Morto Kappler boia delle Ardeatine di Giuseppe Mayda

Morto Kappler boia delle Ardeatine ERA FUGGITO DAL CELIO DI ROMA IL FERRAGOSTO 1977 Kappler al tempo del processo di Roma nell'estate del '48 Morto Kappler boia delle Ardeatine (Dal nostro corrispondente) Bonn, 9 febbraio. Oggi, poco prima dell'alba, Herbert Kappler è morto nel suo letto in Wilhelmstrasse 6, a Soltau, una settantina di chilometri a Sud di Amburgo, La moglie Anneliese, che lo aveva fatto fuggire la mattina del Ferragosto 1977 dall'ospedale del Celio, a Roma, e che lo assisteva, non si è dunque sbagliata. Intervistata allora, aveva detto: « Potrebbe morire subito ma anche sopravvivere, forse per altri sei mesi ». / set mesi dalla fuga sarebbero scaduti la settimana prossima. Sulle circostanze della morte dell'autore della strage delle Fosse Ardeatine, da tempo sofferente di cancro, non sono stati forniti particolari. Inutile tentare di averli per telefono; risponde una voce incisa su un disco, che prega di lasciare il proprio numero. Le autorità mantengono il riserbo, memori dello scalpore suscitato dopo la fuga. Le uniche notizie che sono state date riguardano l'autopsia, che non è ancora stata eseguita e un comunicato delta magistratura che verrà emesso domani, con tutti i particolari, ora e cause della morte, data e ora dei funerali. Circa questi ultimi si dice che — per evitare l'affluenza di simpatizzanti e di nazisti incorreggibili e l'arrivo di decine di giornalisti, fotografi e teleoperatori — potrebbero avvenire in forma segreta, una dei primi giorni della prossima settimana. t. s. « Un vero carnefice ». Cosi apparve agli occhi di Eugen Dollmann, testimone insospettabile, la sinistra figura di Herbert Kappler mentre la sera del 24 marzo 1944, dopo aver compiuto la strage delle Fosse Ardeatine, riferiva a Wolff che « l'ordine di procedere a rappresaglie è stato eseguito oggi alle 13 dai miei uomini sopprimendo con armi da fuoco 335 persone ». Ma sulla coscienza di Kappler c'erano anche altri delitti: avrebbe dovuto pagarli con la detenzione perpetua se, a Ferragosto del 1977, dopo trentadue anni, tre mesi e nove giorni di prigionia, non fosse riuscito ad evadere dal Celio di Roma e a riparare in Germania creando un « caso » ancora oggi insoluto, del quale — parafrasando il famoso titolo di Tommaso Besozzi sull'uccisione del bandito Giuliano — si può dire: «Kappler. Di certo, si sa solo che è fuggito ». Figlio di un autista del municipio di Stoccarda, e nato il 23 settembre 1907, Kappler era entrato ventisettenne nel¬ le SS come « esperto criminologo » finché nel 1939, divenuto HauptsturmfuehrerSS (capitano), lo avevano inviato a Roma quale « attaché » all'ambasciata tedesca di villa Wolkonsky e col compito di spiare la polizia italiana. Basso di statura, faccia ossuta con l'inevitabile « mansur ». occhi penetranti color del piombo, poco amato dai suoi colleghi ma con due doti essenziali — intelligenza rapida e memoria eccezionale — Kappler aveva una vita privata poco felice: la moglie Nora, più anziana di lui, lo tradiva e non voleva figli sicché, dopo aver cercato più volte di farsi mandare al fronte, aveva divorziato adottando un ragazzo delle « Lebensborn », l'istituzione delle SS dove bimbi « sperimentali » venivano procreati da tedeschi di puro sangue ariano. La "razzia" di Roma Promosso Sturmbannfuehrer-SS (maggiore) nel 1942 e Obersturmbannfuehrer-SS (tenente colonnello) l'anno seguente, con l'incarico di capo del servizio di sicurezza (SD) di Roma, Kappler — che in pratica rappresentava la Gestapo — rivelò ben presto la propria terribile efficienza: seppe con anticipo del colpo di Stato del 25 luglio 1943, sequestrò le 120 tonnellate d'oro delle riserve della Banca d'Italia, fece catturare Ciano mentre tentava di riparare in Spagna, arrestò come ostaggio Mafalda di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele III (e che poi morirà nel campo di concentramento di Buchenwald), scoprì la pri¬ gione di Mussolini al Gran Sasso e, inascoltato, suggerì ad Himmler di non far liberare il Duce perché « il fascismo è morto » e qualsiasi governo filonazista in Italia si sarebbe sostenuto soltanto con la forza delle baionette tedesche. Roma conobbe il nome di Kappler, per la prima volta, quando nel pomeriggio di domenica 27 settembre 1943 egli convocò all'ambasciata tedesca il presidente della Comunità israelitica, Foà, e il presidente dell'Unione, Almansi, intimando che entro trentasei ore dovevano essere raccolti fra i 12.000 ebrei romani, e consegnati a lui, cinquanta chili d'oro: altrimenti, trascorso questo termine, « duecento di voi verranno deportati in Germania, alla frontiera russa, e saranno resi in nocui in altro modo ». L'oro fu versato in tempo (e, alla fine della guerra, la cassa che lo conteneva venne ritrovata a Berlino, chiusa e intatta, in un angolo dell'ufficio di Kaltenbrunner, ultimo capo della Gestapo) ma la persecuzione degli ebrei, romani e italiani, era appena cominciata. Meno di un mese più tardi, Kappler — su ordine di Himmler — organizzò ed eseguì la « grande razzia » di Roma del sabato 16 ottobre e 1041 ' ebrei