Morti ammazzati per cinque miliardi
Morti ammazzati per cinque miliardi PRIME VISIONI SULLO SCHERMO Morti ammazzati per cinque miliardi La mazzetta di Sergio Corbucci, con Nino Man/redi, Ugo Tognazzi, Paolo Sloppa. Italia, colori. Cinema Ambrosio. La formula funziona. Il pubblico accorre numeroso e si diverte. Nei momenti di crisi il cinema italiano riesce sempre a cavare l'asso buono dalla manica. Inventò in diverse epoche il filone dei Maciste, la commedia all'italiana, il western ciociaro, il sexy domestico. Ora sembra aver scoperto il «giallo» straciltadino. Il fortunato debutto è segnato da La donna della domenica (1975), di Comencini, ispirato al romanzo di Frutterò e Lucentini. Dopo un lungo intervallo d'attesa, in cui si può inserire l'exploit della Stanza del vescovo di Risi, ecco in pochi mesi la serie: Doppio delitto di Steno, // gallo ancora di Comencini e La mazzetta di Sergio Corbucci. Lo schema narrativo presenta molte affinità: un ambiente cittadino realistico che nasconde vergognose magagne e corruzione (Torino, Roma, Napoli), un coro di caratteri e macchiette, qualche omicidio, una moderata suspense temperata dai toni della commedia, un detective professionale o improvvisato che nella soluzione del caso trova anche chiarezza alla sua crisi personale. La chiave del successo è legata strettamente al protagonista intorno al quale ruota tutta la vicenda. Deve essere un attore di grande simpatia, capace di variare dal comico al drammatico con naturalezza. La scelta finora si è limitata al nostro «parco divi» più collaudalo: Mastroianni (due volte); Tognazzi (ire volte), Manfredi (una volta). Mancano all'appello soltanto Gassman e Sordi. Nella Mazzetta, film ispirato liberamente ad un romanzo di Attilio Vcraldi (ed. Rizzoli), l'intreccio ha come sfondo la Napoli della speculazione edilizia e come star due assi del box-office del calibro di Manfredi e Tognazzi. Sasà (Manfredi) è un avvocaticchio che vive di affarucci, spesso fuori dai confini della legalità, e di cambiali. Il suo ufficio è un bar, la sua clientela abituale un mondo di sottoproletari e intrallazzatori. Non stupisce che un personaggio del genere capiti invischiato in una feroce guerra di appalti tra due soci pronti a lasciare una scia di morti ammazzati per un affare da cinque miliardi. In questa lotta che fornisce la sostanza civile della storia, s'innestano questioni di corna e ricatti, una ragazza fuggita di casa, un commissario di polizia (Tognazzi). Il bagno nel fango più profondo della corruzione e della amoralità risulta vivificante per la coscienza dell'avvocato. Nella sequenza finale, collocate al loro posto le tessere del mosaico, messe le mani su documenti compromettenti, Sasà vuol rinunciare alla «mazzetta» di milioni che gli tocca per denunciare alla polizia o all'opinione pubblica lo scandalo. Ma è una storia italiana: perciò il commissario zelante è stato rimosso dall'incarico, la gente traduce il fattaccio in numeri del lotto, il caso si avvia alla normale insabbiatura. Privilegiando gli attori sull'intreccio, che ricorda certi classici della giallistica americana, Corbucci ha dato via libera al bravo Mani redi tutto furbizie da vecchio comico e strizzatine d'occhio verso il pubblico. Un «a solo» da gran tenore, sottolineato dalle frequenti risate degli spettatori. Completano la «trinità» recitativa due attori «a latcre» di lusso come Tognazzi, che sembra autocitare il suo Commissario Pepe, e Paolo Stoppa, una «carogna» di grande efficacia. s. c.
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