Soldati e borghesi in Brasile di Igor Man

Soldati e borghesi in Brasile IN AMERICA LATINA TRA LA PAURA E LA FAME Soldati e borghesi in Brasile Ci sono giovani ufficiali delusi o frustrati dagli arbitri del regime - Ma non sono pochi gli alti ufficiali che considerano debole la dittatura del presidente Geisel e per i quali il solo dissenso è "delitto di Stato" (Da] nostro inviato speciale) Brasilia, 21 febbraio. Brasile, Paese felice, dicono gli opuscoli turistici: «Senza guerre e senza terremoti». L'idea di un Brasile idilliaco, miracolosamente preservato dalle paranoie contemporanee, resiste ancora nel mondo. In un libro rimasto famoso, Stefan Zweig scriveva che il brasiliano è un essere delicato, nemico della brutalità, del rumore, della veemenza; un essere silenzioso, sognatore e sentimentale... Ebbene, questo giudizio affatto assurdo viene citato, non senza orgoglio, da guanti si riconoscono nella formula ambiziosa «ordine e progresso» ch'è, poi, il vecchio slogan della borghesia liberale brasiliana rispolverato dai generali golpisti del 1" aprile 1964. La semplice lettura dei giornali quotidiani basta a sconfessare l'ingenuo Stefan Zweig e i suoi sfrontati epigoni. Jornal do Brasil del 30-11-1977: «Recite: sciopero della fame ad oltranza di prigionieri politici. Quindici detenuti in quelle carceri di Stato, dicono che interromperanno il digiuno solo quando due loro compagni, Carlos Alberto Soares e Rholine Sonde Cavalcanti, condannati a vita, verranno tolti dalle celle di isolamento in cui giacciono oramai da due anni». Uno dei quindici, José Emilson Ribeiro, condannato a 19 anni e quattro mesi per attività sovversive e terrorismo, racconta al cronista di essere stato arrestato il 1° aprile del 1976. «Fummo catturati, io e due amici, da agenti dell'Aeronautica e subito sottoposti a tortura. Scariche elettriche, oggetti nelle cavità e il pau-de-arara (il trespolo dove il prigioniero viene appeso per le gambe e immerso con la testa nell'acqua fin quasi al soffocamento). Dopo, la cella di isolamento dove fummo assistiti da medici dell'Aeronautica, gli stessi che, incap- pucciati, dirigevano la tortura. Li riconoscemmo dalla voce; ci dissero que nós tinhamos sorte perché facevamo da cavia a un nuovo sistema più razionale di tortura. Ci sottoposero a visita fiscale quando sui nostri corpi più non rimanevano tracce delle torture subite; così quelli dell'Aeronautica ebbero buon giuoco nello smentire davanti al magistrato le nostre accuse». La lettura di resoconti del genere è frequente e porta a una scoperta agghiacciante: la tortura, l'assassinio politico vengono accettati come «elementi ordinari della vita quotidiana». Insomma, non fanno notizia. Il sociologo Gilberto Freyre spiega codesta «indifferenza» con l'abitudine all'arbitrio contratta dal brasiliano durante tre secoli e mezzo di schiavitù. Il sado-masochismo sarebbe addirittura, per Freyre, «par te del patrimonio nazionale». Trarrebbe origine dal «tutto è permesso» della società patriarcale dove i figli dei piantatori scaricavano le proprie tensioni seviziando le schiave, prima di portarsele a letto. Il dualismo torturatore-vittima è uscito, nel tempo, dalla sfera sessuale e dalle pareti domestiche, il che spiegherebbe il «gusto del popolo» per i governi forti, l'accettazione fatalistica dell'arbitrio. L'arbitrio non ha atteso i militari per entrare nelle galere e nei posti di polizia brasiliani, scrivono Miro Alitene e Paola Spinelli: «E* cresciuto con il dispotismo dei regimi che si sono succeduti in questo Paese, senza che i brevi periodi di democrazia vi ponessero un freno». Emblematico il caso della lotta alla mendicità a Rio de Janeiro, quando era governatore Carlos Lacerda: si trasformò in uno sterminio degli storpi raccolti per le strade. C'è solo da aggiungere come l'arbitrio sia stato usato dai militari scientificamente per annientare l'opposizione, la protesta, il semplice dissenso. Senza più guerre da un secolo, dal tempo delle battaglie col Paraguay, i militari si son dati un «nemico ereditario»; la sovversione. Il Departamento de Ordem Politica e Social (Dops) arresta, fa sparire, tortura e qualche volta uccide. La pena di morte, abolita dalla Repubblica, viene ripristinata dai militari nel 1969 per i delitti contro la «sicurezza nazionale». Ma poiché nessuno osa applicarla, è nel segreto delle prigioni, delle caserme che i nemici della «Ri- voluzione» vengono assassinati. Non sono pochi, oggi, i giovani ufficiali convinti che «tutto è sbagliato»; delusi e frustrati si accorgono che invece di fare il bene della nazione concorrono a perpetuare l'arbitrio. Ma non sono pochi gli alti ufficiali che considerano «molle» il regime del presidente Geisel e predicano e praticano la «guerra santa» contro la sovversione comunista. Che praticamente non esiste più. L'insurrezionalismo infantile e il militarismo di matrice guevarista sono infatti finiti nel 1972. La gioventù rivoluzionaria commise un tragico errore: non capì che la dittatura militare era in realtà un fenomeno politico; come tale, doveva essere affrontata appunto sul terreno politico non su quello insurrezionale. «Pagò il suo errore con la vita, con il carcere, la tortura, con l'esilio e la disperazione». Ma per i «falchi» del regime il solo dissenso è «delitto di Stato». Nell'ottobre del 1975, il generale Ednardo D'Avila Nello, comandante della II Armata, tentò a San Paulo una «operazione Giacarta». Con l'appoggio dell'allora ministro delle forze di terra, il generale Sylvio Coato Coelho da Frota (silurato da Geisel il 12 ottobre dell'anno scorso), Ednardo arresta ottanta «sovversivi» e si prepara ad arrestarne un migliaio. Sennonché gli muore tra le mani, sotto la tortura, il giornalista Vlado Herzoc. Viene inscenato un finto suicidio invero grossolano: il giornalista si sarebbe impiccato a un cappio alto un metro e sessanta da terra... Geisel si reca a San Paulo, il capo del gruppo speciale dei torturatori viene trasferito nel Mato Grosso. Ma alla fine di dicembre, Ednardo ricomincia e a gennaio l'operaio Manuel Fiel fa la stessa fine del giornalista Herzoc. A questo punto Geisel destituisce il generale Ednardo D'Avila Nello, sostituendolo col moderato Villermando Monteiro. I giornali scriveranno che «a San Paulo l'esercito non pratica più la tortura». Trascurano, però, di dire come la polizia continui a torturare e che a Rio la tortura viene regolarmente esercitata e dall'esercito e dalla polizia. Non si può, tuttavia, pretendere troppo dalla stampa brasiliana. La censura è stata abolita (solo tre giornali vengono censurati preventivamente: il settimanale Movimento, O Sao Paulo, ebdomadario dell'Arcivescovado, A Tribuna da imprensa, quotidiano di Rio), semplicemente perché Geisel ha deciso di servirsi dei grandi giornali e dei settimanali deH'intellighentzia, come Veja e Isto è, per combattere la linea militare dura. I giornalisti lo sanno benissimo, non si fanno troppe illusioni sul liberalismo di Geisel sicché si limitano a giostrare nello spazio loro concesso guardandosi bene dall'osare troppo. Un errore corrente, scrive lo storico ed economista Miguel Angel Garda, è quello di considerare il regime di Geisel come una semplice dittatura militare sanguinosa, che si sostiene solo sul terrore, mentre la popolazione sarebbe quasi unanimemente contraria al suo dominio. Le cose, nella realtà, sono molto diverse. «I militari hanno un ruolo di primo piano non soltanto come forza repressiva ma anche come parte dell'apparato statale; e questo non in contrapposizione bensì in stretta simbiosi con la burocrazia civile tecnocratica e razionalizzatrice. L'insieme costituisce una macchina statale complessa e solida, la cui coesione è garantita non soltanto sul piano amministrativo, ma anche mediante una precisa ideologia che si è dimostrata capace di conquistare strati non disprezzabili di popolazione, particolarmente "tecnici", piccolo borghesi di matrice populista e, in alcune tematiche, anche masse di proletari e sottoproletari». E' la Repubblica, nata da un golpe militare, a portare alla ribalta, per la prima volta, la figura del militare-politico che sarebbe divenuta una costante sulla scena della politica brasiliana. A parere di Santiago Dantas, non i si è mai dato il dovuto rilievo a questo fatto essenziale della storia del Brasile: l'identificazione dell'Esercito con la classe media. «Se è vero che da noi la classe media non è sorta con quella struttura economica robusta che le avrebbe permesso tanta influenza in altre società, è pur vero che una tale deficienza è stata compensata i dalla concentrazione della forza politica fornitale dal sorgere di un vero e proprio potere: il potere militare». La mistica dello sviluppo economico, il cosiddetto miracolo brasiliano, ha esaltato l'identificazione dell'Esercito con la classe media. Ma ora che il «miracolo» è finito, l'ideologia del regime militare rischia di perdere uno dei suoi pilastri portanti. L'austerità, la restrizione del credito intesi a «congelare» la disordinata crescita dell'economia per evitare la crisi della bilancia dei pagamenti, i hanno determinato, tra l'altro, due fenomeni. Il progressivo distacco della borghesia dai «capi naturali» (i militari), il frazionamento della casta militare in tre correnti: quella degli estremisti di destra, quella degli «intellettuali» formatisi alla scuola superiore di guerra del maresciallo Castello Branco, quella dei «nazionalisti». La prima, fautrice di una implacabile repressione politica e del liberismo selvaggio, ha ricevuto un duro colpo con la defenestrazione del generale Frota che s'era autocandidato alla successione di Geisel. La terza è minoritaria. La seconda, che fa capo al generale Golbery capo della «casa civile» del presidente Geisel, è la corrente dominante. Su dì essa ha fatto leva Geisel per designare il suo successore nella persona del generale di divisione Joao Batista Figueircdo, responsabile dei servizi segreti. Gli «intellettuali» delle forze armate sono per lo sviluppo economico del paese a qualsiasi prezzo, compreso un ricorso massiccio al capitale straniero, senza peraltro trascurare la partecipazione statale. In politica sono per un «approfondimento progressivo della democrazia», per dirla con il colonnello Toledo Camargo, portavoce di Geisel. Tuttavia dichiarano di voler combattere la «sovversione comunista» senza pietà. Dice un detto popolare: «In Brasile il diavolo può cadere ma l'inferno non cambia». Sarà sempre così? Igor Man i Rio de Janeiro. Una colonna di carri armati, il volto rassegnato d'un cittadino