Donne unite per cambiare la vita di Silvana Mazzocchi
Donne unite per cambiare la vita I TEMI DOMINANTI AL DECIMO CONGRESSO DELL'UDÌ Donne unite per cambiare la vita Sono affiorate contraddizioni tra autonomia e organizzazione, tra privato e politico - Nella proposta finale appaiono, però, insieme con la lotta per il lavoro, il rapporto con le istituzioni, la famiglia, la sessualità e l'« io persona » che ogni donna vuol riconquistare - E c'è chi pensa che il processo di evoluzione e d'intreccio con le femministe sarà inarrestabile Roma, 22 gennaio. Migliaia di donne con la loro rabbia, il loro bisogno dì discutere se stesse e la propria vita privata intrecciata alla dimensione politica. Un'anima viva popolata di migliaia di contraddizioni individuali si è espressa per quattro giorni al palazzo dell'Eur dove si è svolto il decimo congresso dell'Udì, — Unione donne italiane — la più antica organizzazione femminile. A chiusura dei lavori, però, l'anima vecchia è risorta: approvato all'unanimità lo statuto e la proposta politica finale, è stato come se un guscio, un involucro di vecchio stampo avesse riavvolto e ingabbiato la spinta verso «l'autonomia» che duemila donne delegate avevano respirato. L'involucro ha preso forma: il nuovo comitato nazionale dell''«Unione» sarà composto da 180 donne e cinquanta sono state elette già questa mattina: tra loro ci sono le dirigenti di sempre, donne dalla doppia militanza ufficiale, onorevoli e senatrici della sinistra storica. Le altre saranno nominate dai congressi provinciali che si svolgeranno a fine febbraio. «Il sogno è finito», ha com- mentalo una giovane delegata non iscritta. Viene da Martina Franca, un paese vicino a Taranto. Aveva proposto un emendamento allo statuto all'articolo tre: accanto alla testata «Noi donne» offerta come «principale strumento di formazione e d'informazione» aveva suggerito di aggiungere: «e tutta la stampa femminista». Messo in votazione, l'emendamento è stato bocciato. Alzando la mano, munita di tessera (il voto era riservato alle iscritte) il volto dell'Udì è apparso compatto e le stessa omogeneità si è ripetuta per bocciare o approvare altri emendamenti presentati per gli otto articoli dello statuto. La sala gremita di donne di tutte le età, dopo i quattro giorni di apertura e dibattilo, si è ridivisa secondo lo schema di sempre: da una parte le donne legate ai partiti, al sindacato, alla vita politica; dall'altra la minoranza delle «diverse»: alcune provenienti dagli «incontri aperti» con i quali l'Udì aveva preparato il Congresso, qualcuna impegnata nei collettivi femministi, delegata o semplicemente ammessa in platea. «La pratica femminista entra in contraddizione con il concetto che l'Udi ha di sé — commenta una militante di un collettivo romano — e il congresso dell'Udì ha provato che il "gap" non è ricomponibile a breve scadenza». Eppure nell'«Unione» qualcosa è successo; i due nodi fondamentali presenti nella relazione introduttiva di que- j sto congresso, e ribaditi durante i lavori dei venti gruppi delle delegate, sono riusciti a fare capolino anche j nei documenti conclusivi. La necessità di essere autonome dal vecchio modo «maschilista» di fare politica e di ritrovare la propria «specificità» di donne e ancora l'intreccio tra liberazione individuale ed emancipazione, tra privalo e polìtico. Sono stati i temi più dibattuti, motivati dalle donne con discussioni vivissime, «he operaie dell'Unidal che stanno perdendo il posto di lavoro hanno come primo bisogno quello di conservarlo o quello di essere felici sessualmente?», si chiedeva una delegata militante della Firn, optando per il problema del lavoro e quindi per la necessità di rimanere collegate alla vita «politica». Dal palco però, oggi, prima delle votazioni, una giovane donna ha raccolto un mare di applausi con la tesi opposta: « Sono contro la doppia militanza — ha esordito —. Perché se una donna lavora in un partito o in un sindacato, vuol dire che accetta la politica maschilista e allora — ha chiesto — se sta anche nell'Udi, come fa a rappresentarmi nel modo giusto, cioè solo come donna? ». Ha replicato Franca Foresti: « Il problema dell'autonomia è per noi politico e non organizzativo, ma non si può rifiutare per statuto in permesso aVn doppia militanza ». Nella « proposta politica » che il congresso ha elaborato si sono ritrovati i temi del dibattito: dalla crisi « che per noi donne significa subire il restringimento degli spazi conquistati », al tema dell'aborto, contro la clandestinità, ma per il diritto alla vita. E ancora il lavoro, come problema centrale delle lotte delle donne, il rapporto con le istituzioni, ma anche di nuovo quelle dell'autonomìa dei partiti che regolano questo rapporto E la vita privata: la famiglia, la sessualità, lo scontro con il « maschilismo » della nostra società: l'« io persona » che ogni donna vuole riconquistare tra mille contraddizioni, ma con la forza della ragione. Privato e politico intrecciati, presenti nell'Udi da qualche anno nella vita stessa delle donne dell'associazione i temi che forse hanno allontanato alcune vecchie militanti, ma che ne ìianno conquistate migliaia di nuove, giovani e spesso giovanissime che si avvicinano all'organizzazione perché « pur tenendo conto delle diverse realtà del movimento femminista », non sanno rinunciare al fascino che l'Udi emana grazie ai suoi trentatré anni di lavoro e di lotte. Fuori dal congresso, le critiche che dentro il Palazzo si esprimono pacatamente, si fanno più profonde. «L'Udi aveva detto che non era necessaria la tessera per partecipare — hanno protestato le femministe della « casa della donna » di via del Governo Vecchio alla quale fa capo V "Mld" — e invece ci hanno lasciato fuori ». Ha aggiunto Marisa Poglìani della segreteria nazionale del « Movimento di liberazione della donna »: « L'Udi è una trappola per donne in buona fede. Tentano di far confluire in una grande organizzazione i rivoli — come dicono loro — del femminismo. Non è questa una logica prettamente maschile? ». Nelle considerazioni delle donne militanti che non hanno partecipato al congresso riemerge quanto sia insanabile — almeno per ora — la contraddizione esistente tra la pratica femminista e l'organizzazione proposta dall'Udi. «Sigle, federazioni, statuti, tessere, deleghe, piattaforme sono estranee alle compagne del Movimento — afferma Eia Mascia del collettivo di via Pompeo Magno, uno dei più vecchi di Roma —, io personalmente non sono andata al congresso per non essere strumento di avallo numerico o anche solo di "consenso" ad un'operazione di stampo partitico. Il congresso ha invitato alla costruzione di un forte movimento delle donne; è quello che noi femministe auspichiamo da sempre, ma diffidiamo della formula populista dell' "unità a tutti i costi" ». C'è però anche chi pensa che, nonostante l'Udi sia riuscita a riavvolgere nel vecchio involucro tutto il suo rinnovamento interno, il processo di evoluzione e d'intreccio con le femministe sarà inarrestabile. « Dopo un congresso come questo — diceva oggi una giovane donna prima delle votazioni — l'Udi deve sapere che a qualsiasi conclusione, proposta o statuto si arrivi, si tratta soltanto di una soluzione transitoria. Domani potrebbe essere rimesso tutto in discussione ». Silvana Mazzocchi necessità di essere autonoorganizzazione i rivoli
Persone citate: Franca Foresti, Marisa Poglìani, Mascia
Luoghi citati: Martina Franca, Roma, Taranto
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