Un povero cappotto di Stanislao Nievo

Un povero cappotto PER FERMARE LA DISGREGAZIONE Un povero cappotto Occorre ritrovare i valori sepolti sotto le nostre paure Nel processo degenerativo che giorno per giorno assale la nostra vita sociale, autorità, tecnici e psicologi cercano una cura, una toppa, per fermare la disgregazione. Le cure sono spesso teoricamente intelligenti e tengono conto di molti fattori logici e di alcuni psicologici. Ma per una quantità di spinte, che ci provengono anche da fuori casa, sembra che tutto ciò non basti e che ogni giorno possa arrivare il peggio, un peggio non clamoroso, benché sempre più triste, con punte da grande tragedia. E allora che fare? Ogni mattino gli italiani se lo chiedono volgendo gli occhi al primo orizzonte e ai primi giornali. L'irrisolta domanda continua fino a notte, e soltanto una certa attiva rassegnazione e l'abitudine alle scadenze quotidiane impediscono che diventi nevrotica. Sentiamo che mancha qualcosa e nulla appare all'orizzonte. Non nelle proposte manca, o nelle strade diverse più o meno socialmente opinabili ma spesso correttamente articolate che ci vengono presentate dai medici del caso. Manca qualcosa di cui abbiamo bisogno e nessuno ci dice cos'è. Manca qualcosa che ci sfugge perché da troppo tempo è dentro di noi e non lo riusciamo a tirar più fuori. Cos'è? E' l'anima nostra, quella di ognuno, il valore del singolo verso se stesso, seppellito tra paure, timidezze, sparatorie, ladrocini, e frantumato da informazioni e tecniche così insinuanti che siamo diventati una poltiglia all'interno, incapaci di ritrovare la propria immagine. Parlando d'anima s'intende quella immanente, lo spirito per chi non crede oltre a ciò, e l'anima in forma tradizionale per chi ci crede. Non è questo il punto. Questo è un discorso semplice, che vuole evitare le parole difficili e perciò finisce per usare espressioni oggi sospette, come quella suaccennata. E' un discorso che vuole evitare anche la bella forma che potrebbe, luccicando, ingannare. Un discorso povero, insomma, per fare un passo avanti, modesto che sia, ma un passo che possono fare tutti, con le proprie gambe, fisicamente, per intenderci. E' un discorso per vedere se, pur cittadini corretti e pazienti, privi di ogni qualunquismo o spontaneismo, non inquadrati in ranghi convenienti e attivi come quelli politici, consci della pochezza dei nostri apparati esecutivi di fronte all'inquietudine che abbiamo davanti, possiamo fare qualche passo avanti che dipenda da noi, e non dai mille strumenti che ci catturano democraticamente e ci gestiscono molto meno democraticamente. Perché non cercare una via che invece di partire dal di fuori, dopo esser stata presentata, vaccinata ufficialmente e provata prima di vederla annaspare o affogare come succede ogni volta, perché non provare, senza rinunciare a nessuno dei metodi ufficiali, ma solo affiancandoli e controllando da dentro di noi, perché non provare una via che parta appunto dal nostro interno? Una via che impegni ogni giorno, per quel poco che può, ogni persona a esprimere qualcuno dei misteriosi atteggiamenti che portiamo dimenticati in certe tasche del nostro cervello che da tempo non usiamo? Ma come fare? Lo ripeto, questo è un discorso povero, fatto di argomenti che tutti possono sentire. Non sappiamo più guardare negli occhi uno sconosciuto in strada senza causare un vago malessere a lui e a noi. Camminiamo soli nel cappotto del nostro egoismo pieno di tensioni clamorose, credendoci vittime di un progresso più grande di noi. L'unico modo di essere noi stessi è toglierci questo cappotto. Ma quante volte l'abbiamo già sentito, per dirlo nuovamente? Questo è un discorso povero. Abbiamo bruciato tante parole e il loro significato, senza parlare della confusione dei neologismi. Cosa vuol dire oggi «libertà», oppure «onestà»? Parole, come «diritto» e «dovere» si sono praticamente sostituite nel linguaggio. Cosi, tolta per un momento la lingua, ambigua, è con altri esempi che possiamo esplorarci. Ma quali? Un esempio piccolo, evidente, tratto da quella serie di atti personali e comuni che esprimono nell'azione quel che la lingua è impacciata a comunicare. Spesso nel grande fracasso sentiamo il silenzio intorno a noi, siamo soli e dobbiamo cavarcela da soli, Qualsiasi atto conosciuto è giS in parte inquinato, nelle connotazioni. Dedicarsi a una buona azione ecologica, di partecipazione sociale corrente, come ad altre iniziative encomiabili spesso non raggiunge lo scopo o questo viene strumentalizzato dai più furbi. Siamo legati come salami. Abbiamo paura di far la figura di stupidi, o peggio. Qui ci avviciniamo al punto delicato. Forse il gesto, l'atto che cerchiamo, spicciolo, ha qualcosa di ingenuo, ridicolo in sé, e soltanto moltiplicato serve a qualcosa. Ma chi di noi è disposto, con gli attuali drammatici chiari di luna, a farsi scagliare la prima pietra? E quale dovrebbe essere poi que- sto gesto ingenuo, visto che certi modi di dire, di esprimersi sono consumati, improponibili? E' certamente necessario continuare a informare e proporre, in tal senso, e mai come in questi anni la stampa è stata essenziale per far conoscere, toccare dal vivo e spesso risolvere certi problemi. Non è questo il punto. Ma accanto forse esiste qualche ingrediente che parte da noi e che possiamo usare direttamente, civilmente, per sentirci vivi, partecipi e non solo trascinati nella corsa che tutti ci unisce. Possiamo influenzare un po' le cose soltanto partendo da quel che siamo. Ognuno di noi è soltanto proprietario di se stesso e siamo soltanto tutto quel che è passato in noi, pur volti con attenzione ad andare avanti, ad adattarci, a cambiare. Invece ci sentiamo sempre più legati a quel che facciamo, anche se non lo capiamo, pur di non perdere il treno. Se riuscissimo a pensare di poter vivere un po' più da poveri, materialmente, di quel che desideriamo di essere, se potessimo qualche volta accorgerci che l'esistenza è troppo seria e variata per buttarla via senza accorgerci di viverla, di conoscerla, dietro un paio di miti assoluti, come far soldi e guadagnare un posto in classifica sociale, questo misterioso gesto verrebbe a galla. Per molti. Questo è un discorso povero. Cerca un gesto povero che sfiori attenzioni in pratica screditate, anche se teoricamente riverite, come le faccende ecologiche, la creatività di ognuno, l'attenuazione della suscettibilità personale. Ecco, il gesto sta più in questi spazi tralasciati che nella forma disinvolta con cui farlo. Fosse pure quello di raccogliere le cartacce che troviamo davanti a casa e infilarle nel primo cestino dei rifiuti. Per poi cercare qualcosa che va ben al di là del cestino. Stanislao Nievo