Come sa di plastica il pane politico di Guido Ceronetti

Come sa di plastica il pane politico Come sa di plastica il pane politico C'è una piccola guerra del pane, a Roma, che potrebbe estendersi: un aumento di cento lire del prezzo del pane, richiesto e imposto dai fornai. Non so se sia giusto, ma credo non si debbano fare storie per cento lire, quando si tratta di pane. I collettivizzatori del sindacato chiedono prezzi politici e grande industria panifìcatrice, i soliti rimedi da rinoceronte. Della qualità del pane ai collettivizzatori non gli importa un fico seccato: prezzo prezzo. Credono di rendersi popolari proponendo pane cattivo a prezzo buono: la gente preferisce l'inverso, per un resto d'intelligenza; già vive male. Con quel che si butta in benzina, aperitivi, caffè, elettricità, telefono, sigarette, dolciumi (tutti da lasciare nelle vetrine) scalciare per cento lire in più nel pane è assurdo. La ciriola romana (copia della rosetta piemontese) è venduta a prezzo politico: ma è un pane di vendetta, un pane ignobile. Cento lire in meno, ma anche uno zero vestito da pane, crosticina e batuffolo; va tutto agli ospedali (anche quelli da centomila al giorno), alle mense collettive, ai lunapark, all'Interpol, alle pensioni per Terzo Mondo. In una casa decente la ciriola non entra. Ci sarebbe da battersi per ottenere, con più prezzo, più vero pane, dato che anche il pagnottone « casareccio », il più venduto e popolare a Roma, non è proprio un purosangue. Qualche volta, dopo la soppressione geniale dei forni a legna (riconsentita soltanto nei piccoli comuni) il pagnottone ha odore di nafta; la mollica è un viscerone squaccherato, indigesto, che fa pancia, una trippa che trippifica, di un bianco sospetto; il crostone troppo gradevolmente scricchiola per non essere opera di additivi. Ma in qualche forno si vendono anche altri pani, e il casareccio, dove ci sia un forno a legna, in provincia, se la farina non è pesticida, è quasi buono. L'epoca del Povero Fornaretto è passata, come quella della Bella Fornarina: i fornai non sono poveri, le fornaie non sono belle, ma restano epici, per la fatica notturna all'impastatrice, per l'orario faticoso, per il caldo che li prosciuga. Perché negargli le cento lire? Nell'alimentazione, siamo un esercito in ritirata, si difendono posizioni sempre più arretrate, ma è necessario tenerle il più a lungo possibile, perché non finisca tutto. Oggi un pane mediocre è una posizione da difendere, perché via il mediocre non verrebbe il buono, si profila già un peggiore, avanguardia del pessimo. E c'è qualcosa al di là del pessimo, la fine del pane, il surrogato indu¬ striale, il farinaceo americano, il pane come museo e ricordo: — Com'era buono il pane del Millenovecentosettantotto! — Non Io era, però il trionfo dei collettivizzatori lo ha reso pomo delle Esperidi. L'ultima fedeltà rimasta a questa nazione è il mangiare pane, scegliendone il tipo, dove può: perderà anche questa? Fate sparire i forni liberi e non avrete più pane. E' il « mestiere » di fornaio che fa il pane. E i forni liberi hanno spese e tasse, e nessuna voglia, fossero angeli, di perdere un centesimo di guadagno: se li vogliamo, e la loro presenza soltanto ci garantisce del pane ancora passabile, variato, in qualche caso completo e buono, bisogna pagargli il pane seguendo docilmente la triste curva della svalutazione. Se la lira non fosse marcia, il prezzo del pane sarebbe stabile. Date di meno ai macellai! Non cresificate troppo quel famoso macellaio torinese che vende fettina per comprare pancetta (cioè Bacon, perché ha una Galleria d'arte) ; fortificatevi con del pane, invece di sgangherarvi con pezzi di bestie morte! Ai fornai non negate niente; anzi, siamo generosi: chi può dovrebbe dare di più. Se trovi un forno