Il voto anche ai bebé di Vittorio Gorresio

Il voto anche ai bebé Taccuino di Vittorio Gorresio Il voto anche ai bebé Sabato 11 febbraio, ore 10 del mattino: la scena è una specie di enorme capannone stile vecchie Hailes alle porte De Pantin, dove Chirac presenta al pubblico i candidati del movimento gollista Rpr in gara per le prossime elezioni. Il pubblico è costituito da non meno di 60 mila persone che si pigiano liete, ma che purtroppo nemmeno così riescono a difendersi dal gelo ambiente di due gradi sotto zero. Lo stesso Chirac, sul palcoscenico, è rimasto incappottato, una sciarpa al collo, tutti si sfregano le mani e battono i piedi per garantire la circolazione. Ma l'entusiasmo è di alto grado ed il clima eccitante come quello che precede la battaglia. Dalla tribuna tuona e sibila Michel Debré già presidente del Consiglio con De Gaulle, e oggi considerato più guerresco dello stesso generale. «Amici, compagnons, militanti», grida dalla tribuna e il suo è uno squillo di mobilitazione, un ordine di combattimento. Nei suoi periodi iniziali la parola battaglia ricorre sette volte, incalzante, come preparazione alla lista delle guerre che la Francia deve adesso affrontare, secondo l'elencazione di Debré: «La guerra del petrolio, la guerra delle monete, la guerra dei metodi commerciali, la guerra della natalità...». Non c'è discorso di Debré in cui manchi il richiamo a una buona politica demografica, la quale consisterebbe in una procreazione di massa. La Francia deve prefiggersi di raggiungere i cento milioni di abitanti, e talvolta egli dà l'impressione di temere che i francesi siano eunuchi o impotenti; comunque geme spesso sulla sventura della sterilità. Ha scritto un giorno Pierre Vianson-Ponté indirizzandogli una lettera aperta: «A sentir voi, avere dei bambini non è una gioia ma un austero dovere. Far l'amore non è un piacere ma un obbligo quasi di legge e un atto politico. Il cittadino e la cittadina coscienti votano Rpr e generano al canto della Marsigliese». Questo è per dire che sarebbe stato assai strano se Debré non avesse parlato di procreazione nel discorso di Pantin. C'era da aspettarselo, ma in genere accade che quando tocca il tasto demografico Debré si espone ad essere canzonato, nella migliore delle ipotesi. C'è anche chi scrolla le spalle lamentandosi: «Ci risiamo, basta, è una fissazione, una manìa, per chi ci prende» eccetera. Vianson-Ponté dice ancora che Debré «a forza di omelie e di ingiunzioni è riuscito a dare una cattiva coscienza alle donne incinte ed ai futuri padri», facendoli sentire, invece che eroi della patria, molto più semplicemente dei malaccorti. Proprio per questo, immagino, nel suo discorso di Pantin Debré ha voluto prevenire le critiche che ormai gli sono — non possono non essergli — perfettamente note. E' difatti ricorso ad un colpo a sorpresa per mettere a tacere le ironie e riconquistare il favore dei buoni francesi. Ai prolifici ha fatto balenare il premio del voto plurimo, come attestazione della riconoscenza della patria per i francesi, uomini e donne, più fecondi. Ha difatti lanciato una grande proposta: «Istituiamo il voto famigliare accordando ai padri e alle madri un numero di schede corrispondente al numero dei loro figli in età minore, e consentiremo così a sedici milioni di giovanissimi di votare per il tramite dei loro genitori». Potrebbe essere una trovata di genio. Nel 1975 il diritto di voto è stato esteso ai diciottenni e ci saranno quindi in marzo sei milioni di elettori nuovi, in grande maggioranza — si presume — orientati a sinistra. Nemmeno Debré evidentemente oserebbe contestare i diritti dei giovani, e quindi eccolo proporre un altro decisivo passo avanti sulla via del giovanilismo. Ha detto a Pantin che il voto ai diciottenni non basta più, bisogna far votare anche i bambini piccoli e piccolissimi, essendo questo il miglior modo e il più sicuro «per elevare e ringiovanire la democrazia». Saranno i genitori a votare «a nome dei loro figli», e se i diciottenni sono probabili eversori di sinistra, i padri di famiglia numerosa bene imbottiti di voti plurimi rimetteranno in equilibrio lo schieramento elettorale. Naturalmente nessuno ha preso sul serio la proposta di Debré, per il semplice fatto che essa arriva comunque troppo tardi per avere applicazione nel prossimo mese di marzo. Non è detto però che nella prossima legislatura non se ne abbia a sentir parlare di nuovo, tanto più che il singolare principio del voto delegato in bianco è già presente nella legge elettorale francese. Se con delega in bianco possono votare i residenti all'estero, perché i bambini non dovrebbero fare altrettanto? Purtroppo la raccolta delle deleghe all'estero si è risolta in un caso di truffa elettorale del quale si sta occupando la magistratura: nel Gabon, per esempio, era lo stesso ambasciatore Delauney che rastrellava le deleghe inviandole per corriere al Quaì d'Orsay. Ma il voto dei bambini appena nati sarebbe di sicuro più innocente. Fabio de la Higuera, uno dei collaboratori che si alternano a redigere la famosa rubrica «Au jour le jour» sulla prima pagina di Le Monde, ha infatti commentato l'altro giorno con favore la proposta di Debré. Gli è sembrata la prova che si è compiuto il vecchio auspicio del '68 («L'imagination au pouvoir» ): «Già il sistema gabonese, vale a dire il buon inoltro per via diplomatica delle schede lontane, dimostrava una certa immaginazione del potere: ma ora con il voto non a 18 anni, ma a 18 giorni, che dico, a 18 secondi di vita, che meraviglia: soprattutto pensando che le famiglie numerose sono piuttosto conservatrici...». Vero o non vero, Debré lo spera e non teme il ridicolo.

Persone citate: Chirac, De Gaulle, Michel Debré, Pierre Vianson, Vianson

Luoghi citati: Francia, Gabon