La sfida lanciata dal Brasile di Igor Man

La sfida lanciata dal Brasile VIAGGIO IN AMERICA LATINA TRA PAURA E FAME La sfida lanciata dal Brasile Il 15 marzo al presidente Geisel dovrebbe succedere il generale Figueiredo - Sessantanni, umanista e "liberale", suscita speranze e interrogativi: come reagirà alla protesta di operai, studenti, sindacalisti? (Dal nostro inviato speciale) Rio de Janeiro, marzo. Copacabana è una leggenda e un bluff. E' una città dentro la città: oltre cinque chilometri quadrati trinciati da 109 strade, 270 mila abitanti che nella bella stagione diventano il doppio, la più alta concentrazione di negozi, banche e alberghi, una strada a sei corsie, TAvenida Atlantica e. infine, la piaggia lunga cinque chilometri. Il bluff è la spiaggia, appunto. Poteva incantare il turista quando la Riviera Adriatica, trent'anni fa, era ridottissima; oggi non più. E' considerato «sconveniente», scrive John Gunther, da parte del turista annegare lungo la spiaggia antistante il proprio albergo, ma chi sopravvive scopre che spesso l'acqua sa di sterco. Non esistono cabine per spogliarsi ed è impensabile lasciare sulla sabbia alcunché, sia pure un pacchetto di sigarette: a Copacabana ci sono innumerevoli tipi dall'aria cordiale ma dalla mano lesta. Su questa spiaggia, la gioventù brasiliana celebra incessantemente i due soli culti ai quali sembra tenere veramente: quello del futebol, quello della bellezza. Secondo il produttore di Orfeu Negro, Copacabana e soprattutto Brotolandia, una sua appendice, ha la più alta concentrazione per metro quadro di belle figliole. E' il trionfo del bikini e del meticcìato. Ma come sì fa a distinguere una ragazza bianca da una meticcia, se son tutte abbronzate e tutte incedono in maniera inquietante, quasi danzassero sulla rena irta di rifiuti? Al futebol giocano, a partire dal pomeriggio fino al tramonto, migliaia di Pelò in formato ridotto, undici contro undici, con tanto di arbitro, e l'aria puzza di sudore e olio abbronzante. Per liberarsi del tanfo, vastissimo, bisoyna guardare verso il cielo dove si librano aquilo ni stupendì_ dagtì infiniti colorì. C'è chi sostiene come Copacabana sia lo «specchio» del vero Brasile: quello antico, dove il cocktail di razze si esalta a dimostrazione di un paese cordiale in cui «tutti, ricchi e poveri, sono, alla fine, eguali»; signori e favelados. Retorica. S'è mai visto un morto di fame diventar miliardario o capo dello Stato, in Brasile? Sulla spiaggia di Copacabana. la notte di San Silve- stro, accorrono in centinaia di migliaia, uomini e donne, vestiti dì bianco, grossi sigari in bocca, le mani cariche di fiori e di candele, di bottiglie di pessimo champagne. Vengono ad adorare Yemanja, la dea angolana del mare, che il sincretismo afrobrasiliano assimila alla Madonna. La spiaggia, quella notte, è un immenso terreiro di Macumba. A mezzanotte si gettano fiori in mare, si accendono sulla battigia le candele, e altre candele vengono varate su precari vascellini, si stappano le bottiglie, medium in trance chiamano gli spiriti. Di tanto in tanto un immenso respiro collettivo supera il frastuono delle onde; è un gemito di dolore e di sollievo: un «santo» è disceso sulla terra. E gli stregoni, avvitandosi su se stes- i si, schioccando le dita ac- I compagnano il deliquio di uomini e donne, risveglian- I doli per dir loro che saranno toccati dalla grazia. Ed è ancora nei giorni dif- | ficili, quando c'è una crisi, o ■ un colpo di Stato, che gli abitanti di. Rio si riversano lungo il mare. Sicuramente il 15 marzo nessuno andrà sulla spiaggia a chieder lumi ai «santi». Quel giorno scade il mandato dell'attuale presidente della Repubblica, il luterano Geisel; nessuno avrà da temere o da sperare. I giuochi son fatti: a Geisel tranne colpi di scena succederà il suo delfino, il generale di divisione Joao Batista Figueiredo. «Il regime nato dal colpo di Stato del 1964 ha definito le regole precise della sua perennità», mi dice un giornalista del Jornal do Brasil. Una di esse stabilisce che un presidente può ricoprire un solo mandato e ciò per evitare l'avvento di un Caudillo. Altra regola: il capo dello Stato, dotato di poteri immensi, deve essere eletto da un collegio ristretto composto da deputati, senatori e dai rappresentanti dei ventidue Stati della Federazione. In realtà conta solo il rapporto di forze in seno alla cupola, il sistema militare. L'uomo designato dalla cupola viene «scelto» come candidalo dall'Arena (alleanza per il rinnovamento nazionale), il partito di regime. Sarà confermato dal collegio ristretto, dove l'Arena è in assoluta maggioranza. Questa volta non ha deciso la cupola, bensì il generale Geisel. Nell'ottobre scorso c'è stata un po' di maretta in seno al sistema militare: il generale Frola, ministro dell'Esercito, aveva posto la sua candidatura, ricalcando le orme del generale Costa e Silva che nel 1966 s'era «designato» da sé. Ernesto Geisel, la mattina del 12 ottobre, mercoledì, convoca a Brasilia il generale Frota e 10 invita a dimettersi immediatamente. Frota rifiuta: «Sta a sua eccellenza sollevarmi da un incarico che io non ho scelto». «E' appunto quello che sto facendo», risponde secco Geisel. Frota sbatte i tacchi e va al quartier generale dell'esercito. Di lì convoca per il pomeriggio alle 