Nel caldo ateneo romano qualcosa cambia in meglio di Alberto Rapisarda

Nel caldo ateneo romano qualcosa cambia in meglio Ora gli studenti sembrano più interessati Nel caldo ateneo romano qualcosa cambia in meglio I professori avvertono sintomi di ripresa - Ma non va dimenticato ehe l'ateneo, fatto per 20 mila giovani, ha 130 mila iscritti Roma, 1 febbraio. Per la prima volta dopo otto anni, dall'Università di Roma non arrivano solo tesimonianze pessimiste e sconfortanti. Nella più grande, più caotica ed infrequentabile università italiana, specchio fedele della città che la ospita, qualcosa sta forse cambiando negli uomini, sia tra gli studenti, sia tra i professori. Quasi col fiato sospeso, increduli, i docenti notano l'apparizione di un nuovo studente in questo inizio di 1978, a dieci anni dalla prima «contestazione». «C'è un enorme interesse dei giovani, quest'anno, c'è una partecipazione molto attenta, c'è presenza in facoltà». dice il professor Stefano Rodotà, docente di diritto civile alla facoltà di giurisprudenza, i E non è il solo ad aver colto i1 sintomi di novità: «L'altra sera, al consiglio di facoltà, tutti i collaghi si sono dimostrati colpiti dalla presenza e dalle richieste degli studenti», aggiunge Rodotà. E il professor Giovanni Pugliese, ordinario di istituzioni di diritto romano: «Gli iscritti di quest'anno sono tra i migliori studenti che io abbia mai avuto». Testimonianze di speranza che si allargano dalle facoltà umanistiche anche a quelle scientifiche: «La facoltà di Scienze è piena di impegno, — ci dice il preside, Giorgio Tecce — non ci si perde più in discussioni astratte, ma si dibatte su problemi concreti. Il nostro consiglio di facoltà è di 420 membri e la gente viene. Lavorare non è sempre piacevole, è ovvio, ma ora le cose vanno avanti senza contrasti eccessivi». In un organismo malato come la società italiana, è l'opinione del prof. Tecce, l'università è l'organo che per primo segnala l'esistenza del male diffuso. Fu all'università di Roma, aggiungiamo noi, che le pistole apparvero per la prima volta in mano agli studenti dell'ultrasinistra, esattamente un anno fa, come ritorsione ad un raid fascista. Nel monumentale «studium urbis» nato per 20.000 studenti e intasato oggi di 130.000 giovani, nel 1977 l'aggressione fisica sostituiva il dibattito e le esplosioni di violenza fuori e dentro le mura dell'Ateneo, per le strade e contro gli insegnanti, testimoniarono il culmine di uno stato di confusione collettiva. «Ora pare che la violenza tenda a rimanere fuori dalla cinta dell'università, — rileva il prof. Pugliese — speriamo che non succeda di nuovo qualcosa...». Ci sono piccoli segni che si rilevano girando per le facol tà. I muri, fino a poco tempo fa affrescati da scritte e disegni multicolori a testimonianza delle più accese manifestazioni di protesta, sono stati ridipinti con un tenue color sabbia. Le scritte traspaiono ancora, alla facoltà di lettere una delle più «figurate», ma ora gli studenti per esprimersi usano i manifesti. Scrivono col pennarello su grandi fogli di carta e li affiggono con lo scotch al muro. Un collettivo di lettere usa questo strumento per ironizzare con garbo sul preside De Nardis, il «censore» delle scritte murali, paragonato ai Pontefice che fece coprire pudicamente i nudi di Michelangelo nella Cappella Sistina. Ma i piccoli sintomi non sono la norma. Le «Brigate rosse» si fanno ancora vive con manifestini autoadesivi affissi alla facoltà di Scienze politiche; il nucleo di «autonomi» più arrabbiato d'Italia è a pochi passi all'Ateneo, alla facoltà di Medicina al Policlinico, dove c'è un ambiente «inaudito, vergognoso, disumano», secondo quanto ha scritto il professor Nicoletti, docente di biologia generale. Le ragioni dei cambiamenti che cominciano a cogliersi negli studenti non sono state ancora analizzate, se ne dovranno forse occupare i sociologi. E' solo certo che non può essere stata l'università così come ancora è a contribuire alla maturazione dei giovani. Settantadue centimetri quadrati a disposizione di ognuno dei 130 mila iscritti (ma a Legge, gli studenti dovrebbero stare in quattro in un metro quadrato), 10 mila laureati l'anno, 10 mila docenti e non docenti in perenne agitazione per mancanza di prospettive, questa è l'università di Roma. «Se l'univer¬ sità continuerà ad essere ingabbiata negli spazi attuali — sostiene il professor Ruberti, il primo rettore eletto in rappresentanza dei docenti progressisti — nessuno sforzo, nessun impegno del personale docente e non docente e degli studenti, per quanto volonteroso possa essere, potrà restituire agli studi l'indispensabile serietà». Per di più «la situazione del personale in alcune facoltà è così grave che lo stato di normalità di qualche altra finisce per apparire un privilegio». Questi sono i due problemi che danno all'università di Roma «una dimensione non più umana», come dice il professor Tecce: la mancanza di spazio e la mancanza della legge di riforma. «Se non sì fa la riforma dell'università, promessa da quindici anni, qui non si campa più». «E' lo sfascio completo, per quanto riguarda le strutture; conferma Rodotà, a Legge l'istituto di economia politica e quello di diritto pubblico non possono più acquistare libri perché i pavimenti non reggono il carico. E noi viviamo di libri e riviste. Gli studenti ci chiedono nuovi seminari, ma Alberto Rapisarda (Continua a pagina 2 in ottava colonna)

Persone citate: De Nardis, Giorgio Tecce, Giovanni Pugliese, Nicoletti, Rodotà, Ruberti, Stefano Rodotà, Tecce

Luoghi citati: Italia, Roma