Quanto costa all'Italia il caviale nei supermercati di Nicola Adelfi

Quanto costa all'Italia il caviale nei supermercati Quanto costa all'Italia il caviale nei supermercati Guardo nella vetrina di un negozio di alimentari, e leggo il peso e il prezzo di un vasetto di caviale russo: 113 grammi, 53 mila lire. Per il dubbio di avere letto male, mi accosto alla vetrina e metto gli occhiali. Sono molti i vasetti di caviale esposti, di varia grandezza, e uno contiene 28 grammi, costa 14 mila lire, mi facilita i conti: 300 lire per un grammo. Ma quel che più mi stupisce è vedere che ora il caviale si trova anche nelle scansie dei supermercati: vuol dire che il suo consumo si va diffondendo sempre più tra gli italiani, nonostante gli energici e concordi appelli all'austerità. Una conferma trovo nei giornali: nel 1975 l'Italia importò 269 quintali di caviale, nel 1976 i quintali salirono a 450 e per il 1977 si prevede un'importazione di circa 775 quintali. E non è tutto. Nessuna statistica può indicare sia pure approssimativamente quante centinaia di quintali di caviale entrano in Italia di contrabbando, specialmente attraverso le vie dell'aria. E' uno scandalo? A dirlo siano i moralisti, mettendo a confronto lo scialo di caviale per un verso e il povero, sguarnito desco di milioni di italiani per il verso opposto. E volentieri lascio ai moralisti il compito di imprecare contro altri lussi eccessivi di noi italiani in un momento come questo. Prendete le Rolls-Royce: costano 46 mi¬ lioni di lire se ci si contenta del tipo più economico, e via via fino a un centinaio di milioni per le più lussuose. Anche per le Rolls-Royce aumenta di anno in anno il numero delle vetture importate e immatricolate in Italia. E vi ricordate tuttora dell'accenno fatto dal presidente Andreotti alla crescente smania degli italiani per le esotiche orchidee? Dirò ora perché non me la sento di -accodarmi alle denunce moralistiche contro coloro che mangiano caviale, pasteggiano con lo champagne, vanno in Rolls-Royce, infiorano mogli e amanti con le orchidee. Scandalizzarmi lo considererei un atteggiamento ipocrita: come se fingessi di ignorare che in Italia sono molti, moltissimi i miliardari. A volte si tratta di denaro guadagnato lecitamente. Però altre volte i miliardi posseduti sono il frutto di operazioni non pulite. Lasciamo perdere i casi clamorosi tipo Sindone. Mi riferisco piuttosto a certe aziende oberate da montagne di debiti e che tuttavia hanno permesso ai proprietari o agli amministratori di accantonare tanti e poi tanti miliardi in luoghi inaccessibili. E ci sono poi i miliardi del crimine, della corruzione pubblica e privata, delle speculazioni fatte su terremotati e alluvionati e di tante altre attività consimili. Sono storie vecchie, ferite sempre aperte, e Io sappiamo tutti. Di solito questa spensieratezza — o, meglio, frenesia — nello spendere da parte dei ricchi viene attribuita alla precarietà della lira e a quel senso di insicurezza che angustia gli italiani di oggi nei riguardi del futuro prossimo. Secondo me, i ricchi, specie gli arricchiti malamente o di recente, sono convinti che gli andrà sempre bene, forse meglio; e si godono la vita come più possono .senza stare a preoccuparsi per il domani. Aggiungerei un diffuso cambiamento di mentalità. Una volta la famiglia veniva pensata come un albero e si sperava, si voleva che crescesse bene, più robusta da una generazione alla successiva: di conseguenza si risparmiava al Pine di dare ai figli e ai nipoti più consistenti possibilità di sviluppo economico e di elevazione sociale. Ma oggi non più: il concetto di famiglia e in via di progressiva disgregazione, sono in molti a dirsi con una scrollata di spalle che è una vera stupidaggine vivere da poveri e morire da ricchi. Se questo mutamento di mentalità sia un bene o un male, sono discorsi che mi porterebbero nel vago e fuori strada. Mi limito a dire che io non nego a nessuno, tanto meno ai miliardari, il diritto di spendere il proprio denaro nei modi preferiti. Però divento molto cattivo quando vado a leggere quel che dichiara al fisco gente notoriamente ricca, ricchissima: spesso si tratta di denunce veramente assurde e insultanti. Lo sappiamo tutti, lo sappiamo da sempre, e sappiamo anche che in genere questi acrobati, illusionisti e prestigiatori fiscali la fanno franca, da un anno all'altro immancabilmente. Anche quando guazzano alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti, nei lussi più scostumati, anche allora riescono a figurare davanti al fisco come nullatenenti o percettori di redditi modestissimi, persino inferiori a quelli di un manovale. Anche davanti a questo immenso scandalo mi tiro da parte, e lascio ai moralisti il compito di sdegnarsi e arrabbiarsi. E lascio agli umoristi il divertimento di fare ridere la gente ricordando le solenni, arcigne dichiarazioni fatte puntualmente da ogni governo appena nato contro le evasioni fiscali, e poi messe a dormire altrettanto puntualmente. Per conto mio, mi limito a riflettere su due aspetti economici, i più immediati ed elementari. Uno è questo: se i ricchi pagassero il dovuto al fisco, allo stesso modo dei lavoratori dipendenti, lo Stato avrebbe i mezzi per calarsi dalle nuvole delle buone intenzioni e affrontare sul solido terreno delle realtà certi problemi sociali particolarmente urgenti e spinosi: penso in primo luogo all'edilizia pubblica e privata, co¬ sì mal ridotta oggi, e che resta pur sempre il più efficiente rianimatore per svariati settori dell'economia. Il secondo aspetto riguarda la bilancia commerciale. Se al posto di caviale, Rolls-Royce, orchidee e altre fatuità analoghe importiamo più agevolmente di ora materie prime e prodotti semilavorati, le nostre industrie avranno più lavoro, e perciò più lavoratori, le nostre merci costeranno di meno sia in Italia sia se esportate. Tiriamo le somme. Le esortazioni al senso civico, come quelle rivolte dal ministro Ossola a « comprare italiano ». sono uno spreco di fiato. E lasciano il tempo che trovano le lamentazioni dei moralisti e le facezie degli umoristi. E allora diciamoci semplicemente che j esistono leggi precise, molto severe, persino di natura penale, per cauterizzare la vecchia e vasta piaga dell'evasione fiscale: se quelle leggi non sono sufficienti, se ne facciano altre di effetto sicuro e sollecito. Questo non è che un esempio tra i molti che si possono fare di quella « politica delle cose », che è probabilmente l'unica politica praticabile in un momento come questo, molto difficile di per sé stesso e reso sempre più imbrogliato da polemiche partigiane. Nicola Adelfi

Persone citate: Andreotti, Pine, Rolls

Luoghi citati: Italia, Ossola