eccellente, familiare, con buon odore, incoraggialo pagandogli (ma non sempre) il pane a prezzo doppio o triplo. Il panettiere, raggiante di meraviglia, vincerà ogni amarezza, vedendo moltiplicarsi questi gesti inauditi. Se è un disonesto stolto, peggiorerà subito la qualità del pane: ma puntiamo su una scrupolosità intelligente: morrà di malinconia se non potrà dare un pane sempre più buono. Quel che vi aspetta, se perdete la libertà di scegliere il forno e il tipo di pane, se lasciate venire avanti i labari e i tamburi del prezzo politico e del forno Moloch municipale, è il pane col tagliando e la fila, il pane da policlinico, il pane del tecnico alimentare che sciopererà per avere aumenti e che per il suo scatto di cento lire priverà la città anche di quell'apparenza di pane: disposto anche a tener duro, perché l'azienda non è sua. Ci saranno sempre quelle cento lire in più da tirar fuori: quando poi il Comune, per mantenere il suo gigante di forno in enorme passivo (previsione sicura più del battesimo del Papa) non vi faccia pagare quel pane politico mille o duemila o cinquantamila lire in più con disperati congegni fiscali. Attenzione ai collettivizzatori. Facciamo vivere i pesci piccoli, perché i grossi mangiano tutto. A Roma, pane buonissimo lo si trova soltanto in certi negozi dietetici, e ha un prezzo babilonese. Facendo economia d'inutile si può comprarlo ma è bene non comprarlo abitualmente, perché non ci sia vizio: il pane mediocre aiuta a sopportare meglio il resto di un'alimentazione che peggiora. E poi il pane dietetico è venduto in un baldacchino; non ha dietro le sue sagome il fiato delizioso di un forno, non lo protegge un lumino con la Madonna. A Firenze c'è una miniera di pane buono presso un pizzicagnolo di San Lorenzo, a Siena è nobile il pane di segala del Forno dei Galli. Ai Torinesi raccomando di cercare il pane da certi buoni pugliesi di via dei Mercanti, che fanno del segala squisito, ma il buono è soltanto nelle forme grosse. C'è anche una panetteria di via San Tomaso che è una vera cornucopia da pane; dà la felicità di comprare e mangiare pane... Una volta, avrei potuto nominarli tutti, i forni torinesi, la città era una Mecca del pane; speriamo resistano i pochi superstiti buoni. Prevale, al Nord, l'uso di introdurre nel pane del sordido lardo, e perfino zucchero; trovare pane non lardificato sta diventando difficile. Troppo friabile, il pane è un amico di cui non bisogna fidarsi. Ma la colpa del pane degenerato è in buona parte dei compranti, che lo vogliono « facile » come tutto il resto. 11 pane facile è di piccola forma, di pasta come chiara d'uovo battuto, ha un involucro che pare di vetro (c'è la dose del chimico), è saturato di grassi che ne fanno una specie di feto dentro la camicia. C'è anche il finto pane difficile, Io pseudoduro, l'eunuco con la voce rauca. E' come quei filosofi stoici che abbondavano a Roma: barbuti, grandi predicatori di morale virile, tutti savonaroli, erano invece dei « molles », depilatissimi in basso, dediti alla venere « gay », gitoni e scrocconi. Il fìnto pane difficile è di forma grossa, a volte enorme, si raccomanda come proveniente dalla Toscana dei Cacciaguida, vanta lievito brutale, ma è dolciastro, biancofiore, lubrificato, si scioglie al contatto di una gengiva sdentata, è un primitivo per turisti, uno stoico tralignatore. Il mangiapane più cieco e da commiserare è quello che, anticipando tempi peggiori, si fornisce di pane nella plastica e mangia del Niente condito di Cloruro di Vinile. Vorrei dargli un pugno; mi trattengo. Volevo dire soltanto che va evitato, a Roma e in qualunque città, lo scontro coi fornai per quelle cento lire in più nel prezzo del pane. Guido Ceronetti

Persone citate: Bacon, Mercanti

Luoghi citati: Firenze, Roma, Siena, Toscana