Come vive Mander sull'isola che lo respinge di Francesco Santini

Come vive Mander sull'isola che lo respinge Linosa: la solitudine del primo confinato politico del dopoguerra Come vive Mander sull'isola che lo respinge (Dal nostro inviato speciale) Linosa, 27 febbraio. L'ultimo traghetto, il «Capo Falconara», che da Porto Empedocle raggiunge il gruppo delle Pelagie in otto ore di navigazione, ha toccato Linosa domenica a mezzogiorno. La lancia di Giacomino s'è portata sottobordo. Ha imbarcato un tavolo, quattro sedie, uno scatolone di spaghetti, una Lambretta, quattro passeggeri. Era domenica, niente posta. L'isola era comparsa all'orizzonte mezz'ora prima e il comandante aveva informato i viaggiatori che per rientrare in Sicilia, ad Agrigento, l'appuntamento era per giovedì. «Martedì, Linosa è in sciopero generale, ci avvicineremo a Cala Pozzolana, me- la barca dì Giacomino non verrà sottobordo: due colpi di sirena, dieci minuti d'attesa, poi via, in direzione del continente». Il «Capo Falconara» subito s'è allontanato. La Lambretta ha stentato a mettersi in moto, poi i due sposi che la spingevano sono riusciti ad avviarla. Il materiale è rimasto sul molo e il silenzio è tornato sull'isola, sul lungo nastro d'asfalto che duecento metri più avanti è costeggiato da poche case basse, squadrate e deserte. Il signor La Russa, che a Linosa è il delegato del sindaco di Lampedusa, ha accolto i viaggiatori con pochi gesti muti. Li ha accompagnati in casa della signora Giardina. Soltanto qui ha parlato per chiedere un letto. Poi se n'è andato con un avvertimento: «Linosa è un'isola li- bera, non un covo di sorvegliati». Anche a mezzogiorno il bar era chiuso e il viale Regina Elena che termina dopo cinquanta metri a ridosso del Monte Rosso, che è un vecchio vulcano, è rimasto immerso nel sole di febbraio, nel caldo innaturale di un inverno africano, con due cani distesi sul cemento di una piattaforma e un vecchio scalzo, Michele, che qui trattano come un animale perché dicono sia scemo. Linosa ha quattrocento abitanti che non si fanno mai vedere e ospita da dieci giorni il primo confinato politico italiano, nella Casa comunale, in una stanza al piano terreno. Eccolo, è Roberto Mander, biondo e invecchiato a ventisei anni, nel suo ultimo dramma, in pieno Mediterraneo, cinquanta miglia a Sud di Tunisi, in questo gruppo di isole battute dal vento. Nove anni fa, con piazza Fontana, le bombe di Milano e di Roma, la sua vita d'improvviso cambiò. Era, a Roma, il più bel ragazzo di viale Gorizia e le studentesse del «Giulio Cesare» vivevano con lui i primi amori di liceali. Divenne il «mostro» anarchico. Il suo j nome di ragazzo borghese fu accostato a quello di Vaipreda e di Merlino: il lutto italiano cadde sulle sue spalle di diciassettenne. Ha conosciuto il riformatorio e il carcere. Alla fine la magistratura decise che era colpevole di strage, ma lo definì «psicologicamente immaturo»: non poteva essere rinviato a giudizio, ma neppure difendersi da un'accusa che negli anni s'è mostrata diversa. Da anarchico a nappista, per aver favorito, secondo la magistratura, l'evasione di due esponenti dei nuclei armati proletari. Una condanna in primo grado, un'assoluzione in appello. Oggi Roberto Mander che conserva i modi gentili di un'educazione borghese, è dinanzi alla legge un incensurato, ma per lui la Giustizia scopre il sospetto e un magistrato disegna i contorni di una «pericolosità» incerta «in un quadro di temibilità dell'individuo intesa come probabile, futura realizzazione di reati, pur in assenza di una prova organica e definitiva