Il mio programma al Blalock? Lavorare, e subito, per i malati

Il mio programma al Blalock? Lavorare, e subito, per i malati Parole chiare del dottor Casarotto Il mio programma al Blalock? Lavorare, e subito, per i malati Precisa: "Se al Centro non si opera, me ne vado" - Veneto, 43 anni, lunga esperienza di cardiochirurgo, serena fermezza: "Non si fanno miracoli in un settore dove i rischi sono enormi" Non ama la pubblicità, i giornalisti lo mettono in Imbarazzo. Dice di non capire perché tutti vogliano parlare con lui, ma accetta, con gentile ritrosia, il colloquio. 43 anni, dinoccolato, sguardo timido e mani affusolate, 11 dott. Dino Casarotto è 11 nuovo « direttore temporaneo » dal centro di cardiochirurgia Blalock. A Torino è rimasto qualche giorno (ieri sera è ripartito per Padova dove risiede la famiglia); s'è incontrato con il rettore Cavallo e con 1 responsabili dell'ospedale, ha visitato la clinica ed esaminato le attrezzature, ha conosciuto parte dei medici e degli aiuti del Blalock. Ha idee precise: « Il mio compito è operare; se non si opera, me ne vado subito ». Aggiunge: « Devo comunque controllare tutte le attrezzature del Centro prima di mettervi! all'opera ». DI sé parla malvolentieri. La sua esperienza di cardiochirurgo è maturata a Padova, ma si è perfezionata ed aggiornata con continui soggiorni all'estero: « In Francia ho operato come secondo con i professori Dubost e Carpentler; a Londra con Ross e Jacoub. Sono stato più volte negli Stati Uniti e non soltanto a Houston ». Che pensano all'estero degli italiani? « Slamo giudicati bene — risponde convinto — scienii/icamente preparati. Però le casistiche cut i medici italiani si trovano di fronte sono meno numerose ed i rtsultatl ne risentono ». Ma qual è il vero problema della cardiochirurgia in Italia? Gli uomini o 1 mezzi? Non ha dubbi: « / mezzi. Attrezzature, organizzazione, soldi. E' il problema Italiano in tutte le manifestazioni della nostra vita sociale. In cardiochirurgia non è diverso. Il nostro stato di inferiorità, se così si può dire, non è imputabile al chirurghi ». Per 1 colleghl ha parole di elogio; con modestia dice di essere « uno del tanti ». Smentisce, ma solo a metà, che per operare si faccia seguire a Torino dalla sua équipe di Padova. « Non è una questione di équipe — precisa — ma di metodi. E' vero che la metodica delle operazioni al cuore è sempre la stessa, ma esistono variazioni, secondo le esperienze e le casistiche affrontate. Importante è soprattutto la collaborazione dt tutti ». Le polemiche del Blalock, le ventilate ostilità al suo arrivo, sembrano non riguardarlo: « Il centro dovrebbe lavorare per ì malati. Questo è il mio compito. E' temporaneo. Non et sono altri programmi. Le premesse per po ter lavorare al Blalock ci sono, il chirurgo non è che una componente e neppure la più importante ». Quando avverrà la prima operazione? « Impossibile dirlo ora. Ma vorrei presto. Se il Centro ho sempre funzionato, non vedo perché l'attività non possa riprendere. Un Intervento di cardiochirurgia al giorno non è che routine per un chirurgo, come un'appendicite, se pur con altri rischi. Se ci si mette in mente di salvare tutti, ebbene, allora si che si sbaglia; il cuore non è l'appendice ». Un attimo di pausa, la dolcezza della cadenza veneta s'incrina: « C'è il rischio. C'è chi affronta rischi enormi e quindi anche insuccessi, sapendo però dt fare qualcosa dì utile. E' impensabile riuscire ad operare dieci malati gravissimi e salvarli tutti. Se ne salva uno, è già un successo ». Insinuo: « E le statistiche della mortalità? ». Ha un gesto di stizza, risponde con fermezza: « Nessuno può dare una valutazione percentuale della mortalità senza conoscere bene ì casi ed i rischi di operabilità. Io parlo con il buon senso veneto, mi capisca. Il chirurgo non fa miracoli. Non si fanno miracoli in cardiochirurgia. Nemmeno all'estero ». Il dott. Dino Casarotto

Persone citate: Blalock, Casarotto, Dino Casarotto, Dubost