furono rastrellati nel ghetto, rinchiusi nel Collegio Militare di via della Lungara e mandati ad Auschwitz da dove solo quindici tornarono. Da quel momento l'occupazione nazista di Roma divenne feroce: le celle della Gestapo, in via Tasso, si riempirono di partigiani e di detenuti politici, i treni deportarono in Germania almeno al- tri mille ebrei, i rastrellamenti e le fucilazioni si moltiplicarono. Il 23 marzo 1944 una bomba nascosta dai gappisti in un carretto della spazzatura scoppiò in via Rasella mentre transitava una colonna del battaglione di polizia « Bozen »: 32 militi-SS rimasero uccisi, 70 feriti e uno di questi morì più tardi. Hitler ordinò che venissero fucilati dieci italiani per ognuno di essi. In realtà le vittime della rappresaglia risultarono cinque in più: «Fu un errore — ammise Kappler più tardi — ma poiché ormai erano lì... ». Il carnefice delle Ardeatine, catturato dagli inglesi nel '45 e consegnato all'Italia (perché l'atto costitutivo del Tribunale militare internazionale di Norimberga stabiliva che i nazisti criminali di guerra, una volta catturati, dovevano essere giudicati nei Paesi dove avevano commesso i delitti) fu processato nel 1948 in quello stesso Collegio Militare dove cinque anni prima aveva concentrato gli ebrei della « grande razzia ». L'imputato si difese con ostinazione sostenendo di aver ubbidito, da soldato, agli ordini ricevuti ma il tribunale militare lo condannò all'ergastolo più 15 anni di reclusione per l'estorsione dell'oro. Kappler ricorse in Cassazione ma l'appello venne respinto. Nel 1959 chiese al presidente della Repubblica di poter « compiere un pellegrinaggio di penitenza al sacrario delle Ardeatine e di rimanervi il tempo necessario per rendere omaggio alle vittime ». L' autorizzazione gli venne negata, così come fu negata la grazia nel 1963 e nel 1970: invano intervennero il presidente tedesco Heinemann (1973) e il Cancelliere Schmidt (nel 1974 con Rumor, nel 1976 con Forlani, nel 1977 con Andreotti). Da quegli anni, già malato di cancro al retto con metastasi nell'intestino, Kappler sembrò abbandonare la speranza di ottenere il perdono dei parenti degli assassinati, dei deportati, dei torturati (sua madre, Paula, sarebbe morta a 94 anni senza rivederlo). Ormai settantenne, il corpo scheletrito che si muoveva a fatica, il « colonnello del diavolo » — rinchiuso prima a Forte Boccea e poi nel Forte Angioino di Gaeta, prigioni militari — trascorse il suo tempo suonando il violino, allevando pesci ornamentali, partecipando a un ente tedesco che soccorreva i bimbi spastici e riscuotendo la pensione assegnatagli dal governo di Bonn, finché la figlia di un suo vecchio conoscente, Anneliese Wenger Walther, classe 1925, abitante a Soltau (Bassa Sassonia) e divorziata nel 1955 dall'ex capitano della Wehrmacht Karl Walther cominciò a scrivergli e a fargli qualche visita. Non a caso, proprio in quel tempo, sorse in Germania l'« Associazione amici di Kappler », che raccolse subito 6500 iscritti. Il «colonnello del diavolo» sposò Anneliese il 19 aprile 1972: lei aveva 49 anni, lui 65. Testimone delle nozze civili fu l'ex maggiore-SS Walter Reder, detto « il monco » — che scontava anche lui l'ergastolo a Gaeta per le stragi di Vinchio, Sant'Anna di Stazzema e Marzabotto — e, nel mezzo della cerimonia, un ex paracadutista della « Folgore » consegnò agli sposi un mazzo di rose e di iris accompagnato da un biglietto che diceva: « Magnifico. E ora la libertà. Otto Skorzeny». Prigioniero di guerra La beffa della fuga in Germania prese le mosse di lì, anche attraverso le frequenti visite che la moglie gli faceva e la sempre maggiore libertà di movimenti. Era malato, sì, innegabilmente. Quando nel febbraio 1976 i medici gli diedero pochi mesi di vita, l'allora ministro della Difesa, Forlani, mutò lo « status » di Kappler da detenuto a prigioniero di guerra. Questo consentì che venisse trasferito dal carcere di Gaeta all'ospedale Celio di Roma e nessuno, singolarmente, sollevò obiezioni sull'assurdità formale della decisione (non c'era stato di belligeranza fra l'Italia e la Germania; inoltre, per la sua nuova condizione di prigioniero di guerra se Kappler fosse fuggito avrebbe compiuto un atto legittimo). Nel novembre di quell'anno la magistratura militare, in considerazione delle gravi condizioni di salute, gli accordò la libertà vigilata: poteva lasciare l'ospedale del Celio ma aveva l'obbligo di rimanere in Italia. Una protesta popolare indusse i giudici ad annullare la decisione. Venne il Ferragosto 1977. Kappler, al Celio, occupava una stanza al terzo piano, nel reparto chirurgia ufficiali, accanto all'ascensore: di qui, grazie alla moglie, a qualche negligenza o complicità, alla famosa valigia e alla 132 che attendeva in cortile, potè evadere e abbandonare l'Italia. La sua fuga fu comunque una beffa perché a un intervistatore disse che « a questa libertà avevo diritto ». Per lui fu chiesta, invano, l'estradizione ma stava ormai morendo. Scompare con Kappler una figura terribile, quella di un esecutore che, gelidamente, rappresentava un regime del terrore e della follia. Giuseppe Mayda