Il pubblico ministero dice: "Voglio il processo i brigatisti alla sbarra non si devono illudere" di Clemente Granata

Il pubblico ministero dice: "Voglio il processo i brigatisti alla sbarra non si devono illudere" A Palazzo di giustizia fra i magistrati subito dopo il massacro di Roma Il pubblico ministero dice: "Voglio il processo i brigatisti alla sbarra non si devono illudere" Si corre a Palazzo di giustizia con il cuore in tumulto. La radio ha appena dato la notizia: Moro rapito, gli uomini della scorta massacrati. Di nuovo le Br? Non lo si sa ancora, ma lo si sospetta. E una prima conferma giungerà tra poco: con una telefonata all'Ansa i terroristi rivendicheranno sequestro e sangue. Si sa che cosa può significare questo per Torino, per una città profondamente scossa, ferita, e che pure, sinora, ha saputo reagire con civile fermezza: può significare una nuova minaccia al processo in corso. Come reagiranno i giurati? Quali reazioni ci saranno da parte dei magistrati se le Br, come si ritiene probabile, rilanceranno l'infame ricatto, già tentato nella primavera del '74 per il giudice Sossi: fuori i brigatisti in cambio di Moro? Si corre dunque a Palazzo di giustizia con il cuore in tumulto e con mille interrogativi, che urgono. La notizia del nefando delitto incomincia a diffondersi per la città. Nell'atrio di Porta Nuova, un ferroviere arringa i compagni di lavoro. «Dobbiamo fermarci, questa è una sfida che non può essere tollerata». Crocchi lungo le strade. C'è chi grida: «Pena di morte, pena di morte». Ma altrove si ascoltano discorsi meno concitati. Ed è ciò che conta in momenti come questi. Dal presidente della corte d'assise, Barbaro. E' seduto nel suo studio. Accanto a lui il giudice a latere Mitola ed il cancelliere Ferlito. Lunedì è fissata la quinta udienza del processo ai brigatisti. Questi avrebbero dovuto essere giorni di pausa, meditazione. Barbaro ha uno stanco sorriso. Ci dice: «Si ricorda del di- scorso che le ho fatto l'altro giorno a proposito delle bat- taglie processuali annunciate dagli avvocati in aule? Avevo idetto: "Vorrei che ci fossero \ soltanto battaglie procedura li". Temevo che prima dell'udienza sarebbe accaduto qualcosa di molto grave. Purtroppo...». E ora? Barbaro indica il telefono: «Potrebbe squillare da un momento all'altro. Io starò qui tutto il pomerig-1 gio. Se necessario farò venire j anche i giurati. Saremo a di- \ sposizione per qualsiasi con vocazione d'urgenza. Non posso dire altro». (A sera Barbaro dirà: «Nessuno ha ri-1 tenuto necessario informarci i dei fatti di Roma»). E un'e-1 ventuale richiesta di libertà provvisoria dei brigatisti? Scuote il capo: «E' prematuro affrontare certe questioni. La decisione in ogni caso sarà collegiale ed il p.m. deve dare il suo parere preventivo. Sarà suo il primo atto del dramma». Il pubblico ministero Moschella appare sereno, nonostante tutto. Ed è prova di coraggio quanto mai necessaria. Le sue prime parole sono incisive ed hanno il sapore di una sfida: «Io, il processo voglio farlo». Come dire: i brigatisti possono minacciare, ricattare, terrorizzare, io sto qui fermo, farò di tutto perché la macchina processuale non si arresti. Aggiunge: «E' chiaro comunque che ogni eventuale decisione sulla libertà provvisoria agli imputati riguarderà l'ufficio del pubblico ministero nella sua interezza. E anche la procura generale non potrà rimanere estranea, pur non avendo una specifica competenza». Squilla il telefono. E' il car- cere. Ci sono notizie sui quin- dici «capi storici» delle Br. Hanno accolto, informano Moschetta, con «manìfestazio- ni di compiacimento» la noti- zia del crimine. Poi si sono Nessuna emotività. Gli agenti non accettino provocazioni Ma che cosa credono di otte succeduti le urla, gli slogans, mento di quella gente si fon da suua nostra paura. Biso i canti. Mosche'.la all'interlo-cutore che telefona dalle «Nuove»: «La tracotanza di chi grida è destinata a sgreto- larsi. Mi raccomando voi mantenetevi calmi, sereni, nere quei