Cinema alla riscossa di Stefano Reggiani

Cinema alla riscossa Cinema alla riscossa Il cinema italiano sta cadendo in pezzi, dentro un'aria torpida che mescola la rabbia e la rassegnazione. Da una parte preme la concorrenza televisiva, dall'altra il predominio economico e spettacolare della produzione americana; in mezzo c'è un'inerzia politica, un vuoto culturale che non è senza colpe, anche nostre, di noi pubblico. Se vogliamo mantenere il diritto incontestabile di criticare i film italiani, dobbiamo adesso accettare un obbligo collettivo, al quale magari siamo impreparati, un compito difficile: salvare il cinema italiano. Prima di studiare come, vediamo perché. Ci sono, immediate, le ragioni economiche. Il calo di produzione (232 film nel 76, 168 nel '77, meno di cento in progetto quest'anno solo nove film attualmente incominciati) insidia migliaia di posti di lavoro già precari: attori a spasso, registi in attesa, tecnici in disarmo. C'è stata l'altro giorno un'assemblea non troppo affollata di sindacalisti e politici al cinema romano Capranichetta; un impegno generoso promette, con una cooperativa, il Movimento del cinema democratico; nelle sale della Fono Roma, a partire da marzo, si proietteranno a basso prezzo film italiani per riavvicinare la gente a un gusto, a uno stile formatisi e poi indebolitisi negli anni. Ecco le seconde ragioni per salvare il cinema italiano, le più importanti perché coinvolgono tutti: le ragioni culturali. Il cinema che sta bene, che ha buone idee, è sostenuto dal pubblico ed il successo lo rende autonomo; col consenso si paga anche il coraggio, le scelte difficili, contro la censura del mercato. Il cinema è ancora uno specchio del quale la società italiana ! non può fare a meno. Nei grandi film e nei film «politici» c'è riflessa un'identità nazionale con una sottile rappresentazione dei nostri difetti e una capacità di polemica che diventano, direttamente oggetti culturali, denunce e confronti. Se perdiamo il cinema italiano, se svanisce l'aggressività intellettuale che in passato c'è stata ed ha avuto spazio all'estero, perdiamo anche un aiuto per conoscerci, una forma di indipendenza. Non ci nascondiamo la realtà, sappiamo che il mondo è cambiato, altre volte abbiamo riconosciuto alla televisione un ruolo eccezionale nelle comunicazioni di massa e nello spettacolo per immagini. Una parte del cinema cadrà per forza, vinta dalla televisione; e sarà naturale. Ma c'è un'altra parte, in cui stanno i grandi nomi come i testimoni puntuali, come i giovani talenti che non deve andare perduta. La vera nemica del cinema, oggi, non è la televisione, è la politica. Alla scarsa assemblea del Capranichetta si sono fatte richieste concrete: credito agevolato, contenimento dei costi, intervento delle Regioni, reti di cineclub. Ma da sole non bastano. Occorre un risveglio di interesse, anche politico. Che fare? Intanto, riconoscere che il disinteresse è uno sbaglio grave; e da parte del pubblico e dei critici un modo troppo crudo per punire l'involuzione culturale, le cadute di gusto, gli sporchi filoni di questi recenti anni ingrigiti. Stringendo i costi, rinnovando le tecniche di ripresa, riscoprendo la realtà, bisogna pure che il cinema italiano duri, come una crepa fervida, come un'improvvisazione in una società dove le comunicazioni si riducono e semplificano, dove l'apparente varietà rischia la pigrizia. Stefano Reggiani

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