Con la libertà di licenziare di Sandro Doglio

Con la libertà di licenziare METODO FRANCESE PER L'ECONOMIA GARANTITA Con la libertà di licenziare In Francia le aziende possono anche chiudere: lo Stato paga il 90 per cento del salario ai disoccupati (Dal nostro inviato speciale) Parigi, febbraio. « Mio fratello è stato licenziato il mese scorso dall'azienda tessile di Lille dove lavorava da quindici anni », mi confida il tassista mentre cerca di tenersi a galla nel traffico caotico dei grandi boulevards parigini alle 6 di sera: «Qualcuno gli ha subito offerto un nuovo impiego. Ma ha rifiutato: con il sussidio di disoccupazione che gli dà il governo, per un anno guadagnerà il 90 per cento del suo ultimo salario; poi si è preso una liquidazione, più un premio per il licenziamento. Ha sempre gli assegni familiari e non ha più le spese per andare in fabbrica. Guadagna più di prima e può starsene a casa. Gli altri ne approfittano, perché mio fratello no? ». Un grande manifesto elettorale della sinistra, a fianco del quale il tassì è bloccato da un interminabile semaforo rosso, sostiene che l'attuale governo « crea mille nuovi disoccupati al giorno ». La verità ha molte facce. Secondo le statistiche del ministero del Lavoro, i disoccupati in Francia sono un milione e 200 mila: grosso i modo, cioè, è senso impiego un francese ogni venti in età e necessità di lavorare. Ma il primo ministro Barre ha annunciato l'altro giorno che anche per la disoccupazione si è ormai verificata « una drastica inversione di tendenza ». All'università di Nanterre, ieri mattina, ho visto manifestare con toni violenti un gruppo di giovani neo-laureati che chiedevano lavoro. A settembre gli industriali hanno chiesto aiuto al governo offrendo in cambio un piano per creare 300 mila nuovi impieghi per i giovani: in tre mesi sono saltati fuori 175 mila posti più di quelli promessi. Tutti i giorni Le Figaro pubblica da quattro a cinque pagine (lunedì scorso ne aveva addirittura otto) di offerte di impiego. Ufficialmente centomila offerte di lavoro risultano non essere soddisfatte. Al Bourget, alla periferia di Parigi, una piccola azienda meccanica ha licenziato qualche settimana fa una cinquantina di operai. Proprio di fronte c'è un'altra fabbrica — stesso settore, quasi identici prodotti — che cerca personale: pochissimi dei licenziati hanno attraversato la strada per chiedere un posto. Il cartello « si cercano operai » non è stato tolto. Se in Italia si cerca di impedire i licenziamenti per non incrementare ulteriormente la disoccupazione, anche a costo di evitare il ridimensionamento logico, addirittura il sacrosanto fallimento di certe aziende non più valide, in Francia si segue un'altra strada. La differenza di metodo, tra due paesi per tanti altri versi simili, anzi «fratelli», ed entrambi alla vigilia — pare, si spera, si teme — di una evoluzione a sinistra, può essere interessante da esaminare. Proprio perché il traguardo al quale si punta e che già si può intravedere nel prossimo futuro è nei fatti lo stesso: garantire un reddito ai lavoratori, quasi come « variabile indipendente » dalla redditività, dalla stessa attività dell'individuo. E' il sistema dell'economia « garantista » che sta caratterizzando questa nostra epoca. Ed è un sistema dal quale non si torna indietro, anche se trovarvi un equilibrio non sarà facile. In Francia non è vietato licenziare; non sono neppure impedite le massicce riduzioni di personale. Se gli industriali lamentano che la procedura — fino a ieri facile e quasi automatica — oggi è più complicata e lenta, di fatto si conoscono pochi casi in cui siano trascorsi più di due-tre mesi dal momento della decisione al momento del licenziamento vero e proprio; per non parlare delle grandi manifestazioni, degli episodi di resistenza dura e prolungata da parte dei licenziandi, che sono nelle cronache italiane di tutti i giorni, ma che qui fanno ancora eccezione. Prendendo a caso le statistiche di un mese (novembre 1977), si può rilevare che su 100 nuovi disoccupati iscritti negli elenchi ufficiali, 30 sono i licenziati, 17 sono lavoratori che hanno dato volontariamente le dimissioni, 27 hanno concluso un contratto a termine (molto diffuso in Francia, e vedremo perché). Soltanto 15 sono giovani alla ricerca di un primo impiego, mentre 7 sono persone che dopo un certo periodo di inattività vogliono riprendere a lavorare. I « canards boiteux », le « anitre zoppe », come vengono definite le imprese che vanno