Stupinigi ritorna a vivere
Stupinigi ritorna a vivere Stupinigi ritorna a vivere Si discute alla Regione il reinserimento attivo nella vita e nella cultura piemontesi della famosa "palazzina di caccia" juvarriana e del suo territorio - Anche l'Università gestirà il parco? E' in corso di discussione presso la II commissione del Consiglio regionale piemontese il disegno di legge n. 223, concernente l'istituzione del parco regionale di Stupinigi sul territorio della «palazzina di caccia», progettata dal Juvarra secondo il disposto del Regio Viglietto di Vittorio Amedeo II del 1729, e del bosco parco di caccia disegnato da Francesco Bernard nel 1740-46, oggi in gran parte di proprietà dell'Ordine Mauriziano. La «palazzina di caccia» e patrimonio della cultura universale, nella sua esemplarità di architettura di diporto regale del primo '700. E' significativo il fatto che uno dei massimi architetti rococò francesi, Germain Boffrand, abbia avuto l'impudenza di attribuirsene l'«idea» nel Liare d'Architecture del 1745, laddove le fonti, semmai Juvarra se ne preoccupò, erano, prettamente italiane, da un progetto del Serlio, a forma planimetrica di un «molino da vento», nel '500, alla perduta villa Contarmi alla Mira sul Brenta, del Longhena, nel '600. Ma il discorso non si limitava, né oggi si limita, alla «palazzina», dove il ministero della Pubblica istruzione, nel breve periodo di completa proprietà pubblica fra la cessione nel 1919 dal demanio regio e la reintegrazione nel 1925 dell'Ordine Mauriziano, allogò il Museo d'arte e di ammobiliamento, parallelo italiano del «Garde-Meuble» del Louvre, matrice del Musée des Arts Décoratifs. Oggi siamo ben consci che nessun singolo «pezzo d'architettura», monumentale o quotidiana, nacque, visse e vive al di fuori di specificità e formalità del suo ambiente fisico e della storia. Ciò è tanto più vero per Stupinigi: nel rapporto dialettico formale fra la «palazzina» e gli edifici di servizio e di reddito, il canile, le scuderie, la cappella, infine i «poderi» con i loro 12 ingressi carrai, forse rievocanti le dodici cascine del- la Commedia Mauriziana (1573), sorte intorno al «Castelvecchio» del '400 (sussistente ma in grave degrado) e abbattute per far luogo al nuovo complesso; nel rapporto spaziale e funzionale fra il complesso e la struttura naturale-artificiale del parco da caccia, con le sue simmetrie di prospettive panoramiche, di «rotte» da caccia, di «rondò»; nel rapporto spaziale e storico rispetto a Torino, al momento della sua creazione, attraverso i 10 km di rettifilo dello Stradone Reale, fiancheggiato dagli olmi, fino alla Porta Nuova romana (se ne ricordò probabilmente, nel regno napoletano, il Vanvitelli, con i 33 km da Capodichino alla reggia di Caserta). Fu, fino al regno d'Italia, una grande eredità della lenta, ma geniale programmazione territoriale e patrimoniale della dinastia sabauda. Iniziò con il programma manieristico-simbolico del Vittozzi, nel tardo '500, per i giardini contigui a Palazzo Reale, e con le prime dislocazioni regie extra-murane, il Valentino, Millefonti, Mirafiori. Segui, nel '600-'700, l'ulteriore «cintura verde» dominata dall'alto da Superga, simbolo del regno appena costituito: i palazzi-castellli con i loro parchi, La Mandria, Venaria, Rivoli, Stupinigi stessa. Ben pochi territori a fulcro urbano metropolitano poterono vantare una tale «costellazione»: eccezionale nelle specifiche qualificazioni architettoniche, in tutto o in parte juvarriane; ma ancor più eccezionale nelle correlazioni e nell'«artificiata natura» ambientale, nella diramata ma coerente tessitura territoriale, entro cui, all'origine, l'un complesso nacque e visse nell'eco spaziale e talora visuale dell'altro, sposando le alternanze di ritmo fra pianura e colline, tutt'intorno alla città murata e ai suoi fiumi. Ma poi, dal '700 a oggi, ben pochi territori ebbero altrettanto a soffrire, come quello torinese, dell'insipienza speculativa, del degrado ambientale, dell'alienazione culturale i che volle scindere, interessa¬ tamente o meno, il «monumento» dall'ambiente e dal territorio, la «poesia» aulica dalla «prosa» del rustico. E talora, come a Venaria, ridusse a caserma e bivacco il monumento stesso. La dinastia sabauda, dal '500 al '700, facendo duramente gravare il suo assolutismo militare-burocratico sui «fedelissimi» sudditi, creò comunque questa costellazione, degna dell'invidia di qualunque monarchia europea. Lo Stato unitario centralizzato fu cattivo erede di quell'assolutismo creativo, favorendo, direttamente o indirettamente, il degrado, ostacolando e soffocando le possibilità di salvaguardia da parte dell'unico legittimo interprete diretto dell'acquisizione di quello straordinario patrimonio di storia e di cultura al bene pubblico: lo stato delle autonomie locali. Oggi, istituzionalmente, questo erede ed interprete esiste, ed è la Regione. E' dunque, storicamente e culturalmente opportuna l'iniziativa regionale di reintegrare in concreto l'unità del complesso e il suo rapporto organico con il territorio, attraverso l'istituzione di un parco regionale, grazie al quale la pura tutela (oggi affidata direttamente ai due vincoli di Stato sulle «bellezze naturali e panoramiche» e sulle «cose di interesse artistico e storico», e indirettamente all'unità di proprietà del Maurizianò) si trasformi in reinserimento attivo nella vita e nella cultura piemontese. Di qui scaturisce la proposta di Interessare alla gestione del parco, accanto agli enti territoriali e al Mauriziano, anche l'Università. Attraverso la presenza attiva di istituti universitari, l'attuale doppia «facies» di Stupinigi, quella storico-culturale e quella produttiva agricola, acquisterebbe un grado di qualificazione sia scientifica che umanistica ben degna delle tradizioni piemontesi. E' un impegno, di reintegrazione e di risarcimento, cui la cultura torinese non può sottrarsi. Marco Rosei
Persone citate: Francesco Bernard, Germain Boffrand, Juvarra, Serlio, Vanvitelli, Vittorio Amedeo Ii, Vittozzi
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