I cervelli russi in America

I cervelli russi in America I cervelli russi in America Accanto a Solzenicyn, Rostropovich, Brodsky, cresce il gruppo di intellettuali in esilio - Come vivono, che dicono l Dal nostro corrispondente) New York, marzo. Una fotografia apparsa sei o sette mesi fa su un settima naie americano come illustrazione per un articolo sulla musica mi è capitata sotto gli occhi nei giorni scorsi. Porse l'impressione che ho provato si deve al fatto che, durante questo periodo, ho incontrato le persone di quel ritratto. Adesso potrebbe servire per la copertina di un libro intitolato / russi in esilio. Nella foto si vedono il poeta Joseph Brodsky, il danzatore Baryshnikov e il musicista e direttore d'orchestra Rostropovich mentre sorridono insieme all'obbiettivo e si tengono per mano. Certamente ogni Paese ha i suoi emigrati, e una città come New York è popolata da colonie di ogni nazione. Ma chi si intende di cose russe guarderà con speciale attenzione quella fotografia. Brodsky, Baryshnikov e Rostropovich non sono nomi fra altri. Sono, dicono gli esperti, il più straordinario musicista, il più bravo ballerino e il più geniale poeta di questi anni. Parlare con loro è imbarazzante. Si può dire «russi» sapendo che l'Unione Sovietica è un insieme di Stati-nazioni con radici profon damente diverse? Ma come chiamare «sovietici» questi intellettuali di prima fila che hanno deciso — o hanno do vuto farlo per ragioni politiche — di vivere all'estero? «Russi, diciamo russi», risponde Joseph Brodsky con ! un sorriso un po' timido, un po' di provocazione. Brodsky ! si limita a considerare se j stesso «un involontario esilia- ! to» senza molto desiderio di raccontare la sua storia. E' i stato a Venezia, ha partecipa-1 to con passione alla Biennale I del dissenso e con la stessa passione si è scontrato con il | giudizio polemico dello stu dioso italiano Vittorio Stra-1 da. Argomento di Brodsky: ]un critico, per quanto rispet-1tabile, non ha il diritto di in- jtervenire sulla vita e sulle |scelte degli altri. |Il poeta mostra se stesso e .dice semplicemente: «Sono |qui, non a Mosca. Qualunque sia la teoria di Vittorio Stra da sul dissenso, se un poeta non vive nel suo Paese ci deve essere una ragione». E' la prima volta che una importante colonia di intellettuali di grandissima qualità, circondati dal riconoscimento critico e professionale del mondo, vivono fuori del loro Paese «per ragioni involontarie» come dice Brodsky, in un periodo che non è di guerra e non è di rivoluzione. Ma il gruppo dei «russi d'America» è importante e si al larga, e non è possibile ignorarli culturalmente o accanto narli come un gruppetto di vite private. Aleksandr Solzenicyn vive non lontano da qui (in una fattoria del Vermont). E anche se l'esilio di alcuni dei «nuovi russi» si de-ve all'originaria solidarietà con lo scrittore deportato, ognuno ha una sua vita, una sua immagine, che non dipen- de dagli altri. Li lega, nella tradizione dell'esilio, una cui- tura che a loro non solo pare solida e rilevante, ma « l'uni-ca». Quando legge in russo, Rostropovich afferma di occuparsi di autori come Siniavsky, Nekrasov, Maximov che non sono (o non sono più) pubblicati nell'Urss.

Luoghi citati: America, Mosca, New York, Stra, Unione Sovietica, Urss, Venezia, Vermont