Gli emirati già pensano al futuro senza petrolio di Franco Mimmi

Gli emirati già pensano al futuro senza petrolio LE INCOGNITE D'UNA CRESCITA TUMULTUOSA Gli emirati già pensano al futuro senza petrolio (Dal nostro inviato speciale) Di ritorno da Dubai, febbraio. Mai si era costruito tanto in Arabia Saudita e Oman, Qatar e Emirati Arabi Uniti, quanto negli ultimi cinque anni. Il traguardo dichiarato è di creare le strutture economiche atte a sostenere questi Paesi quando il petrolio sarà finito o non più tanto prezioso. Lodevole lungimiranza, e infatti già si tenta anche qui di affrancarsi dalla schiavitù petrolifera e si parla di centrali nucleari e — meglio ancora — di energia solare, che certo nella penisola arabica non fa difetto e offre inoltre riserve infinite. Ma è ovvio che nella creazione ex novo di queste strutture si incontrino ostacoli e si verifichino deviazioni. L'intenzione, per esempio, di aiutare un'industria locale per non dipendere più totalmente dall'Occidente che esporta beni e inflazione, è certamente un'ottima intenzione e qualcosa sta nascendo, ma non si può ignorare che il mercato di queste industrie è assai ristretto, pochi milioni di persone in tutto. Così, mentre alcuni settori vengono frenati dalla scarsità di clientela, altri si espandono per la pressione momentanea, ma fin da ora si comprende che molti dei cementifici moltiplicatisi in questi anni rimarranno oziosi in tempi non lontani. Già si avverte, in talune regioni, un rallentare del ritmo che nel '73 l'esplosione dei prezzi petroliferi rese tachicardico. L'Oman, lanciatosi in spese sproporzionate alla sua produzione di greggio, ha oggi tirato le redini e sta saggiamente riassestando i propri bilanci, avvantaggiato per il futuro da recenti scoperte di giacimenti di rame e anche dal fatto che la sua posizione e i monsoni gli concedono pioggia e quindi produzione agricola. Anche Abu Dhabi, Paese piccolo ma gigantesco produttore di greggio, aveva avviato piani grandiosi, e i risparmi di petrolio cui i prezzi hanno indotto i Paesi occidentali gli hanno procurato qualche attimo d'arresto e la necessità di ricorrere al gigante saudita per risolvere una momentanea crisi di liquidità. La sua ricchezza è tale che le preoccupazioni sono nulle, ma molte banche hanno ristretto i crediti, e non si vedono più le folle di belucistani o pakistani che si contrabbandavano al di qua del Golfo: il controllo sull'immigrazione si è fatto severo e chi non ha uno sponsor che gli garantisca un lavoro riprende la via di casa. Lo stesso hanno fatto mol¬ ti coloriti personaggi che l'odore del denaro aveva attirato sull'antica Costa dei pirati, i Corpetbaggens di ogni tempo che seguivano i propretori romani o si gettavano sulle piste d'oro di Alaska e California. In realtà, spesso il denaro è circolato all'unico scopo di produrre denaro: coi dollari del petrolio si costruiva un cementifìcio, e col cemento le piste degli aeroporti intercontinentali e gli alberghi di lusso, e sugli aerei arrivavano i businessmen che affollavano gli alberghi per cercar di vincere contratti per costruire un cementificio col cui cemento costruire il seguito della filastrocca circolare. Quando la grande ondata sarà finita, molti saranno gli alberghi superflui, molti gli alloggi sfitti (nel piccolo emirato di Sharjia, poche migliaia di abitanti, vi sono circa 15 mila appartamenti in attesa di affittuari), ma le grandi compagnie non piangeranno sugli immensi scheletri delle loro vuote cattedrali: a colpi di sessanta, ottanta, cento dollari per notte, o con gli affitti da centomila dollari all'anno, hotel e case sì sono ripagati e hanno dato i loro frutti nel giro di pochi anni. « Hit and run »: colpisci e scappa. Sono le pecche di una crescita tumultuosa, ma non devono essere considerate la fisionomia di questi Paesi. Il lineamento essenziale è invece la prontezza con la quale è stato affrontato un mondo caotico e tanto lontano dalla calma delle ombrose case d'argilla, delle capannucce nelle oasi. E' stupefacente la capacità di adattamento dimostrata, l'impavida dignità con la quale il vecchio beduino che ha trascorso la vita del nomade nel luogo più desolato del mondo, il deserto del Rub al Khali, sale sul jumbo jet che lo porta a Londra, a spese dello Stato, per l'operazione di tracoma. L'idea della democrazia intesa all'occidentale qui non è ancora approdata. I re, i sultani, gli emiri sono i vertici di regimi paternalistici che non fanno differenza tra uomo e uomo. Fino a pochi anni fa esisteva ancora la schiavitù, ma gli schiavi erano trattati come ogni altra persona, da pari a pari, e spesso occupavano cariche importanti. Oggi l'autista arabo che accompagna il visitatore, al ministero sale con lui e si accomoda nell'ufficio del ministro, senza altre formalità che il reciproco «salam al aikum» . Ma l'idea della rappresentanza del popolo è ancora lontana, e anche il Kuwait — il più «vecchio» dei Paesi del petrolio — ha sciolto il Parla¬ mento che, unico, aveva istituito. Tuttavia, re, sultani ed emiri hanno colmato i loro piani del più rivoluzionario degli strumenti: le scuole. A decine, a centinaia, ricche di attrezzature scientifiche e sportive, scuole d'ogni ordine e grado, dalle elementari alle università, preparano i tecnici e gli insegnanti destinati a affrancare questi Paesi dall'importazione di «cervelli». La prima generazione che ne uscirà si accontenterà forse di trarre ogni possibile vantaggio dal privilegio dell'educazione, ma poi, inevitabilmente, nascerà la richiesta della partecipazione. Se la richiesta verrà accettata come giusta e — allora — tempestiva, o se comporterà bruschi rivolgimenti, non si può dire ora. Quello che ora si deve dire è che i sovrani della penisola arabica non hanno esitato a seminare essi, stessi, con le scuole e l'istruzione di massa, il seme della democrazia. Franco Mimmi Kuwait. La monumentale entrata d'una banca