Il 1978 non è ancora l'anno della ripresa

Il 1978 non è ancora l'anno della ripresa QUALI PROSPETTIVE PER I 4 PAESI Il 1978 non è ancora l'anno della ripresa L'Europa non si è ancora risollevata dalla recessione iniziata nel 1973, c il 1978 sembra ricco di nubi minacciose. In un mondo in cui l'economia ha dato risultati conformi alle previsioni più pessimistiche, la situazione europea si presenta particolarmente pesante. Molti Paesi hanno ritoccato, in negativo, le previsioni di crescita e in molti casi sono stati costretti a dimezzare gli obicttivi fissati alla fine del 1976. L'esempio più calzante è fornito dalla Germania, il cui tasso di sviluppo è stato nel 1977 attorno al 2,50% contro il 5% previsto all'inizio dal governo federale in occasione del vertice di Londra. La Germania ha dovuto affrontare molte critiche per questo fallimento, ma la differenza tra promesse e realtà non e poi più grande di quella registrata in altri Paesi europei. In Francia per esempio ci si attendeva una crescita del 4,8%, mentre ora i conti bisogna farli col 2,5% o anche meno. In Gran Bretagna non si è riusciti a superare il 2,2% mentre in Italia lo sviluppo del '77 si crede oltrepassi di poco il 2%. Disoccupati La disoccupazione nei Paesi della Comunità, conseguenza del basso tasso di sviluppo, ha raggiunto i cinque milioni di unità. Tuttavia non preoccupa tanto quanto è successo in questi ultimi mesi, quanto quello che succederà nel '78. Dopo lo sviluppo deludente che ha caratterizzato la seconda metà del '77, i governi si sono trovati nella necessità di ridimensionare gli obiettivi da raggiungere nel corso del 1978. Questo soprattutto perché una crescita del 5% implicherebbe per l'Occidente già essere ora in periodo di forte accelerata. I Paesi dell'Ocse hanno infatti ammesso che se anche venissero raggiunti tutti gli obiettivi fissati per il '78, la crescita per il mondo industriale sarebbe solo del 4,5% nel complesso, meno del 4% se l'aumento del tasso di disoccupazione europeo fosse del 4,5%. In realtà però i Paesi industrializzati d'Europa si trovano di fronte a una recessione che si fa pesante e a una disoccupazione che cresce. Per la Germania federale l'obiettivo ufficiale rimane il 4,5% di crescita, mentre gli ultimi dati dell'Ocse indicano il 3% circa. La Francia vuole ^raggiungere il 4%, ma le previsioni più attendibili parlano di poco meno del 3%. Lo scorso anno si poteva affermare che la differenza tra previsioni e obiettivi non significava che quest'ultimi non potevano essere raggiunti, ma che le politiche governative sarebbero state modificate allo scopo. Oggi non è più possibile fare questo ragionamento. I dubbi sono di due specie. Innanzitutto lo scoglio più grosso per i governi è il riconoscere con sufficiente tempestività che è necessario correggere la rotta. Non c'era infatti alcun dubbio che la promessa tedesca (fatta in maggio) di raggiungere uno sviluppo del 5% fosse soltanto un atto di fede. Si dimostrò un non senso dal momento che i tedeschi presero troppo tardi le misure di rilancio e di stimolo all'economia, sapendo già che i risultati sarebbero stati negativi. La stessa situazione si ripeterà nel '78. La maggior parte dei Paesi crede di aver fatto scelle giuste, con la conseguenza che se poi si accorgono che i risultati non sono quelli sperati, 10 fanno troppo tardi per porvi rimedio. II secondo dubbio è di carattere teorico e riguarda le misure fin qui adottate per stimolare l'economia. I tedeschi sono in Europa gli alfieri di coloro che respingono 11 neo-keynesianesimo. Sostengono che il vecchio rimedio contro la recessione — tagli fiscali e aumento della spesa pubblica — non funziona più. Aggiungono che i continui cambiamenti di politica economica creano incertezza e questa procura dei danni superiori ai benefici che potrebbe dare l'aumento della domanda. C'ò poi il timore che ai primi segni di una politica espansiva le richieste salariali si facciano più pressanti, i costi salgano c alla fine l'inflazione che ne deriva annulli gli effetti delle misure governative. Dal momento che è la Germania è sostenere questa teoria ed è il solo Paese euroropeo che potrebbe stimolare l'economia senza avere dei contraccolpi nella bilancia dei pagamenti, l'interrogativo principale 6 se i