Guarisce San Michele, "cervello,, di Roma di Fabrizio Carbone

Guarisce San Michele, "cervello,, di Roma Guarisce San Michele, "cervello,, di Roma Roma, 14 febbraio. Immaginiamo un grattacielo di mezzo chilometro che invece di slanciarsi in alto se ne stia coricato per lungo: un milione di metri cubi che ridicolizzano il «Pirellone» di Milano, quasi sette volte più piccolo. Immaginiamo poi, al posto del vetro, del cemento e dell'acciaio, materiali «freddi» per l'architettura dei giorni nostri, la patina calda del mattone, i tetti spioventi, la «fuga» di severe finestre. Questo è il San Michele, il complesso monumentale che diventerà per Roma quello che il «centro Pompidou» è per Parigi: il «cervello» culturale del Paese. Siamo a Trastevere. Per vedere bene il San Michele bisogna salire all'Aventino e affacciarsi dal «giardino degli aranci »: il monumento è proprio sotto, solenne e massiccio, abbracciato da uno scheletro di tubi in ferro che lo sorreggono. Dal giugno del '73 lo sta restaurando l'equipe della sovrintendenza ai monumenti del Lazio dopo che il Demanio, il 23 dicembre del '69, lo aveva acquistato all'asta, sottraendolo ai sogni speculativi dei palazzinari. Un vero colpo grosso per lo Stato: cinque miliardi tondi. In quasi cinque anni il San Michele è diventato una università del restauro, laboratorio a cielo aperto dove vengono studiate, progettate e messe in opera tecniche avanzate di recupero architettonico. Il «palazzone» era stato abbandonato dagli ultimi artigiani che vi lavoravano nel '62: erano caduti muri portanti e volte. Da allora i crolli sono diventati periodici e, dai tetti sfondati, le piogge hanno causato nuovi disastri, reso marci i muri. «I lavori avanzano compatibilmente coi soldi che riusciamo ad avere — dice il sovrin¬ tendente Giovanni Di Gieso — dal ministero dei Beni cui- turali. Abbiamo ottenuto in tutto 4 miliardi e 822 milioni. Ma per i misteri della buro- crazia lo Stato si è ripreso 593 milioni di Iva. A questo punto abbiamo terminato il 40 per cento delle strutture verticali, il 60 per cento delle coperture (tetti), il 20 per cento dei prospetti esterni e il 15 degli ambienti interni. Per fine marzo l'obiettivo è di aprire una mostra sul posto perché tutti si rendano conto di cosa stiamo facendo. A primavera un'ala del San Michele sarà destinata all'Istituto centrale del restauro, che ha bisogno di una sede per lavo j rare». | ci sono due chiese, cortili, ! giardini, chiostri, porticati ' che si legano a più palazzi. Enormi vani, saloni a volta capriate in legno, archi. Un ambiente di proporzioni difficilmente immaginabili, immerso nella penombra, creato in duecento anni di lavoro da quattro architetti che, in epoche diverse, sono riusciti ad amalgamare le «fabbriche» e farne un tutto armonico. Torniamo così al 1673, quando un prelato della Curia romana, Tommaso Odescalchi, volle costruire il primo nucleo per offrire ospita¬ lità e lavoro a fanciulli cresciuti in mezzo «a mille sconcie ribalderie», come si legge nelle fonti dell'epoca. Fu scelta la zona degli orti ed iniziò così quell'opera di «carità», per secoli unica funzione sociale possibile. Il «San Michele» prese ad allargarsi, inglobò carceri per giovani e per «donne ree e di malcostume», ma proseguì nell'azione di «recupero». Nacquero quattro strutture perché quattro erano le classi sociali da «redimere», togliendole dalla strada e dagli «abominevoli vizi » i vecchi e le vecchie, le zitelle orfane e i ragazzi abbandonati. Così voleva il «sublime disegno » di Papa Innocenzo XII, famiglia Pignatelli. E il monumento cominciò a prendere corpo, saldato e rimaneggiato da Carlo Fontana, Ferdinando Fuga, Nicolò Forti e Luigi Poletti. Nel 1861, pochi anni prima della fine del potere temporale della Chiesa, la struttura cominciò ad andare in crisi: si chiusero alcuni laboratori e fu sciolta la «comunità dei ragazzi». Ma il San Michele non era finito e la cappella di Pio IX fu terminata nel 1876 da Luigi Amici, scultore, che era stato un «ex assistito» e proprio lì aveva imparato «arte e parte». Poi l'abbandono e la degradazione. Occupato dai tedeschi di Hitler, fu poi comando alleato e ancora rifugio degli sfollati. Si arriva così ai crolli e alla chiusura, fino al «colpo» dello Stato che se lo accaparra in un'asta fortunata. La sovrintendenza ai monumenti del Lazio ha dovuto lanciarsi in un lavoro di restauro mai compiuto prima al mondo, soprattutto per la vastità della «fabbrica». Come prima sorpresa gli esperti seppero che il San Michele non aveva fondamenta: si reggeva per un paradosso statico, come dice il capo-équipe, l'architetto Fausto Secchi Tarugi, soprintendente vicario. Tonnellate di cemento iniettate a bassa pressione hanno così rinsaldato l'ambiente portante; resine sintetiche particolari hanno coagulato crepe e sventramenti. «La mostra di fine marzo — dice Di Gieso — vuole essere anche un contributo didattico sul valore del restauro in atto. Stanno collaborando "Italia Nostra" e l'Unesco e non vi sarà soltanto materiale storico sul S. Michele». Il San Michele diventerà il centro vitale dei nostri «beni culturali»; sarà attrezzato con impianti tecnologici speciali di ventilazione, condizionamento e riscaldamento dell'aria; riunificherà le varie sedi del ministero, sparse per Roma in locali affittati, dove rischiano lo sfratto. Ci sarà forse anche l'Archivio di Stato. Ma per finire tutto ci vorranno nuovi fondi perché ora la «cassa» è al secco. 24 miliardi, di cui 5 per gli impianti speciali, sono la previsione da oggi al 1980, fornita dalla sovrintendenza. Questi denari pare che ci siano. La preoccupazione di sempre è che vadano a finire nelle «pieghe» della burocrazia. Fabrizio Carbone fisti ■ Pi m mm mm è Hill i Mi li' lirSI , i -A,.... tmtS-. .|» * «trilli Roma. La facciata di San Michele, solenne e massiccia, sorretta da uno scheletro di tubi in ferro

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