Amendola ci spiega i suoi comunismi

Amendola ci spiega i suoi comunismi Amendola ci spiega i suoi comunismi Noi ci auguriamo che Giorgio Amendola porti avanti le sue memorie oltre la data del 1929, l'anno dell'iscrizione al partito comunista cui si arresta la sua Scelta di vita. Fra gli uomini politici italiani, Amendola è uno dei pochissimi che abbia il senso della storia, e delle sue proporzioni: forse una eredità paterna, forse un influsso indelebile di una certa formazione culturale e morale, fondata sui « distinguo », ostile alle generalizzazioni e agli schematismi arbitrari. Quei primi contatti con Croce, respirati nel clima della Napoli post-1926, non sono passati senza lasciare nel figlio di Giovanni Amendola una traccia profonda: una capacità autocritica, un senso dell'ironia (che è rarissimo nei militanti politici, soprattutto dei grandi partiti di massa), una capacità di portare l'ideologia al contatto con la realtà, anche con la realtà dei grandi sentimenti umani, anche con le pieghe della psicologia o dei risentimenti. E' un peccato che i sette anni 1953-1960 — oggetto del nuovo libro di Amendola, // rinnovamento del Pei (Intervista con Renato Nicolai, Editori Riuniti) — non siano stati oggetto di una narrazione autobiografica dello stesso respiro e della stessa ampiezza di quella consegnata nelle pagine del volume Una scella di vita (Rizzoli). Per la verità in questo singolare saggio-sfogo-confessione, che ricalca gli schemi ormai anche troppo seguiti dell'intervista incalzante, autobiografia e giudizio storico si unisrono inscin¬ dibilmente, la valutazione politica appena retrospettiva si associa agli sfoghi o agli abbandoni della memoria. Ma in una forma che è troppo didascalica, troppo di « parte » per assolvere alla funzione sua propria di contributo peculiare alla ricostruzione di un periodo decisivo della nostra storia. Con l'Intervista sull'antifascismo Amendola si arrestò alle soglie del '45; con le Lettere a Milano ricostruì, sulle fonti, quasi con fervore erudito, le fasi fondamentali della battaglia della Resistenza. Con Gli anni della Repubblica affrontò i temi del centrismo e del centrosinistra, ma in una chiave consapevolmente saggistica, senza ambizioni di definizione storiografica. Nel nuovo volume Amendola salta a pie pari il centrismo degasperiano, un periodo ricco di fermenti e di avanzamenti su cui pure è in atto un faticato, graduale, anche tormentato processo di revisione da parte della storiografia comunista, fuori dagli schemi ormai inutilizzabili della « guerra fredda » e dello stalinismo. Dà atto di una certa fase di chiusura e di settarismo, prevalsa nel pei; parte dal fallimento della legge maggioritaria del giugno '53 per cogliere tutti i segni di quello che chiama il « rinnovamento » del pei e che per troppa parte rimane, nelle pagine del libro, un rinnovamento organizzativo, di sttutture, ricambio di dirigenti, allontanamento dei vecchi quadri, sostituzione con uomini nuovi, rottura delle vecchie baronie, liquidazione del regime persona¬ listico e accentrato di Secchia, avvicendamento, talvolta spietato, dei nuclei tradizionali con gli esponenti più fedeli alle sottigliezze di Togliatti. Amendola è stato al centro di questo processo, fra il 1954 e il 1960, come responsabile della commissione di organizzazione (la stessa che è poi passata nelle mani di Enrico Berlinguer) e ne descrive, con puntigliosa fedeltà, successi e insuccessi, risultati ottenuti e resistenze non vinte, eredità liquidate (l'attesa dell'« ora X>, così forte fino al '53, per esplicita ammissione di Amendola, con tutta la sua carica di insurrezionismo e di leninismo da Anni Venti) e stati d'animo non superati, o superati solo con l'aiuto di fattori esterni, sconvolgenti e imprevisti. Colpisce, nella testimonianza di Amendola, lo stato di impreparazione politica e psicologica con cui il gruppo dirigente del pei, e 10 stesso Togliatti, accolsero eventi traumatici e decisivi per la storia del movimento comunista internazionale, come la demolizione dello stalinismo, cioè 11 rapporto Kruscev, oppure i fatti d'Ungheria. Quel terribile 19S6 « Quel terribile 1956 »: si intitola il capitolo dedicato appunto all'anno del XX congresso e di Budapest. Immaginiamo cosa avrebbe potuto offrirci, di sorprese e di rivelazioni, un Amendola memorialista che non fosse preoccupato dei fini un po' « edificanti » e « pedagogici » di un libro rivolto prevalentemente all'interno del parti¬ to, o comunque scritto con ; preoccupazioni di partito. 