Rotte le trattative fra Egitto e Israele di Vittorio Zucconi

Rotte le trattative fra Egitto e Israele Definitivamente naufragata l'iniziativa di pace? Rotte le trattative fra Egitto e Israele Dopo l'anticipato rientro al Cairo del ministro degli Esteri egiziano e il duro discorso di Sadat al Parlamento, Begin ha sospeso anche i negoziati militari - Resta Pesile speranza della presenza diplomatica Usa (Dal nostro inviato speciale) Gerusalemme, 22 genti. Dopo la rottura delle trattative politiche di Gerusalemme decretata da Sadat, il governo israeliano ha deciso oggi la sospensione dei negoziati militari sul Sinai. Lo ha deliberato questa mattina in tre ore di intenso dibattito, e nonostante l'opinione contraria del protagonista degli incontri militari con l'Egitto, il ministro della Difesa Eze Weizman. Così anche l'ultimo vestigio dell'apparato diplomatico creato il giorno di Natale ad Ismailia fra Sadat e Begin, e tenuto formalmente in vita per esplicita preghiera di Carter, viene questa sera « congelato » a tempo indefinito. Solo un anello tiene ancorata la speranza della pace: il sottosegretario di Stato americano Atherton, lasciato da Vance in Medio Oriente per tenersi a disposizione delle parti, a conferma anche simbolica del ruolo ormai essenziale svolto dagli americani. « Di fronte alla situazione creata dal governo egiziano il governo di Israele ha deciso — sta scritto nel comunicato emesso da Begin — di posporre la data della partenza della delegazione diretta al Cairo per discutere le questioni militari. Nel prossimo futuro, il governo di Israele riesaminerà il problema dell'eventuale partenza della delegazione ». La forma data da Begin al « no » è dunque ancora una volta possibilista ed evita, come ha fatto lo stesso Sadat quando ha richiamato il suo ministro da Israele, di dare il « colpo di grazia » ai colloqui di pace. Ma anche qui, seguendo una prassi che sembra ormai consolidarsi, Begin ha compensato con l'asprezza delle parole questo rifiuto di assumere posizioni senza ritorno, accusando Sadat di avere tenuto ieri sera « un discorso estremista ed aggressivo » rivolgendo ad Israele « una serie di ultimatum totalmente inaccettabili ». « Speriamo — ha aggiunto Begin — che il governo egiziano agisca in futuro per prevenire la ripetizione di dichiarazioni ingiuriose per la dignità del popolo e della nazione ebraica », astenendosi da « campagne di vilificazione ». I due leaders continuano dunque a pretendere l'ultima parola nella guerra delle invettive, cominciata dalla rivista egiziana October che definì Begin « Shylock », dal nome dello strozzino ebreo di Shakespeare, e ampliata da Begin con un infausto parallelo storico fra la autodeterminazione dei palestinesi e quella dei Sudeti cecoslovacchi' del '38. Nella quale è facile leggere una possibile analogia tra gli arabi di oggi e i nazisti di ieri. Troppo, se già non bastassero i problemi di fatto terribili, intervengono anche incidenti pretestuosi per eccitare la naturale litigiosità dei contendenti. E domani è previsto un dibattito alla Keneseth con l'intervento di Begin che rischia di alimentare altre reazioni. « Parlano troppo », ha dovuto riconoscere lo stesso Jimmy Carter. La questione che ci si pone oggi riguarda naturalmente le prospettive aperte — o chiuse — degli avvenimenti di questa settimana. Il discorso di Sadat, anche rileggendolo a vpntiquattr'ore di distanza, sconcerta più di quanto chiarisca. Insieme aperturista e ultimativo, pieno di messaggi indirizzati a terze parti, agli Usa (richiesta di armamento pari a quello israeliano), all'Urss (.«gli stupidi sovietici» che lo avrebbero sabotato), alle altre nazioni arabe, ha riproposto il paradosso classico della crisi mediorientale, che ci si illudeva il viaggio in Israele avesse spezzato: l'offerta di fare la pace, a condizioni che sono già state respinte. L'interpretazione che in Israele si dà del discorso è pessimistica ma non catastrofica. Le richieste di ritiro totale avanzate da Sadat sono inaccettabili e il governo diffonde i risultati di un sondaggio secondo il quale, per lui molto opportunamente, il 71 per cento degli israeliani non vuole a nessun costo il ritorno alle frontiere del '67. Eppure è vero «che ha lasciato aperta la porta della pace», \ come ha ripetuto il segretario di Stato Vance dicendosi, sull'aereo che lo stava riportando a Washington stasera, pronto a ritornare in Medio Oriente anche il mese prossimo. Da più parti giungono indiscrezioni che accrescono il mistero di questa crisi: si dice ad esempio che, quando Sadat ha rotto, un'intesa sulla dichiarazione finale di principio Egitto-Israele fosse ormai vicinissima. In questo quadro, una ripresa a breve scadenza di trattative solenni e fastose come quelle fallite questa settimana appare da escludere. Tra suscettibilità troppo acute, rimbalzi di polemiche, e il problema di negoziare sotto gli occhi di altre nazioni assenti fisicamente ma coinvolte nelle questioni in causa (Siria, Giordania, ecc.) Sadat e Begin potrebbero seguire il consiglio di Kissinger e portare le loro dispute ad un livello più riservato. Vittorio Zucconi