tedeschi debbano o non debbano contribuire in maniera più marcata alla ripresa europea. La teoria della « locomotiva », in base alla quale sarebbero la Germania, gli Stati Uniti e il Giappone a trainare verso la ripresa i « vagoni » occidentali, imporrebbe ai tedeschi maggiori responsabilità. C'è stata, a questo proposito, la tendenza a scaricare sulla Germania la colpa delle difficoltà economiche dell'Europa, e a ignorare gli errori degli altri così come il ruolo che gli altri dovrebbero giocare. Tuttavia, anche se fosse vero che l'adozione di una politica di espansione potrebbe stimolare l'economia, e anche se i tedeschi facessero tutto ciò che gli altri potrebbero ragionevolmente loro chiedere, il sistema economico europeo sarebbe quest'anno comunque in difficoltà. La recessione è durata così a lungo ed è stata così profonda che nessun Paese, nemmeno i tre Paesi « locomotiva », potrebbe assumersi l'impegno di tirar fuori l'Occidente dalla crisi. Le previsioni più rosee indicano uno sviluppo tra il tre e il quattro per cento, ed è tardi per cambiare questa prospettiva. La maggior parte dei Paesi della Cee deve rassegnarsi a convivere per alcuni anni con una disoccupazione ai livelli attuali. Il problema è quello di evitare che il declino si accentui nel 1978 e che porti a una crisi su larga scala nel '79, con un tasso di disoccupazione così alto da invocare misure protezionistiche, con il rischio che queste eliminino del tutto le speranze di una ripresa. Se ci sono delle speranze a questo riguardo, esse devono assumere la forma di un programma concertato da lutti i Paesi della Cee, anzi del mondo, così da evitare che si avverino le previsioni che indicano una crescita più lenta nella seconda metà del '78. Infatti se è difficile, perché troppo tardi, fare qualcosa per il '78, si è ancora in tempo per provvedere al 1979. Inflazione La condizione principale sta in un incoraggiamento generale. Una delle caratteristiche di questi ultimi anni è che Paesi tradizionalmente deboli come la Gran Bretagna e l'Italia hanno raggiunto considerevoli risultati per quanto riguarda le rispettive bilance dei pagamenti, sia pure adottando misure interne tali che la disoccupazione, in ambedue i Paesi, ha raggiunto il milione e mezzo di unità. L'Italia nel '77 ha la bilancia dei pagamenti in attivo e l'avrà ancora nel '78 (in misura più accentuata), la Gran Bretagna ha un surplus più esiguo nel '77, ma sarà più consistente (tremila miliardi di dollari) nel '78. Miglioramenti similari si sono avuti sul fronte dell'inflazione. In Gran Bretagna dal 24% del 1975 si è passati al 13% del '77 e si crede di scendere al di sotto del 10 per cento verso metà '78. In Italia l'inflazione ha sfiorato il 19% nel '77 e dovrebbe calare fortemente durante il 1978. In Francia la situazione si presenta un po' meno incoraggiante, perlomeno sul fronte esterno: nel '78 ci si attende un notevole deficit della bilancia dei pagamenti, anche se inferiore a quello registrato l'anno prima. La tesi francese, secondo cui bisogna aspettare che anche gli altri Paesi migliorino prima di adottare misure espansive, è probabilmente valida. In questa prospettiva è la Germania che deve assumere un ruolo centrale nella determinazione delle prospettive europee. Con un'mflazione al 4% ma con una disoccupazione elevatissima, la Germania si trova nella posizione di poter spingere l'espansione. Perché l'economia europea possa continuare a competere nel mondo è necessario fare degli investimenti. Questi sono stati rimandati di anno in anno a partire dal 1973, anno d'inizio della crisi petrolifera. L'orgoglio (relativo) dell'Europa per aver mantenuto il tenore di vita pressoché inalterato è minacciato da vicino da quei Paesi che hanno continuato sulla strada della crescita. E' da ricordare a questo proposito ur.a vecchia barzelletta, quella del giovane pilota che prometta alla madre, alquanto preoccupata, di « volare basso e volare piano ». Come si sa è questo il maggior pericolo che ogni pilota deve evitare se non vuole schiantarsi al suolo ed è anche quello di quei Paesi che determinano il destino economico dell'Europa. I risultati di questa politica (volare basso e piano) diventano più chiari con il passare dei mesi. David Blake

Persone citate: David Blake