Il partito ha sempre ragione di Frane Barbieri

Il partito ha sempre ragione Il partito ha sempre ragione Come Santiago Carrillo ha accolto il libro del vecchio compagno Jorge Semprum I grandi smitizzatoti finiscono spesso col create a loro volta un proprio mito. Ultimamente sta succedendo così anche con Santiago Carrillo. Abbiamo contribuito un po' tutti alla nascita di questo nuovo mito, sorpresi ed affascinati dall'irruenza polemica e critica del leader eurocomunista. Perciò siamo rimasti, con più ragione e più diritto, per lo meno perplessi di fronte alla maniera con cui ha accolto in questi giorni il libro autobiografico del suo vecchio compagno di lotta Jorge Semprùn. Lo scrittore, per dire la verità, non è stato per niente tenero nel ricordare le proprie esperienze di membro dell'esecutivo del pc spagnolo: in quell'epoca si chiamava Federico Sanches, e fu espulso dal partito dallo stesso Carrillo. Non è stato tenero, in quanto sostiene che in quel partito « siamo stati in fondo tutti stalinisti » e molti, intimamente, 10 sarebbero tuttora. Punto sul vivo, Carrillo cerca di liquidarlo in un lungo articolo sull'ultimo Mundo Obrero, prima sostenendo di non averlo letto, deliberatamente, per evitare la polemica a livelli personali, e poi qualificandolo come semplice ingrediente di una « offensiva antidemocratica contro il pce » e di « una campagna mondiale contro l'eurocomunismo ». Le prove ne sarebbero l'alta tiratura del libro ed il premio letterario che subito gli è stato conferito. Modi spicci Conoscendo Semprùn-scrittore, romanziere e soggettista, e lasciando da parte il politicorivoluzionario, emerso dall'autobiografia di Sanches, non c'è che da rimanere perplessi di fronte ai modi spicci e agli argomenti macchinosi usati da Carrillo per escluderlo dalla democrazia e dal progresso. Basta ricordarsi di quattro soggetti dei film che Semprùn ha scritto per il regista Costa Gavras. In Z aveva pronunciato una dura requisitoria contro le dittature militari, nelVAmerikano ha denunciato il potere e i condizionamenti esercitati dalla solita Cia sui regimi latino-americani, nella Confessione, seguendo le memorie di Arthur London, ha svelato la meccanica infernale dei processi staliniani inscenati contro i dirigenti comunisti, nella Sezione speciale ha indicato come l'opportunismo borghese di tipo petainista non abbia altre vie di uscita, tranne 11 tradimento e l'assassinio. Risulta per lo meno azzardato annoverare l'autore di una simile quadrilogia, inspirata al motto gramsciano « La verità è sempre rivoluzionaria », fra i crociati di una nuova offensiva antidemocratica. C'è da constatare almeno una confusione attorno a quello che si considera per democrazia. Risaliamo così ai motivi che nel 1964 avevano causato la espulsione di Semprùn dall'esecutivo del pce. Semprùn, alias Sanches, sosteneva in quell'epoca che il regime franchista si stava gradualmente trasformando dall'interno, sotto la spinta dell'Opus Dei, e che di conseguenza la strategia del « dopo Franco » non andava più concepita come un urto frontale e magari violento con il regime, ma come una graduale evoluzione verso la democrazia. Semprùn non fu altro che una specie di protocarrillista o protoeurocomunista. La sua colpa fu soltanto quella di esserlo diventato troppo presto. Prima dello stesso Carrillo. Nella sua autobiografia Semprùn non rivendica questi meriti né pretende di essere reintegrato nelle sue funzioni di partito. Però gli è bastato rivelare le proprie peripezie, vissute nei meandri del partito clandestino, per mettere a nudo la regola che sembrava estinguersi con lo stalinismo: cioè che il partito ha sempre ragione, quando sbaglia e quando rettifica i propri sbagli assorbendoli piuttosto che denunciandoli. Si regge anch'esso su un dogma di infallibilità; il colpevole, l'antidemocratico e l'antiprogressista risulta sempre e soltanto colui che osa metterlo in dubbio. Un assioma ecclesiastico tuttora in vigore in una buona parte dei partiti. Sorprende soltanto quando si vede applicato da Santiago Carrillo, che è il critico più acerrimo, appunto, dell'omertà e della mentalità ecclesiastica regnanti nei partiti comunisti. Un anno e mezzo fa a Berlino Carrillo aveva dichiarato: « Dobbiamo smettere di considerarci una chiesa ». Adesso, quando gli svelano che non sempre ha avuto ragione, si comporta da cardinale. Il fatto che ciò sia successo proprio con Carrillo non deve necessariamente indurre ai soliti sospetti verso la consistenza della sua conversione democratica ed eurocomunista. Induce piuttosto ad una considerazione più generale, ed è questa: non tutti i partiti comunisti hanno avuto il loro ventesimo congresso. Soprattutto non quelli dell'Europa occidentale. Quelli orientali, i loro congressi « purificatori» li hanno avuti quasi tutti, quasi tutti hanno radiato i dirigenti dell'epoca staliniana colpevoli di misfatti, benché