"Riduzione degli orari per far lavorare tutti" di Giancarlo Fossi
"Riduzione degli orari per far lavorare tutti" Camiti insiste nella sua tesi "Riduzione degli orari per far lavorare tutti" Secondo il segretario aggiunto della Cisl è, per ora, il solo sistema per attuare il pieno impiego - La tesi suscita polemiche Roma, 1 febbraio. Lavorare di meno, ma lavorare tutti: è la tesi che il segretario generale aggiunto della Cisl, Camiti, rilancia fra critiche e contestazioni in vista dell'assemblea dei delegati convocata a Roma per il 13 e il 14 febbraio. Ridurre gli orari di lavoro (prima a 38 ore e poi, a seconda delle necessita, a 36 e 34) rappresenterebbe per il sindacato la contropartita concreta al contenimento dei salari da conseguire attraverso lo scaglionamento in tre anni dei miglioramenti contrattuali. «Senza questa scelta — afferma Camiti — è impossibile pensare di realizzare, anche in un arco di tempo ragionevole, il pieno impiego. Contrastarla, in nome di un "realismo" senza princìpi, significa al contrario sacrificare cinicamente i giovani, i disoccupati, la povera gente del Sud, ad un futuro di emarginazione e di disperazione. Significa sospingere il Paese ad una prospettiva inquietante». Non basta dare lavoro a tutti, bisogna pure dare il lavoro là dove ci sono i lavoratori. «Ma la contrattazione — precisa il segretario generale aggiunto della Cisl — non è certo priva di soluzioni e di adattamenti per riequilibrare anche territorialmente, con la riduzione d'orario, l'apparato industriale». Ed ancora: ripartire diversamente il lavoro, realizzare un cambiamento profondo della politica economica e rivendicativa assumendo il pieno impiego come vincolo assoluto «non è certo impresa facile e a portata di mano» : occorrono atti politici che incidano nel vivo degli assetti sociali. Perché, secondo Camiti, si deve giocare tutto sul problema del pieno impiego? La sua risposta è secca, dura: «Siamo, per unanime ammissione anche se con diverse motivazioni, al centro di una crisi di allarmanti proporzioni. Siamo, infatti, quasi a due milioni di disoccupati. Si è ormai superata la soglia di tollerabilità politica e sociale. Non si esce dalla crisi se non ci affranchiamo dalla disoccupazione». E ci si deve rendere conto, insiste Camiti in polemica con altri esponenti della «triplice», che dal contenimento degli aumenti salariali non ci si può attendere un aumento dei posti di lavoro. Non si può escludere che l'aumento salariale possa avere una incidenza negativa sull'occupazione, «ma è del tutto indimostrato che questo mec canìsmo funzioni pure all'inverso». Puntare al pieno impiego significa affrontare contemporaneamente molti altri aspetti del mercato del lavoro, compreso quello del «lavoro nero» degli immigrati in Italia al quale la Federazione Cgil-Cisl-TJil dedicherà un apposito convegno entro aprile. Il convegno costituisce solo una delle iniziative in corso da parte della Federazione in merito ad un fenomeno che sta assumendo proporzioni vistose. Le stime ufficiose indicano la presenza nel nostro Paese di oltre mezzo milione di lavoratori stranieri. Il patto sociale è l'altro argomento di attualità. Il sindacato è contrario, ma «c'è un solo modo — rileva Macario — per vincere la sua ostilità». Se le forze politiche giudicheranno positive e sottoscriveranno le proposte elaborate dalla Federazione Cgil-Cisl-Uil per l'assemblea dei delegati, o comunque le accetteranno nella sostanza, «è come se si fosse fatto il "patto". La gravità della situazione impone — dice il leader della Cisl — di riferirsi a fatti concreti e non a fantasmi». Giancarlo Fossi
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