L'«Idiota» di Bruno Cirino un naif che sembra Charlot

L'«Idiota» di Bruno Cirino un naif che sembra Charlot Al Carignano lo spettacolo da Dostoevskij L'«Idiota» di Bruno Cirino un naif che sembra Charlot Curioso destino quello di Dostoevskij. Drammaturgo fallito (due drammi giovanili, sulla Stuarda e sul Godunov, furono da lui distrutti), appassionato di teatro (recitò a quarant 'anni nel Revisore di Cogol) al punto da sfruttarlo come motivo di racconto (basterebbe a dimostrarlo lo stupendo secondo capitolo delle Memorie di una casa di morti, dove gli ergastolani della Siberia recitano una commedia popolaresca), lo scrittore russo è sulle scene da oltre cent'anni grazie alle riduzioni teatrali dei suoi romanzi. Molte recano firme prestigiose: Stanislavskij, Nemirovic - Dancenko in Russia e, in Europa, Copeau e Baty, Corrado Alvaro e Diego Fabbri. Angelo Dallagiacoma (giovane commediografo e valente traduttore da Shakespeare) ha curato un nuovo adattamento dell'Idiota, andato in scena l'altra sera al Carignano, a cura della Cooperativa Teatroggi, per la regia di Aldo Trionfo, protagonista Bruno Cirino. Sbaglierebbe chi s'aspettasse di veder snodarsi sulla scena, magari per episodi salienti, la vicenda esistenziale del povero ed epilettico principe Myskin, rientrato in Russia dalla Svizzera dov'è stato curato per malattie mentali. Totalmente e irresistibilmente « buono », Myskin è fagocitato dalla elegante società di Pietroburgo, agitala da passioni funeste e calcoli atroci. Vi si intrecciano alleanze, vi si progettano matrimoni con lo stesso indisturbato cinismo. La tracotanza, la corruzione non conoscono confini. Goffo, indifeso, sincero e ingenuo, Myskin esercita uno strano fascino su questi personaggi prepotenti e vili. Il vortice che trascinerà tutti nelle sue spire scaturisce proprio dall'incertezza « biologica » con cui Myskin oscilla tra la viziata e inquieta Aglaja, figlia del generale Epancin, e l'orgogliosa Nastasja Filippovna, mantenuta sin dall'adolescenza dal proprietario terriero Totskij e amata dal passionale Rogozin. Sarà costui ad ucciderla quando avrà inteso, nella sua folle gelosia, che il cuore di Nastasja batte per a l'idoia » Myskin. Il nucleo della vicenda si mantiene dunque intutto anche nel testo di Dallagiacoma. Ma la narrazione è tutt'allro che tradizionale. L'autore e Trionfo si sono affidati ad una metafora di partenza: il treno che riporta Myskin in patria diventa il luogo deputato dell'intera azione: e sin dalle prime battute, vi si affollano tutti i personaggi, che s'alzano e risiedono su poltrone di un ottocentesco scompartimento di prima classe; dall'alto cadono lunghi velari rosso fuoco, che li avvolgono di continuo nelle loro spire (la scena, suggestiva, nell'impianto fisso, porta la firma di Lele Luzzati; ed un tocco di eleganza aggiungono gli accesi costumi femminili, dea rosso al rosa al violetto, di Piero Tosi). All'interno di questo assordante viaggio verso il nulla, la passione dominante di ognuno, a lungo sopita, si esplicita: Aglaja sogna l'evasione dalla Russia dal soffocante perbenismo verso l'Europa « libera »; Nastasja tenta inutilmente la via della redenzione; Rogozin si distrugge nella propria febbre, che, più che d'amore, è nutrita di un disperato narcisismo; Totskij il finanziere, il generale Epancin, il suo segretario Ganja, la generalessa Elisavjeta almanaccano calcoli, architettano speculazioni, in una nevrosi di autoaffermazione. Tra tutti, vaga, stupefatta e stordita, l'« anitnula blandula » di Myskin: è l'unico che potrebbe riscattare i proprii simili, accenderli del sacro fuoco della bontà e della verità, ma è smarrito e impotente più di loro. Anche Myskin è, secondo Dostoevskij, un fallito: come il nihilista Terentjev, che viaggia (e la trovata è felice) sul predellino di quel vagone immaginario, è sempre sul punto di aprire un plico, enunciare i principi del suo vangelo rivoluzionario: e quando, infine, lo farà, leggerà una trita storia qualunque. L'impostazione dell'autore e del regista è, come vedete, audace e originale: la resa letteraria e il risultato interpretativo sono molto meno persuasivi. Il testo di Dallagiacoma è spesso prolisso. D'accordo che nel « romanzo totale » di Dostoevskij si discute di tutto: ma qui sia- | mo a teatro, dove l'essenzialità della parola e la sostenutezza del ritmo narrativo sono pregi insopprimibili. Che la logorrea di Myskin annoi gli spettatori normali (assai intemperanti, alla prima) è nella logica delle cose umane: ma che riesca uggiosa anche agii addetti ai lavori è più preoccupante. Gli attori, sommersi in quel mare di parole, stentano a dare spessore ai personaggi. Dei tre citati in ditta, la migliore m'è parsa Leda Negrotti, che riesce a dare una misura di maestosa, a tratti ieratica cupezza a Nastasja, prostituta senza riscatto. Eccellente anche Roberto Bisacco, nel proselitismo (steroide, da apostolo senza turbe, di Terentjev. Spiace di dover osservare che il Myskin di Bruno Cirino non attinga mai alla dolente, sgomenta eleganza del personaggio dostoevskijano. Il « principe povero » ha una sua cifra di lucida, superiore avvedutezza in quell'essere sballottato come un vaso di coccio tra tanti vasi di ferro. Cirino è invece soltanto tenero e naif, una specie di Charlot piovuto dal cielo nella Russia degli Zar. Guido Davico Bonino

Luoghi citati: Copeau, Europa, Pietroburgo, Russia, Siberia