mascalzoni? ». Al cronista: «Bisogna mettersi in testa che il comporta- gna vincerla. E del resto, i giurati non hanno già saputo 1 dare una buona dimostrazio-i ne? Guardi. Si parla di sfa-1 scio, sgretolamento delle isti- ! iuzioni. Ma poi c'è un proces- i so positivo di reazione, come \ ' se ci si immunizzasse dai "vi- I I rus". Non è una prova di vita-, 1 lità l'aver formato in queste i I condizioni anomale, impreve-1 \ dibili, di reale pericolo, una j j giuria con otto giudici sup- i pienti? E io ho fiducia, ripeto j j ho fiducia che anche lunedi i quei giudici rimarranno al lo-1 ro posto, non diserteranno, j Rimarranno sereni, anche se j insultati e minacciati. Quanto \ ai brigatisti in carcere non si : facciano illusioni. Non per- metterò loro di trasformare li processo in una palestra per I nuovi, deliranti proclami». ! Sospira Moschella e ha un I moto di tristezza. «Vede. C'è chi parla di mio dramma per sonale. Ma neanche per idea, Facendo il magistrato ho ac cettato tutto. Piuttosto temo per altri. Il brigadiere che mi scorta, per esempio. Sapere che per colpire me devono colpire prima lui, questo è il mio vero dramma», Sono le 11. Dalla sala degli avvocati a pianterreno di Pa lazzo di Giustizia escono i le- gali dei brigatisti. Hanno te nuto una prima riunione e ora si spostano nello studio dell'avvocato Dal Fiume per un nuovo incontro. Dal Fiu me sorride, ma non dice nul la. Lo stesso fanno gli avvoca ti Chiusano e Mirini. Andiamo all'ufficio istru zione superando un fitto | sbarramento di forze dell'or-1 dine. Lungo le scale incontria- mo il giudice Giordana. E' ca- tegorico. «Il delitto di Roma è stato studiato e attuato con modalità che neppure le nuo- ve Brigate rosse riuscirebbe- ro ad attuare da sole. Qui c'è la mano di servizi segreti stranieri». Ed eccoci dal dottor Caselli, il giudice, che ha istruito con pazienza e tenacia il processo ai brigatisti. E' scosso, emozionato. «Ha visto?», domanda. E aggiunge: «La tragedia purtroppo continua. Le opinioni personali di fronte all'ampiezza del dramma hanno il valore che hanno. Penso anche a quei militari uccisi, vittime che si aggiungono alle vittime. Cosa vuole, parlare in questo momento può anche apparire retorico. Questo, però, mi preme affermare: continuiamo a stare uniti, non rinunciamo alla solidarietà, rafforziamola. E' l'unico modo per uscirne. Così almeno io credo». Torniamo in Procura. Dice Zagrebelsky, sostituto procuratore: «Non focalizziamo tutte le attenzioni sulla Magistratura. E' la Repubblica colpita, è lo Stato colpito. Il problema è esclusivamente politico. La magistratura applicherà le leggi. E se ci sono richieste di libertà provvisoria le negherà: nella legge non c'è spazio per accoglierle». Una pausa. Mostra un dattiloscritto: «JS' un mio articolo pub- blicato di recente. Avevo par lato di "condizioni materiali ed esigenze di difesa sociali che costringono tutti, Stato e cittadini ad un più basso li vello di civiltà, o, che è lo stesso, ad un più elevato gra- do di barbarie... ". Come se avessi previsto quello che sarebbe accaduto a Roma». Dal procuratore della Repubblica dottor La Marca. Parla con il tono pacato, che gli è abituale e con grande fermezza. Dice: «Siamo giunti a questo punto. Lo Stato è costretto a difendersi. La solidarietà di tutti i cittadini tra loro e con le forze dell'ordine: ecco quello che occorre. Soltanto con questa solidarietà si può creare terra bruciata attorno ai terroristi. Questa solidarietà soprattutto può permettere alla polizia ed ai carabinieri di svolgere nel modo più adeguato i compiti di prevenzione. Essa è fondamentale in questo momento». La giornata è diventata fredda e uggiosa. In via Corte d'Appello passa un'auto: l'altoparlante invita alla «mobilitazione» dei cittadini per il pomeriggio. La città ha già incominciato a fermarsi. Ci sono rumori attutiti, improvvisi silenzi. Un'atmosfera gre ve, angosciosa, talora persino irreale. Per Torino sono altre ore tremende. Clemente Granata

Luoghi citati: Roma, Torino