Un 'arte venata di antifascismo

Un 'arte venata di antifascismo Un 'arte venata di antifascismo lismo che sarà, credo, fra le sorprese della rassegna. Quotidiano che non vuol dire riduzione al banale o all'immediato: certe tensioni stilistiche c talune ricerche formali che trapassano dalla pittura alla cartellonistica alle arti applicate sottolineano una analisi e una volontà di durata e intensità che sconfessa ogni adagiarsi nel banale e nel contingente. Lo scarto fra queste emergenze e la politica capillare di collettivizzazione giocata da giornali, film luce e radio, c il modo di vita giornaliera di una fetta di città può emergere non solo dalle differenti «immagini» che le varie sezioni della mostra propongono, ma può esser un po' meglio capita restituendo alla nozione di città, di Torino in un certo periodo, un senso più complesso, più ricco e contraddittorio. E, ciò che più conta, in cui il momento estetico, artistico non prenda il sopravvento, non abbia priorità su altri aspetti e momenti e fenomenologie: né che accada l'opposto, con un sociologismo automatico e rozzo. La novità della mostra è nel rovesciare il calcolo delle priorità: non una struttura che ha il suo massimo nelle manifestazioni artistiche e le pezze d'appoggio altrove, ma un contenitore in cui si incastrino frammenti di una conoscenza di cui vanno suggerite varietà e complessità di echi e rimandi; in modo orizzontale La struttura della mostra vuol suggerire tutto ciò: contenendo urbanistica e editoria, arti applicate e meccanismi del consenso, musica e teatro, pittura r. organizzazione del potere lungo un itinerario, opera degli architetti Bruno e Levi e dei loro collaboratori, che lega, connette e confronta senza forzare i termini di relazione. Mostra che si confronta con l'altra parte, assolutamente integrante di questa ospitata a Borgo San Paolo sul tema del Borgo fra le due guerre. Non è un episodio banale di «decentramento», mi pare, questa quotidianità di ieri riletta oggi nello stesso contesto urbano e sociale e con uno sforzo di metodo c di proposta espositiva assai meditato: è un indice del filo che tiene insieme, e giustifica, questa mostra, di rileggere una pagina di storia considerandola più da vicino rispetto al suo «territorio» fisico culturale e storico. Che dovrebbe essere il compito delle mostre fatte dagli enti pubblici. Paolo Fossati La sezione «arti figurative» di Torino tra le due guerre s'apre col jorle Ritratto d'uomo di Evangelina Alciati, con Mio padre eli Manzone, Scodelle di Casorati e col rimando, per Contadini al sole di Carena, alle sale di esposizione permanente della Galleria dove la tela è stata lasciata (come altre) per ovviare al limitato spazio a disposizione. Son tutte opere comparse a Torino nel 1919 alla prima esposizione nazionale organizzata dalla Promotrice a meno di un anno dalla fine della guerra, e di quella rassegna ripropongono it clima, insie- me a II grano e le case in cui Valinotti aveva dipinto un angolo della città che ricordava la dura economia del periodo bellico. S'ha così subito un'idea delle immagini di questa mostra non panoramica, ma indicativa. — nelle sue scelte ragionate — di certe essenziali linee di tendenza e dei caratteri di un ambiente. Lo stesso allestimento curato da Laura Levi sottolinea i momenti più significativi in cui l'esposizione si articola muovendo dall'immediato dopoguerra in cui si notano ancora Buratti, Carena, Chessa. Reviglione, Fer¬ ro. Vi si isola Casorati con la sua folta scuola e. subito, emerge Cremona. Un gruppo di vedute torinesi ricorda tra l'altro l'interesse suscitato nel '26 dalla mostra organizzala dalla Società «A. Fontanesi» (presieduta da Casorati) proprio su questo tema che attrasse anche alcuni incisori (Bogiione, Dogliani, De Fornaris che ne seppe intendere anche taluni aspetti più struggenti). Irrompono alla prima svolta i Futuristi torinesi, con Fillio, Diulgheroff (anche nella progettazione architettonica di interni), Mino Rosso, con All'imandi e Costa, Pozzo e i consonanti Spazzapan e Sturani. Subito dopo i «Sei» (la Boswell, Chessa, Galante, Levi, Menzio, Paulucci) rievocano la cultura che li unì, pur nelle differenze dei loro temperamenti, per dialogare poi con