Finiti nel cemento i sogni di Lione

Finiti nel cemento i sogni di Lione CONTRADDIZIONI E PROBLEMI DELLA FRANCIA MINORE Finiti nel cemento i sogni di Lione Con grattacieli, centri d'affari, metropolitana, svincoli autostradali, sembrava pronta al grande balzo per diventare una metropoli europea - Ma è venuta la decadenza economica, ed è cresciuta la malavita - Restano i centri medici e il turismo (Dal nostro inviato speciale) Lione, febbraio. Louis Pradel — chiamato Zizl dai suoi concittadini — è stato sindaco di Lione per venti anni. E' morto nel novembre 1976, e gli hanno fatto funerali degni di un antico signore della città. Aveva una mania: il cemento. Ha squadrato la città disegnando e realizzando strade, superstrade, autostrade che la congiungono con ogni punto cardinale; che l'attraversano; che le passano sopra e sotto. Ha costruito giganteschi palazzi per uffici, sale musicali, un mastodontico mercato coperto, una immensa, allucinante area commerciale. Tutto cemento. Ha fatto venire dagli Stati Uniti un architetto perché realizzasse un grattacielo rotondo (trentacinque piani e un curioso tettuccio che sembra provvisorio: negli ultimi piani ci hanno sistemato un incredibile albergo). La mania di Zizl Pradel ha cambiato faccia alla città. Ma il risultato, se è desolante, squallido dal punto di vista urbanistico, è anche un mezzo fallimento, perché non ha saputo raggiungere lo scopo, che era di permettere a Lione di ospitare attività, iniziative, uffici dell'anno Duemila. Vuoti — albergo a parte — i trenta e più piani della torre rotonda che avrebbe dovuto ospitare uffici. Vuote, di sera, le strade di tutto il quartiere degli affari — la « Part-Dieu » — perché non si è saputo creare un centro residenziale, o almeno dei divertimenti, tra i grattacieli e i cubi di cemento. Inutile, quasi, la metropolitana — costruita sotto due fiumi, a prezzo di grandi sforzi — perché ci si è finalmente accorti che metteva in comunicazione tra loro quartieri residenziali, ma non serviva a operai e impiegati per andare e venire dal lavoro. Lione era giunta sull'orlo del grande balzo, quello che avrebbe dovuto consentirle di strappare qualcosa a PaI rigi per diventare una gran- de città europea: i lionesi hanno come traguardo ideale Francoforte o Milano, ma forse assomigliano di più ai torinesi, e la storia della loro città è in fondo abbastanza simile — caso Fiat a parte — proprio a quella di Torino. Avevano un'industria tessile che andava bene; avevano l'industria automobilistica (Berliet); non lontano c'è la rocca medioevale di Michelin. La pianura è stata attrezzata per essere con Marsiglia il centro delle industrie petrolchimiche francesi. Le strade e i treni la mettono veramente al centro dell'Europa, sulla diret] trice dei traffici tra nord e sud, tra est e ovest. Poi — la storia si ripete — è venuta la crisi tessile; è tramontato Berliet; l'industria dei derivati del petrolio ha subito il contraccolpo della crisi mondiale. | i « Tutto era previsto, in fondo Zizi Pradel aveva lavorato proprio per questo », mi dice il giornalista lionese Yves Leridon, « ma la crisi ha accentuato la "ritirata" su Parigi, che già era cominciata quando si è scelta la strada della petrolchimica anziché quella dell'industria meccanica ». Una delle cause del graduale, progressivo « svuotamento » di Lione — coinciso, è curioso, proprio con | lo sforzo che faceva per dii ventare più moderna — sarebbe anche la carenza di peso politico della città, che divide con Marsiglia l'onore di essere la seconda metropoli francese dopo Parigi. Fino al 1955, e per cinquantanni, sindaco e uomo più rappresentativo della città era Edouard Herriot, più volte contemporaneamente presidente del Consiglio dei ministri. Il peso della provincia francese — più spesso di ciò che accade in Italia — dipende dagli uomini politici locali. Morto Herriot, a Lione è rimasto un pugno di personaggi di minor peso, o che ormai contano poco sulla bilancia direzionale di Parigi, come è il caso dell'ormai vecchio Pinay. Vista oggi da Lione, la Francia appare sempre più un Paese incentrato su Parigi, capitale che poco lascia alla periferia. Gli uffici rimasti deserti nella torre rotonda di Lione erano destinati al Credito Lionese, una delle prime banche di Francia, che pensava — come logico — di installarvi la propria sede centrale. Ma, fatti i conti, la banca si è trasferita praticamente anch'essa a Parigi. « Lo stesso », dicono i lionesi, « hanno fatto anche le aziende straniere che pensavano di impiantarsi qui, attratte dalla posizione geografica, dalla rete di comunicazioni, dalle facilitazioni che offriva la città. Così, per esempio, ha fatto la stessa Fiat, che aveva progettato proprio a Lione la propria centrale francese ». Qualcuno aveva lanciato il progetto di realizzare una grande « metropoli di equilibrio », mettendo assieme Grenoble (con la sua università, i suoi centri di ricerca scientifica), Lione (con la finanza, le