dell'appartenenza alla criminalità organizzata». Con questa motivazione a Mander è stato consegnato il documento da confinato, un librettino rosso, legato con una fettuccia, non più grande di un passaporto. Sei scalini e, a destra, un porticino, tamburato da un legno color noce. La stanza è quella del vigile urbano di Linosa. Non s'è trovato altro. Per il confinato Mander nessuna ospitalità. Una camera spoglia: due finestre, un tricolore, un tavolino e una branda. I libri a terra, una valigia in similpelle e uno zaino. Una radio e una stecca di Nazionali. Piatti sporchi e un mezzo fiasco di vino. Roberto Mander stasera è con Annabella, la sua compagna. L'isola è spazzata da un vento di libeccio, il mare comincia a salire. Nella scuola del viale Umberto gli abitanti di Linosa decidono lo sciopero. Sono divisi, c'è incertezza: da Agrigento è arrivata qualche assicurazione. Il prefetto Bracato ha promesso qualcosa: spinge sul ministero perché Linosa non sia un'isola di confino. I ragazzi del gruppo giovanile sono i più accesi. Dicono di non fare politica, ma uno che sembra il capo grida: «Non ne vogliamo, né politici, né comuni: ci hanno ignorato fino ad oggi, continuino a dimenticarci». L'eco dell'assemblea arriva alla finestra di Mander, questa è una notte diversa, animata. Il traghetto toccherà Linosa all'alba e stanotte non si dorme. Mander ha un commento: «Dicono di non voler essere carcerieri, ma non esprimono un giudizio politico sul confino di polizia; parlano di turismo e il "mostro" Mander crea all'isola dei problemi». Annabella lo ascolta con attenzione dietro gli ocGhiaietti alla Gramsci. I bicchieri si riempiono di nuovo, il fumo soffoca la stanza e la finestra non lo respinge nell'umidità che impregna la notte di Linosa. Roberto Mander dichiara la sua « rabbia », esprime « disperazione e vigore ». Dice: « Ho accettato il confino non per evitare l'arresto, ma per testimoniare il dissenso contro un provvedimento odioso che lascia impotenti ». E' il suo ruolo. Lo accetta, appare sereno. E' il protagonista di sempre. E' convinto che per lui arriverà una nuova destinazione. « Dove non lo so, ma qui non possono lasciarmi ». Con Annabella è arrivato nell'isola un gruppo di amici e i primi giorni del confinato passano veloci a Linosa, nella scoperta dell'isola, nella lettura dei telegrammi, delle lettere. Nella sosta di ogni giorno al posto di telefono pubblico, nelle comunicazioni con gli amici lontani. Il sospetto s'afferma a Linosa. Per tutti, sul molo di Cala Pozzolana, c'è qualcuno ad osservare. Per molti si ripete, allo sbarco, la richiesta dei documenti. I sei carabinieri della casermetta che guarda lo scalo vecchio moltiplicano le puntate verso il bar e, più avanti, in salita, in direzione del Municipio. Le finestre di Mander restano accese fino a tardi la notte perché Roberto domenica ha avuto i giornali della settimana passata: «Il mio tentativo è di mantenermi informato, di evitare la morte civile ». Stamattina era tornata l'acqua e per il confinato Mander hanno preso importanza gli avvenimenti che sulla terraferma scivolano nella quotidianità. S'è rasato, ha lavato le calze, ha spalancato i vetri e sono apparse al sole le lenzuola con il plaid scozzese che gli ha passato il Comune. Ha lasciato la stanza poco dopo le 7 come gl'impone la legge. « Posso restare fuori sino alle otto di sera, poi debbo rientrare. Per l'estate ho una proroga di un'ora: alle ventuno, e allora sarà tutta vita ». Francesco Santini

Luoghi citati: Agrigento, Lampedusa, Merlino, Milano, Porto Empedocle, Roma, Sicilia, Tunisi