Comunisti proustiani

Comunisti proustiani A 30 ANNI DAL COLPO DI STATO A PRAGA Comunisti proustiani Uno di questi nostri cantautori «coraggiosi» (ma perché poi coraggiosi? Chi li perseguita salvo i loro fans?) dovrebbe comporre una ballata sui soldati cubani che combattono in Africa. Il sole è appena tramontato dietro l'Amba Alagi, per esempio, e Ramon o Pedro o Manuel siede con i camerati accanto al suo carro armato sovietico, il mitra sovietico a tracolla, la chitarra (non sovietica) sulle ginocchia, e canta la sua nostalgia per la bella isola lontana, maledice quest'arida plaga, rimpiange la mamma, l'innamorata (le vedrà mai più?), le festose domeniche allo stadio a sentire i discorsi del compagno Fidel, si chiede cupamente quale destino l'abbia portato qui, ignaro e micidiale, a uccidere per superiori ragioni, oggi dei compagni Eritrei per conto dei compagni Etiopici, domani forse dei compagni Etiopici per conto dei compagni Sudanesi, dopodomani dei compagni Sudanesi per conto dei compagni Libici, in una eterna, incomprensibile guerra. « Datemi il vecchio imperialismo », conclude con un desolato accordo, « datemi il bianco cattivo e il colono sfruttatore, datemi un mondo in cui un poveraccio come me possa distinguere tra il bene e il male, tra l'amico e il nemico ». Intanto si rivedono immagini di bambini asiatici piangenti tra macerie e cadaveri, di fanciulle e vegliardi che errano inebetiti nella giungla dopo il bombardamento al napalm. Ma chi è che bombarda, che rade al suolo, che incendia, che tortura? Ah, non più i Berretti Verdi, non più John Wayne! Marxisti sono i carnefici, leninisti sono i macellai in odio ai quali più non sgorga la voce di Joan Baez né si organizzano raduni di solidarietà, con sindaco e gonfaloni, né s'incendiano automobili, ambasciate, agenzie di viaggio. * * E Dio solo sa quanti turisti americani, quante ditte americane, quanti istituti culturali e consolati americani avrebbero subito la furia italica se il Cosmos caduto in territorio canadese fosse stato made in Usa anziché in Urss. Neppure per un istante il nostro intelligente popolo avrebbe dubitato che si trattava di una bomba H camuffata da satellite. Non un sol uomo si sarebbe astenuto dal collegarla sinistramente con Seveso, le multinazionali, gl'ingredienti della Coca Cola, lo scandalo Lockheed e la morte di Pasolini. Avremmo avuto un letale fall out di cortei, denunce, interpellanze, scioperi, interviste a uomini e donne della strada, delle scale, dell'ingresso, del tinello e dei doppi servizi, saremmo stati irradiati fino al midollo da neutroni e neutrini scagliati contro la irresponsabile e sanguinaria cricca che governa, all'insaputa di Carter, gli Stati Uniti d'America. Ma i comunisti, ci si chiede, che cosa diranno mai i comunisti di fronte a questa «svolta» internazionale di cui non hanno colpa alcuna, a queste «contraddizioni» da levare il pelo? Il pensiero corre con simpatia a quel grande, mansueto partito, che per trent'anni è stato relegato all'opposizione e ancora oggi suscita qua e là diffidenze e sospetti, unicamente per via della sua lontana parentela con la famiglia Addams. Ed ecco che di nuovo quei terribili consanguinei lo mettono in imbarazzo con le loro ciniche iniziative in terra e in cielo. ★ ★ Sarà questa la volta buona, ci si chiede, perché il pei si decida a prendere le distanze definitive, a diffidare il cugino degenerato e lo zio vampiro, a togliere il saluto alla nonna necrofila e al nipote sadomasochista? Perché purtroppo non basta non avere nulla in comune con simili parenti, bisogna anche proclamarlo in modo sufficientemente drammatico per convincere tutti quanti, dal generale della Nato al bottegaio di villaggio. La politica, diceva Karl Kraus, è effetto di scena. Il lettore superficiale resta però deluso dalle reazioni della stampa comunista. Solita terminologia, solite proteste per la calunniosa campagna in atto contro l'Urss, solite accuse all'imperialismo burattinaio, solite petizioni di chiarezza e concretezza che servono da ouverture alla solita nebulosità sostanziale. Contesti, fattori, inevitabili errori, corrette analisi, ricerche di vie pacifiche, lotta al comune nemico, eccetera eccetera. Ma da questa prosa piatta e impersonale, che ripete le evasive contorsioni di sempre e prende con franchezza per le corna tutta la fauna dell'Arca meno il toro, da queste imperterrite astrattezze noi sentiamo ormai trapelare ben altro che delle mere giustificazioni propagandistiche. Il nostro orecchio è ormai esercitato: tra un legnoso avverbio e un opaco aggettivo percepiamo distintamente timbri ovattati e dolenti, palpiti lontani, tutta una tremula gamma di sospirose, sommesse