banche, le assicurazioni), Saint - Etienne (con la tecnica e le industrie). Un progetto affascinante e nuovo di riorganizzazione regionale, sulla carta; ma sulla carta — nonostante ci sia una legge che crea questa concentrazione delle tre città — la « metropoli » è rimasta: i sindaci di Grenoble, Lione e SaintEtienne non si sono mai neppure incontrati. E Parigi resta grande man mano che il peso specifico della nazione si riduce; perché al di fuori di Parigi la Francia quasi non si sente. C'è chi vuole vedere in questa continua operazione di risucchio da parte di Parigi non soltanto una delle cause di una certa decadenza economica del Paese, ma anche la spiegazione delle burrasche politiche che si addensano sul futuro dei francesi. Ridotta nella realtà, se non nelle dimensioni e nelle aspirazioni — ancora grandissime e fiere — a centro di provincia, Lione ha trovato un nuovo gioiello nella medicina: sembra che oggi in Europa non ci sia centro più progredito per la cura dei grandi ustionati, del cancro, dei reni, del pancreas (mentre pare sia un po' al tramonto la fama che i suoi clinici avevano fino a poco fa nell'oculistica). L'altro giorno è stato premiato solennemente il chirurgo JeanMichel Dubernard, 36 anni, che ha realizzato per la prima volta nel mondo un trapianto del pancreas seguito, sullo stesso malato, dal felice trapianto di un rene. L'equipe del professor Dubernard e del professor Traeger, della clinica lionese, nel 1977 ha realizzato ben otto trapianti del pancreas: « Sei pazienti sono tuttora in vita, e rappresentano un caso unico al mondo », sostiene Carole Dufour, della rivista Résonance. Duecentocinquanta persone attendono che si trovino dei reni per subire il trapianto nella clinica lionese. Un po' spenta nelle attività industriali e finanziarie, pronta a saltare su un'occasione alla quale si crede preparata, ma che ancora non sì vede all'orizzonte, gratificata appena' da un pizzico di gloria scientifica e medica 'settore in cui però soffre della concorrenza accanita di Grenoble), Lione ha saputo tuttavia conservare una certa vitalità che, unita a un certo fascino, ne fa una città piacevole e viva, persin bella in certe parti, non fosse per gli orrori di cemento di Zizl Pradel. Lione riscopre il turismo, offrendo il fascino delle case medioevali della vecchia città, dell'immensa piazza Bellecourt, con il suo « Cheval de Bronze », dei vecchi edifici che sorgono nel quartiere della Crois-Rousse, dove è facile ancora ritrovare le vestigia degli antichi laboratori della seta (qua e là ancora si vedono, sui muri altissimi degli edifici, conficcati grandi specchi che proiettavano all'interno dei cupi ateliers la luce del giorno). Alla evidente decadenza economica di Lione si è accompagnata una crescita della malavita. Qualcuno parla della città come della capitale francese del crimine. Si sussurra di polizia corrotta, di compromessi. L'altro giorno è stato rapito un giudice; tempo fa un giudice istruttore è stato ucciso, e non si è mai saputo il perché. Qui si sono registrati i primi rapimenti di Francia; il solo poliziotto ucciso nel Paese durante i moti del 1968 è un commissario di polizia ucciso proprio a Lione. Un po' testardo, buon lavoratore, il lionese condanna la qualifica di città-crimine e rifiuta di ammainare la bandiera dello sviluppo e del prestigio della sua città. Al giornalista venuto dall'estero spiegano che Parigi dovrà pur concedere qualcosa alla « grande » Lione. Valéry Giscard d'Estaìng, che se non altro ha il merito di una certa furberia e di capire i francesi, ha paracadutato nel collegio elettorale di Lione il suo stesso fido primo ministro Barre, per ottenere voti dai lionesi in cambio della speranza di avere finalmente, dopo Herriot, un uomo politico « locale » che conta a Parigi. Barre viene ogni venerdì a Lione: tiene i suoi discorsi, incontra autorità ed elettori. Rotondetto e sorridente com'è, in fondo, può ben passare per lionese. Perché questa — non va dimenticato — è anche la terra del mangiar bene e dell'allegrìa. All'aperitivo locale hanno dato il nome di un celebre canonico (il «Kir»: vino bianco secco con un po' di sciroppo di ribes nero); il personaggio più illustre e riverito della città è Paul Bocuse. ristoratore che tutta la Francia invidia a Lione, e che serve con gran cerimonie e discorsi un pasto regale che costa minimo 100120 mila lire a testa. Per andare a pranzo alla « Voute » — altro tempio della gastronomia lionese — è d'uso evitare la porta principale per entrare nel ristorante: si passa dalla cucina, dove la cuoca-proprietaria, madame Lea Bidaut, accanto alla grande stufa riceve gli omaggi e i baciamani dei clienti e consiglia il menù, scoprendo pentole, offrendo visioni e profumi di indimenticabili manicaretti. Sandro Doglio '■Efj1^ i 1 i i. ili li, ir.!! \b 5!UI| (""-Ufetrtt] il m ione. La Crois-Rousse, il grande quartiere abitato dagli operai tessili tra la collina e il Rodano (foto La Stampa)