Altre otto bombe nell'Ulster Torna l'intubo del terrorismo di Mario Ciriello

Altre otto bombe nell'Ulster Torna l'intubo del terrorismo Esplose nella notte a Belfast e Londonderry Altre otto bombe nell'Ulster Torna l'intubo del terrorismo Svanite, dopo la strage di venerdì sera, le speranze di un ritorno alla normalità (Dal nostro inviato speciale) Belfast, 20 febbraio. Di tutte le emozioni umane la più dolorosa è forse la morte di una speranza: ed è questo il sentimento che, come il suo cielo livido e gelido, opprime e soffoca oggi l'Irlanda del Nord. La strage di venerdì sera a La Mon House, nei pressi di Belfast, ha distrutto dodici vite e ha dilaniato le poche illusioni che ancora restavano di un lentissimo ma graduale ritorno ad una seminormalità. Belfast è di nuovo inquinata da paure, da tensioni, da sfiducia: l'Ulster tutto è sgomento. In soli due mesi si è spenta la fiammella che i nordirlandesi cominciavano a scorgere alla fine del lungo tunnel. L'Ira non è stata né spezzata né sconfitta. Ha ripreso gli attacchi, è tornata sulla scena con meno uomini ma armi più potenti. In un equilibrio tanto precario come quello in cui vive da decenni questa tormentata provincia, il riaccendersi di questo terrorismo (otto bombe sono esplose stanotte qui e a Londonderry) può avere conseguenze che non sono soltanto militari. Gli ultras protestanti, che gli inglesi erano riusciti a frenare e a dividere, non sembrano disposti a tollerare impassibili il brutale ritorno dei provo cattolici: e, se anche non scenderanno sul sentiero di guerra, la loro collera alimenterà ì sentimenti più retrivi di migliaia di correligionari. Una volta di più, la piaga nordirlandese apparirà purulenta e insanabile. E se le tensioni fra le due comunità, fra la maggioranza protestante e la minoranza cattolica, saliranno minacciosamente, il governo di Dublino non avrà forse altra scelta che accentuare il suo neo-irredentismo. L'equazione irlandese si è fatta più complessa che mai, piena di oscure incognite. E' veramente un cancro, con una metastasi che ha le sue origini tra il 1500 e il 1600, con la colonizzazione anglo-scozzese dell'isola. Il nuovo interrogativo è questo: vi è un rapporto tra le parole di Dublino e le azioni dell'Ira? Nell'Irlanda del Sud, nell'Eire, il precedente governo, diretto da Cosgrave, aveva archiviato il sogno della riunificazione irlandese. Ma la nuova amministrazione di Jack Lynch, eletta lo scorso anno, usa un linguaggio diverso. Due mesi fa il premier Lynch, capo del Pianna Fail, il partito più nazionalista, quello dì De Valera, dichiarava: «Vogliamo che i britannici mostrino in qualche modo di voler unire i popoli irlandesi ». Un discorso simile era previsto per ieri al congresso del partito, ma Lynch si è limitato a promettere «uno studio di tutti i rapporti fra Nord e Sud». E' stata una cautela saggia e naturale dopo la strage di venerdì sera. Nelle ore precedenti, Lynch si era trovato sotto la furia di Mairead Corrigan e Betty Williams, le pa¬ ladine del movimento della pace, vincitrici del premio Nobel che, in una serie di interviste e dimostrazioni, lo avevano accusato di avere «incoraggiato» la nuova offensiva dei provo. Miss Corrigan in particolare aveva detto: «Io sono una cattolica, non mi faccio gabbare dagli inglesi e so benissimo che mister Lynch ha sempre condannato l'Ira. Allo stesso tempo, parla troppo di un ritiro degli inglesi dal Nord e non si rende conto delle conseguenze della sua politica». Certo, è assurdo e mostruoso pensare che Lynch abbia una responsabilità diretta: ma non è né assurdo, né mostruoso pensare che i capi dell'Ira considerano giunto il momento di rendere più temibile, con le loro bombe, la diplomazia di Dublino, anche per non lasciare a Lynch tutta la gloria di «liberatore del Nord». Di questa «liberazione» non si vede per ora il più pallido indizio, Londra non intende ritirarsi dall'Ulster: e l'immenso problema comincerà ad essere studiato soltanto da un futuro governo, laburista o conservatore, che, a differenza dell'attuale, potrà fare a meno dell'appoggio ai Comuni dei deputati protestanti nordirlandesi. Frattanto, ci si appresta, per l'ennesima volta, al peggio. In agosto, la regina Elisabetta visitò Belfast, senza drammi e senza allarmi: in novembre, i portavoce dell'esercito informavano: «Il livello di violenza è divenuto accettabile»; a Capodanno, Roy Mason, segretario di Stato per l'Irlanda del Nord, garantiva: «Non c'è più dubbio, il terrorismo è in fuga». La fuga non durava che poche ore. Dall'inizio di gennaio è stato un crescendo di attentati e di mortali aggressioni in cui sono periti due poliziotti, un soldato, due donne (una di 69, l'altra di 70 anni) e un fanciullo di 10. Il 10 febbraio, otto bambini si salvavano per miracolo da una bomba piazzata sotto il loro autobus. Pare, e lo dicono anche gli esperti, che i provo non volessero il massacro nel ristorante di La Mon House, pare che volessero soltanto incendiare il locale. Ma ciò non ne diminuisce la spaventosa responsabilità, che comunque riconoscono, pur aggiungendo: «Accediamo soltanto le condanne dei familiari delle vittime e dei nostri sostenitori, alcuni dei quali ci hanno giustamente e severamente criticati». Il numero dei morti, dal 1969 ad oggi, sale così a 1820. E continuerà a salire, inevitabilmente, fatalmente. La discriminazione contro i cattolici è diminuita, ma i protestanti negano tuttora alla minoranza l'accesso al potere esecutivo: e così facendo impediscono una «soluzione politica». L'Ira ha perso molti uomini, riceve colpi brutali dalla polizia dell'Ulster e dall'esercito britannico, ma dispone di nuove armi. Ma a qualche speranza bisogna pur aggrapparsi: e c'è allora chi sostiene che gli inglesi, esasperati, triplicheranno gli sforzi per eliminare i provo. Dopotutto, nel 1977, si erano fatti dei progressi. In questo eterno crepuscolo, Belfast tenta invano di rimettersi in piedi. Lo spirito è forte, persino baldanzoso: ma troppe sono ancora le incertezze. Povera Belfast, con le strade devastate, il centro ridotto ad una piazzaforte, i lutti continui e il continuo assillo delle precauzioni e degli allarmi. Ma tutto questo non finirà perché ancora c'è chi vede nell'estremismo una fede. li'Irish Times di Dublino ricorda oggi ai provo: «In tutte le epoche, nessun sentimento è stato più letale che la convinzione di possedere tutte le verità, politiche o religiose. E' così che sono giustificate le peggiori atrocità dello Stato e della Chiesa». Mario Ciriello