male, che non hanno più ragioni economiche di sopravvivere, vengono insomma regolarmente chiuse, secondo le regole classiche del mercato. Un caso Unidal, di aziende inizialmente private cioè, alle quali prima con la resistenza sindacale, poi con ì soldi dello Stato, si è impedito di chiudere non una, ma addirittura due volte di seguito, non sembra essersi ancora verificato: viene giudicato un caso aberrante. L'oggetto dell'intervento statale non è in Francia l'azienda, ma il lavoratore; non si tende a mantenere a qualunque costo un posto di lavoro improduttivo o deficitario, bensì ad assicurare una continuità di introiti al lavoratore. Esiste anche qui una specie di « Cassa Integrazione » — si chiama « chòmage partiel » — ma non ha assunto le dimensioni italiane, soprattutto non è considerata salvagente valido né dalle aziende (che devono continuare a pagare una parte rilevante dei salari senza corrispettivo di lavoro, e che logicamente preferiscono, potendovi ricorrere, la riduzione di personale, i licenziamenti), né dai dipendenti, ai quali le ore in Cassa Integrazione sono retribuite a metà salario soltanto. II sistema delle indennità di disoccupazione è invece talmente ben congegnato, che è fondato il sospetto che molti — come il caso del fratello del tassista parigino — ne approfittino, e stia nascendo una specie di inflazione volontaria della disoccupazione. « Quanti sono i disoccupati che vogliono veramente ritrovare un lavoro? », si domanda con amaro pessimismo André Gillet, capo del servizio sociale del quotidiano « Le Figaro ». Gli stessi sindacalisti sono reticenti ad affrontare il problema. Il metodo francese di realizzare l'economia « garantista » non è naturalmente immune da punti deboli ed è probabilmente a sua volta causa di ulteriori crisi. In primo luogo, è molto oneroso per lo Stato, che deve « mantenere » i disoccupati: un milione e duecentomila persone a una media di 400 mila lire al mese (il « salario minimo » francese è oggi di 320 mila lire, ma chi ha un impiego regolare guadagna certamente di più), vuol dire 480 miliardi di lire al mese, poco meno di seimila miliardi all'anno: è chiaro che si dovrà chiudere qualche rubinetto o imporre nuove tasse. Inoltre, ci si comincia a rendere conto che, intervenendo sulle aziende (come si tende a fare in Italia), o spendendo per mantenere un reddito ai disoccupati (come in Francia), senza aver trovato un diverso equilibrio — senza cioè che si garantisca una funzione economica al lavoro, all'impresa —, si corre il rischio di avere aziende parassitarie, oppure una massa imponente di disoccupati che costano senza produrre. E ciò non può continuare senza modificazioni profonde della società in cui si vive. Per la Francia l'allarme viene naturalmente dagli industriali. Mi dice Pierre Guillen — segretario generale dell'associazione industrie metalmeccaniche francesi — che da qualche tempo si registra nelle aziende, specialmente in quelle grandi, « una certa diffidenza nel fare assunzioni e riassunzioni di personale ». Di fatto, le grandi imprese non assumono più. E ciò perché le procedure di licenziamento si stanno facendo più pesanti e lunghe, ma soprattutto perché si teme che domani tutto il sistema possa essere rimesso in discussione — per ragioni economiche o politiche — e sopravvenga improvviso un qualche blocco dei licenziamenti, o addirittura vengano imposte assunzioni. « Si giunge a rinunciare a nuovi lavori pur di non aumentare il personale », sostiene Guillen, che confida: « Ho paura che si stia per arrivare al punto in cui si pianificherà il lavoro sulla base della manodopera che si ha in azienda, e non sulla base delle capacità produttive. E' possibile che si finisca per cercare una elasticità con mezzi al di fuori dei meccanismi tradizionali e ufficiali. Forse anche con tutto ciò che si è combattuto nel passato, compreso il lavoro nero, il lavoro a domicilio, gli appalti a terzi ». Ma onestamente le cose non sono ancora a questo punto: « débrouillards », ingegnosi essi stessi come spesso accusano noi italiani di essere, i francesi hanno inventato qualcosa che farebbe orrore ai nostri sindacalisti (se Lama non ci si mette di buzzo buono per far cambiare loro idea): gli « interimaires », cioè la gente che lavora soltanto quando, dove, e se l'industria ne ha bisogno. Sandro Doglio Parigi. Volti cupi a una manifestazione operaia: crescono i disoccupati (Foto Team)

Persone citate: André, Barre, Bourget, Guillen, Lama, Pierre Guillen