16 l'alto comando militare e informa la stampa, con un comunicato di sei cartelle, del suo siluramento. Accusa Geisel di aver tradito gli ideali della rivoluzione, «cedendo sempre più alle sinistre e tollerando addirittura l'infiltrazione di 97 militane comunisti nei più alti gradi della gerarchia statale». Quando i dodici generali a quattro stelle che formano o sistema giungono all'aeroporto, trovano a riceverli 11 generale Fransa Domingues, comandante della prima brigata di fanteria, marito di una nipote del presidente Geisel. E alle ore 16. tutti e dodici, invece di essere accanto a Frota, sono nello studio presidenziale ad applaudire il più anziano fra di loro. Fernando Belfort Bethlem, che lascia il comando della terza armata per la carica di Frota: ministro dell'Esercito «L'ordine regna a Brasilia». Dopo pochi giorni la «vo¬ ce» che Geisel ha designato \ a succedergli il generale Figueiredo viene «confermata» dalla stampa. E' la vittoria della linea possibilista contro la linea dura. Mi spiegano che attorno a Frota e a Figueiredo si erano già da un anno e più polarizzate «le due possibili risposte del sistema alla sfida lanciata dalla società civile (...). Come regolarsi di fronte agli studenti che reclamano un'assemblea costituente? Come comportarsi quando i sindacalisti denunciano I : : i i|;!jiì!I \ pubblicamente la totale as- senza di libertà civili? Come reagire agli scioperi bianchi I degli operai? Che dire al : congresso dei giuristi che in: dirizza all'Onu una petizione i per il ripristino dei diritti i dell'uomo? Come replicare | all'Ordine dei medici che ; espelle i colleghi implicati ! nelle torture?». La risposta j di Frota era brutale: represi sione, tutto il potere sempre ì e più che mai ai militari. Fi! gueiredo. invece, vuole sì I mantenere i militari al potere, ma intende offrire ai civili una partecipazione effettiva alla gestione della cosa pubblica garantendo «alcune riforme costituzionali che I preparino il terreno per un j graduale ritorno alla tanto i sospirata "normalità"». Joao Batista Figueiredo ! ha sessant'anni. Prestante, l'aria severa accentuata da un grosso paio di occhiali neri, è quel che si dice il primo della classe. Primo in tutti i concorsi, fu nominato generale a 51 anni. Segreta- rio generale del Consiglio I nazionale di sicurezza, capo I della casa militare del presidente Garrastazu Medici, e, | infine, comandante del i S.N.I., il servizio segreto, i passe per un «liberale». Quest'uomo, che non è sol- l tanto un bel cavallerizzo ma I anche un umaniste, accende j le povere, scarse speranze | dei brasiliani liberi. Le spe- ! ranze si traducono in un in- ; terrogativo: abolirà il nuovo I presidente il famigerato At- j to Istituzionale n. 5 (AI5)? \ Creato il 13 dicembre 196S ! allo scopo di consentire al I governo di vincere sempre sul legislativo, VAI5 è uno strumento perfetto di legittimazione dell'arbitrio. Conferisce al capo dello Stato poteri sconfinati: lo scioglimento del Congresso, l'annullamento dei mandati parlamentari, la sospensione fino a dieci anni dei diritti politici e civili dei cittadini, la confisca dei loro beni, la nullità del principio dell'habeas corpus per i reati politici e contro lo Stato. Mino Carta, il coraggioso direttore del settimanale Isto é, si augura che il nuovo presidente possa trasformare VAI5 «in una sorta di articolo XVI della Costituzione gollista: creando un Consiglio di Stato che possa applicarlo quando e se necessario, togliendolo dalle mani del capo dello Stato». «Non è molto, ma sarebbe già qualcosa», soggiunge con un sorriso amaro. La verità è che i brasiliani non si fanno troppe illusioni. Come scrìve Aldo Rizzo ( «L'alternativa in uniforme»), quando presero il potere i militari avevano la forza per governare e la volontà di farlo. «Perché rinunciare?». Adesso si fa un gran parlare del «dialogo» fra il senatore Pe. tronio Portello, presidente del Senato, e le «forze vive» del Paese. Ho detto a Petronio: una volta il presidente Kennedy disse ai diplomatici dell'America Latina: «Coloro che rendono impossibile una rivoluzione pacifica, rendono inevitabile una rivoluzione violenta». Lei che ne pensa? «Sono d'accordo», mi ha risposto il senatore Portello ma, poi, si è dilungato in una tortuosa spiegazione del perché e come è «difficile» nel Brasile di oggi, affetto da «gravi squilibri sociali», ripristinare tutte le libertà. Mi ha detto di esser certo che nel primo seme- stre del 1978 VAI5 sarà abolì to, tuttavia ha aggiunto che bisogna «salvaguardare lo Stato dal pericolo della sov- versione comunista». Forse sarà permesso un nuovo partito, un «partito socialdemocratico», ma bisognerà tenere «gli occhi aperti: il comunismo è un'idra terribile». Un diplomatico carteriano getta acqua sul fuoco delle sia pur scarse speranze dei brasiliani assetati di libertà: «Che cosa si può pretendere da un Beria che succede a uno Stalin?». E, poi, conclude, i brasiliani sono apatici. Però ho ferme in mente le parole del sociologo Florestan Fernandes: «I popoli apparentemente apatici illudono ì potenti. I cinesi, i cubani, i russi erano anch'essi apatici. Ma arriva un momento in cui il progresso tecnologico aumenta il tenore di vita e allora è l'esplosione». Igor Man

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