e modalità culturali così differenziate non è facile. Un giorno arriveremo a realizzarla: il proces- | so che stiamo vivendo è as- I solutamente nuovo, affasci- I nante». Liliana Madeo

Persone citate: Basii Davidson, Carmen Pereira, De Andrade, Mario De Andrade, Mores, Neto