11 Togliatti che non rivela a nessuno il segreto sul rapporto Kruscev, di cui è stato parzialmente informato a Mosca; lo choc nella base del pei, che supera quella del patto nazi-sovietico del '39 nelle file tanto più esigue del movimento clandestino; il comitato centrale dove il leader del partito evita di toccare l'argomento (« Me ne sono dimenticato », dice ai suoi collaboratori con quella punta di sprezzo intellettuale che era propria dell'uomo); la scena di Pajetta e Amendola che introducono loro il dibattito, anche aspro e puntuto, sull'argomento, con una specie di autorizzazione sorniona del capo che si manifestò solo, piena, alla fine della discussione; l'applauso interminabile a Concetto Marchesi che all'VIIl congresso rivendica la memoria di Stalin, accettato integralmente con tutte le ferree leggi della sua tirannide, ed esprime una serie di riserve quasi ironiche nei riguardi di Kruscev. E l'antipatia costante di Togliatti verso Kruscev, contrapposta a un moto di simpatia istintiva che il napoletano Amendola sembra quasi ostentare verso il personaggio emblematico di quell'Ucraina che ha qualcosa di Napoli (un dato che non sfuggì ai viaggiatori del Settecento). Il 6 novembre 1956, quando la tragedia ungherese si unisce all'errore occidentale di Suez, Amendola è a Torino, nel grande sotterraneo di piazza San Carlo per un comizio teso a rianimare la base del partito, sconvolta dai fatti di Budapest e dalle conseguenze impetuose della «destalinizzazione». Amendola è di coloro che hanno condiviso la linea di integrale solidarietà con l'Urss adottata da Togliatti; è animoso e risentito verso i socialisti italiani che hanno iniziato il processo di revisione già culminato a Pralognan (una costante di questo libro è l'avversione, quasi sempre irritata, verso Nenni). Copre il paese-guida; si augura che « Mosca non lasci trionfare la controrivoluzione in Ungheria ». Tra dissensi e applausi « Ci fu, è Amendola che scrive, un enorme, interminabile applauso. Ci furono anche molti dissensi ». Italo Calvino, incontrandolo all'uscita, gli gridò due volte « Viva Gomulka ». Replica di Amendola: « Ho gridato per troppo tempo Viva Stalin, adesso non sono più disposto a gridare viva per nessuno». E poi la notte vecchi e nuovi compagni, compreso Calvino, si ritrovano in casa di Barca, allora direttore dell'edizione torinese deW'Unità. « Sentivamo che erano ore cruciali e che avremmo dovuto compiere scelte che avrebbero condizionato le nostre vite ». Pur nel dissenso, senti sempre che Amendola è schietto, non appanna né sfuma i contrasti, i dilaceramenti di una volta. Il suo giudizio sugli eretici del '56, i Giolitti, i Diaz, è duro oggi come vent'anni fa. Il suo problemismo intellettuale, di radice storicista e crociana, è pari alla sua assoluta ortodossia, soprattutto in materia i di riferimenti internazionali del I pei. E le sue critiche a una cer| ta sclerosi dell'apparato, che si i spingono fino ai giorni nostri, ! non investono le radici di una | ideologia, che è accettata senza I ripensamenti né tentennamenti: j quasi con la fede, questa sì di ' matrice liberale, in una possi| bilità costante di correzione dalj l'interno, senza scismi né eresie. | Questa linea di rigore spiega 1 il « no » risoluto dell'ultima pagina a ogni vezzeggiamento j estremistico, a ogni indulgenza ; estetizzante verso la violenza. Amendola ha il coraggio di parlare di « fascismo di sinistra ». Non è il primo. Quasi sessantanni fa Luigi Salvatorelli identificava nella formula del « nazionalfascismo » la rivolta dei ceti medi, degli spostati e degli scontenti e dei « deracinés »: di coloro che partono da sinistra per arrivare a epiloghi autoritari. Per la nuova edizione del libro salvatorelliano, che Piero Gobetti pubblicò nel '23. Giorgio Amendola ha scritto in questi giorni una prefazione ammonitrice. Le costanti del « sovversivismo conservatore » non sono mutate. Ci sono cultori di ideali pseudorivoluzionari — sono parole di Amendola — che sbandierano molto rosso e ricorrono agli stessi metodi fascisti de! primo dopoguerra « presentandosi con la bandiera per tre quarti rossa e dichiarando di voler fare concorrenza al movimento operaio ». Neanche un minimo di tolleranza intellettuale potrebbe ripetersi impunemente due volle nel corso di un secolo. Giovanni Spadolini