nemmeno i nuovi capi siano poi riusciti a liberarsi dalla mentalità e dalla filosofia staliniana, né a trasformare il sistema che ne è derivato. I partiti occidentali invece, chi prima chi dopo, hanno accolto il ventesimo congresso sovietico, hanno approvato con più o meno riserve la denuncia kruscioviana dello stalinismo dell'Urss. però del proprio stalinismo non si sono occupati. Il pei, per esempio, pretende di essere stato sempre sulla linea giusta, da Gramsci a Togliatti, malgrado il loro conflitto storico, da Longo a Berlinguer, malgrado le loro discrepanze recenti. La stessa pretesa la incontriamo ora anche in Carrillo. La famosa intervista di Togliatti a Nuovi Argomenti viene indicata come l'inizio dell'antistalinismo, mentre in sostanza non fu altro che un'eco ritardata, una conseguenza un po' allarmata e reticente del terremoto del ventesimo congresso sovietico. Vi si scorgevano più preoccupazioni per le conseguenze che la scossa tellurica poteva causare nei partiti occidentali, che tendenza ad estenderla nei propri ranghi. Ad ogni modo, l'intervista di Togliatti non poteva sostituire un « ventesimo congresso » del pei e tanto meno mettere a fuoco il ruolo dello stesso autore nella diffusione pratica e teorica dello stalinismo nel movimento comunista. Da quella intervista, il pei ha incominciato a comportarsi a tutti i livelli come se fosse stato sempre antistalinista e immune dalle tentazioni autoritarie: senza necessità dunque di affrontare un proprio ventesimo congresso, se non come un riscatto dagli errori e deviazioni, almeno come un riscatto mentale, morale e storico. E ciò si consegue non tanto polemizzando con gli altri su quanto si è stati stalinisti, se più o meno, quanto ammettendo, prima a se stessi e poi agli altri, di essere stati stalinisti. Scrive con ragione Semprùn: « Essere autonomi nei confronti dell'Urss o denunciarne gli errori non significa anche la fine dei proprio, interno, stalinismo ». Di quanto ce ne fosse bisogno, j me lo ricorda il mio primo incontro con uno degli attuali leaders eurocomunisti più in vista. Eravamo nel 1954 e i comunisti italiani, sulla scia del governo Malenkov, incominciavano a sondare il terreno per un primo passo verso Belgrado. Dicendomi che voleva raccogliere le prime necessarie informazioni, il personaggio mi domandò, iniziando una fila di domande, se in Jugoslavia fossero in libera circolazione i libri di Marx e Lenin. Riso gratis La seconda domanda fu: quante basi americane esistevano sul territorio jugoslavo! Era successo anche a Roma quello che per Mosca Kruscev spiegò poi all'ambasciatore jugoslavo con la famosa barzelletta su Hodza, prete musulmano, il quale, indispettito contro il proprio villaggio, si mise a diffondere la voce che fuori del caseggiato si distribuiva gratuitamente il risotto. Poi, vista correre in quella direzione tutta la gente del villaggio, spinta dalla sua menzogna, decise di andarci anche lui: « Chissà, forse distribuiscono davvero il risotto ». Cosi anche noi, disse Kruscev, inventammo la bugia della Jugoslavia fascista e poi ci credemmo fino al ventesimo congresso. Una specie di ventesimo congresso, anche intimo e personale, laddove non c'è stato, sarebbe servito almeno per ammettere di non essere stati sempre e poi sempre nel giusto, ed essere meno convinti di essere ancora oggi gli unici ed esclusivi deposi¬ tari della verità e del progresso. In fin dei conti anche in questo consiste il segreto della democrazia. Parliamo dell'atteggiamento perentorio ed ermetico assunto da Carrillo di fronte a Semprùn, non per esserci sbagliati nel commentare il mito carrillista e nemmeno per smitizzarlo. Ci sembra semplicemente di intravedere in un tale atteggiamento le lacune tuttora esistenti nella conversione democratica del più spregiudicato leader eurocomunista. Carrillo ha convinto addirittura Suarez di voler ascendere democraticamente al governo. Fa però sorgere dubbi su quanto democraticamente si comporterebbe da governante. Questo invece risulta determinante per far diventare l'eurocomunismo un comunismo diverso. Ai sovietici si rimprovera sempre meno il fatto di essersi impossessati del potere usando la violenza; lo avevano fatto anche le democrazie, da Cromwell a Robespierre; ma vengono rimproverati sempre di più per aver trasformato il potere in una violenza permanente. Liberarsi dallo stalinismo non significa soltanto compiere una revisione ideologica, come ha fatto Carrillo nel suo libro e nelle ultime tesi programmatiche preparate per il prossimo congresso. Significa anche liberarsi da una conformazione mentale e, diciamo pure, culturale. Conservandola si dà ragione a Semprùn quando dice che i giovani sperano di poter cambiare il partito mentre corrono il rischio di trovarsi cambiati dal partito. « Un partido que resumé todo ». Frane Barbieri

Luoghi citati: Belgrado, Europa, Jugoslavia, Roma, Urss