alcuni amici divenuti qui loro dirimpettai: l'ardi. Levi Mon- talcini, autore di alcuni vigorosi ritratti di colleglli (Pagano, Morelli, Passanti), Cino Bozzetti, incisore stupendo, Ugo e Nella Malvano (ormai fuori, questa, dai più diretti influssi casoratiani), Terzolo, meditativo al massimo, Spazzapan sempre più pittore, e quindi Sobrero, Da Milano, Cravenzola (una delle rivelazioni della mostra) c Rambaudi scultore, già aperto alle astrazioni [ormali. Più innanzi, colpisce l'acuta sensibilità di Peluzzi che per sola modestia volle tenersi lontano dall'insegnamento artistico nel quale ebbero viceversa ruoli diversi non soltanto l'accademismo del « senatore » Grosso e il naturale magistero di Casorati; Paulucci, Menzio, Cremona (o di Carena che insegnò però a Firenze), ma anche Calvi di Bergolo, Deabate, Morbelli, TerzoIo, come più tardi Martina, e così scultori come Rubino, Balzardi, Baglioni, Terracini o Guerrisi (che all'Albertina insegnò Storia dell'arte e fu equanime segretario del sindacato fascista) e Garelli che, medico, finì per farvi amare il disegno anatomico. L'ultimo tratto della mostra riflette l'estremo scorcio degli Anni '50 in cui ritornano più decisamente Galvano, colto; Chicco già attento alla materia; Cremona nel momento in cui s'accentua il gusto surreale in tangenza con le quasi magiche sue atmosfere: ed altri nomi, da Becchis a Levrero. da Gariazzo alla Vagliasìndi, con Iribaudino, il limpido Colombi e Politi, esempi di un'arte esercitata con impegno e sensibilità resi anche più evidenti nell'ultimo Sturani e in Scroppo. A chiudere la rassegna, così come l'aveva aperta, è ancora una originale e viva presenza femminile: Carol Rama. Questo, il quadro della Torino artistica in quel ventennio in cui il fascismo, assunto il potere, mirò alla conquista di ogni istituzione culturale e alla più estesa organizzazione del consenso. Ciò che risultò abbastanza difficile in questo campo: Casorati era subilo apparso legato a Gobetti, Lionello Venturi preferiva l'esilio al giuramento fascista, mentre a causa di una sfortunata impresa finanziaria, Gualino, inviso a Mussolini, era subito arrestato e «confinalo»; inline, Carlo Levi con altri amici del Liceo d'Azeglio aveva dovuto rispondere dei propri sentimenti e opinioni davanti al tribunale, subendo carcere e confino. Proprio a Torino v'era, oltretutto, da fare i conti con una cultura che da sempre aveva mostrato una chiara vocazione europea, in naturale antagonismo col nazionalismo del Novecento Italiano. Non certo qui potevano nascere i ritratti mussoliniani che di tanto in tanto comparivano a Biennali e Quadriennali, se nella stessa sua Struttura d'una testa Mino Rosso aveva spinto così in primo piano quella straordinaria «mascella volitiva» da far pensare al possibile intento caricaturale d'un Futurismo anche beffardo. La tessa scultura ufficiale (Canonica, Rubino) nei suoi monumenti previlegiò piuttosto il valore militare, tant'è che la figura del duca d'Aosta potè attrarre allora persino Arturo Martini (in coppia con Pagano) sino a farne il vincitore morale del concorso in cui Mussolini gli preferì il Baroni. Non vi è quindi da stupirsi se, come attestano i cataloghi delle mostre dell'epoca, gli artisti torinesi tendevano a celebrare invece le immagini d'un mondo domestico, permeato dallo spirito e dal sentimento del «quotidiano». Dipingevano o scolpivano «ritratti», spesso di familiari ed amici, attraverso i quali si può leggere come in trasparenza la vita di ognuno, gli affetti, le consonanze estetiche, ma anche l'impegno civico sino alla militanza politica che ad esempio unì Carlo Levi ai numerosi personaggi da lui ritratti. Dipingevano «vedute» che dovevano nascere dal bisogno dell'artista di verificare la propria identità nella concretezza di un'immagine ben ferma nella loro mente, e «nature morte», in cui i pittori cercavano più flessibili modelli destinati a farsi occasione di originali, pure ricerche di forme e colori. Angelo Dragone Piazza San Carlo: nei cristalli dei padiglioni eretti per ospitarvi i negozi durante la ricostruzione di via Roma, il riflesso dell'architettura del Castellamonte (1932)

Luoghi citati: Aosta, Bergolo, Borgo San Paolo, Cremona, Firenze, Torino