rivelazioni, quasi una sonata di Debussy che ci arrivi a tratti sulla brezza serale da qualche candido palazzetto nei paraggi del Parco Monceau. E' il comunismo proustiano che prepara le sue opere future. Si sa che il realismo socialista non dette da noi (né altrove, a quanto pare) frutti rimarchevoli o copiosi, nonostante un massiccio sforzo a base d'incitamenti, contumelie e impeccabili argomentazioni teoriche. Tutti sapevano perché e come ci si dovesse arrivare, ma nessuno fortunatamente ci arrivò. Ora si vede che la vera vocazione letteraria dei comunisti, l'unica che gli sia congeniale, è di tipo memorialistico, che il presente, l'attuale, il «qui e ora» non è nelle loro corde, turba la loro sensibilità. Soltanto attraverso il filtro degli anni essi riescono a farci rivivere le loro drammatiche esperienze. E' gente, bisogna dire, che ha sempre molto sofferto. Arrivò per prima l'ondata dei comunisti che da giovani erano stati fascisti. Uno, che magari fascista non era, li vedeva a quell'epoca girare in orbace e stivaloni, sottobraccio a qualche gerarca in odore di fronda, in tasca una rivista di lettere o di cinema pubblicata, si, con l'imprimatur del Pnf, ma in realtà ricca di fermenti eversivi; e magari soffriva per quel loro ghignetto compiaciuto, per la loro baldanzosa perentorietà, per la sciolta, sprezzante arroganza di chi s'è messo dalla parte de! forte. Ma non soffriva quanto loro, si capì dopo, che già allora erano segretamente dilaniati da lugubri insonnie, dubbi tormentosi, lacerazioni profondissime ancorché invisibili dal di fuori. Poi venne l'ondata dei ricordi post-staliniani. Dio, quanto avevano sofferto! Nessuno avrebbe immaginato, allora, le ambasce di quei cuori. Scrivevano come Stalin, parlavano come Stalin, chiosavano e citavano Stalin, giustificavano Stalin sempre e comunque, mandavano giù ridendo purghe, processi, confessioni con fucilazione finale, negavano incolleriti gulag, stragi, deportazioni, delazioni. Ma nell'intimo era tutto un nodo d'angoscia, una macerazione quotidiana, un rovello che fa impallidire perfino quello dei dissidenti in loco. Vent'anni dopo, si seppe di quell'altro crudelissimo travaglio che fu per loro la rivolta d'Ungheria. Ogni cannonata sovietica gli arrivava direttamente all'anima, squassandoli come fa la tempesta coi teneri arboscelli. Solo una forza di carattere eroica, addirittura sovrumana, che fa impallidire perfino quella degli insorti di Budapest, gli permise di mantenere la calma, la misura, la disciplina, e naturalmente il silenzio. E l'invasione della Cecoslovacchia? Be', sono passati appe¬ na dieci anni, e certi autori hanno bisogno di far decantare a lungo i loro materiali. Ma si può star certi che i carri russi a Praga stritolarono e maciullarono (moralmente, s'intende) un gran numero di questi comunisti proustiani. E si può star certi che tra vent'anni ci racconteranno le lancinanti torture che patiscono oggi, vedendo l'Urss, madre del socialismo, abbandonarsi sempre più scopertamente, e senza nemmeno l'alibi di uno Stalin, l'incubo di un Hitler, al calcolo freddo e brutale, all'appetito strategico, alla piroetta opportunistica, al puro gioco dei rapporti di forza, insomma a una visione pokeristica della storia per distruggere la quale il comunismo era nato. Ci descriveranno ogni lacrima della loro crisi, ogni sfumatura del loro smarrimento esistenziale quando intravidero l'ultima, la più tragica verità: un paese comunista può benissimo fare la guerra a un altro paese comunista, la falce e il martello non garantiscono affatto la pace e la fratellanza universali, si continuerà ad ammazzare e venire ammazzati per un paragrafo di Lenin o un piano quinquennale anziché per il ripicco di una re-1 gina o un sopruso papale. Oggi essi tacciono, o parlano a frasi cifrate, come si usa nei salotti del boulevard St-Germain. « Si tratta di vicende doloro-1 se e complesse », mormora nn signore in frac, facendo scorrere I il diafano dito su una carta d'A-1 frica color malva, « che affronteremo con la nostra abituale | concretezza, chiarendo ai compagni di colore che la lotta contro | il colonialismo... ». « Forse », lo interrompe una dama, alzando di un briciolo la veletta per mordere un cioccolatino, « forse, amico mio, è mancato da parte nostra un je ne sai! quoi, una certa impostazione, un certo approfondimento teorico? ». Non lasciamoci ingannare dai j discorsi mondani. Chiusi nella | torre d'avorio del partito, protetti da pareti di sughero contro gli sconvolgenti pollini dell'oggi, questi umbratili e schivi artisti della rimembranza preparano le nostre letture di domani. Non per niente sono gli uomini dell'avvenire. Carlo Frutterò Franco Lucentinì