L'Italia non sa ridere delle sue imperfezioni di Benedetto Marzullo
L'Italia non sa ridere delle sue imperfezioni La satira e l'anatomia del Paese L'Italia non sa ridere delle sue imperfezioni « Satura quiuVm tota nostra est », proclamava soddisfatto Quintiliano. Rivendicava il genere all' « italico aceto », nulla di corrispondente trovava nella cosmopolitica civiltà greca. E tuttavia gran parte della commedia attica, buona metà di Aristofane, non è che satira sfrenata, incalzante parodia politica. L'umorismo latino e in verità puntuale, realislico, legato al quotidiano: rischia di esaurirsi nel bozzetto caricaturale, in personalistiche petulanze, di consumarsi nel grottesco. E' interessato al singolo, manca di idealità, sia morale sia strutturale. Si direbbe il sorriso, più maligno che malizioso, del suddito. La vecchia commedia greca 6 prevalentemente allegorica: essa non aggredisce e conlesta, non deforma semplicemente. E' sempre mossa da un grandioso istinto metaforico: al di là del farsesco, costruisce un mondo nuovo, utopistico ma purificato. Bisognerà attendere la Riforma, perché il riso torni ad essere arma del cittadino, strumento non solo punitivo ma progettuale. E' in Inghilterra che già nasce il « pamphlet » nel XIV secolo, sarà nell'Europa costituita in libere nazioni che la satira civile e politica ha ragion d'essere, di lussureggiare. L'Italia, malgrado gli umori, più spesso gli afrori di un Arclino, e destinata al conformismo: ad un riso episodico, popolaresco. Salvo sporadici bagliori (di età illuministica), attinge a quella primordiale vena, gloriata da Quintiliano: ma tuttavia obbligata alla contingenza, al « particulure ». Le « Pasquinate » coerentemente procedono su questa umile strada, il Porta e il Belli, meno ancora Trilussa, la nobilitano ma non riscattano. Dalla commedia dell'arte alla più corriva commedia all'italiana, corre un unico filo: tenue quanto giocoso, raramente caustico. Predomina l'elemento buffonesco, il riso si rivela fine a se stesso, non di rado blando, ma compiaciuto specchio della propria imbecillità, dell'altrui nequizia. L'impulso satirico rimane germinale, frammentario. Non si coagula in un organico, implacabile quadro: manca di autentica indignazione, di riformistica istanza. Ignora l'eticità, ripiega sul costume. Diguazza nelle paludi comportamentali, non si propone, neppure sospetta orizzonti rivoluzionari. Avvertiamo oggi un patetico risveglio dello spirito satirico: si esprime più con i mass-media, che con la tradizionale letteratura. Il linguaggio visuale più abilmente dissimula, nella sua rutilanza, difetti di programma o di convinzione. II messaggio sensorio scavalca i consueti filtri intellettuali, si propone quale cultura autonoma, conseguentemente anomala. In realtà di facile consumo: sia la caricatura, sia gli artificiali prodotti del cinema e della televisione, tendono a bruciare istantaneamente, non sopportano seconda lettura, rifuggono dalla meditazione. « Forza Italia », per questa sua natura, storica e costitutiva, non riesce ad essere né satira né pamphlet, si esaurisce nel « divertissement », fortunosamente, più spesso abilmente assemblato. Resta inchiodato alla cronaca, neppure si azzarda all' « anatomia di un regime». Immobile, ossessivo bersaglio resta infatti l'Italia democristiana, nel suo lutulento, increscioso farsi, nel suo rozzo, protervo pascersi. Manca però l'altra faccia del pianeta: se discutibile sembrò identificare l'infausto ventennio con il solo fascismo, altrettanto arbitrario se non improponibile, è ripercorrere un'Italia solo abitata da tribù pretesene. Angoscia il ricordo (per i giovani, numerosissimi in sala, del tutto ignoto) di questa pagliaccesca conquista del potere, mortificano balcaniche improntitudini, inesauribili quanto astute melensaggini. Ne risulta un'Italia troglodita, tanto più inaccettabile quanto più vere le immagini che la descrivono. Il film si dichiara costruito con « materiali visivi e sonori rigorosamente autentici »: ripescati negli archivi, non di rado nei rifiuti. Ma la parzialità, la faziosità delle scelte Io rende inattendibile. Godibilissimo è il perfido montaggio, la furbesca interpolazione di demistificanti immagini, il pungente controcanto sonoro. Troppe ed ingenerose sono tuttavia le lacune: ad allucinate sequenze di Pio XII, ad inquietanti visioni di Paolo VI, non si affianca il ricordo liberatorio di Papa Giovanni. Sconcerta De Gasperi, ridotto ad un incerto ladruncolo. Ma intollerabile è la totale assenza dell'altra Italia, quella non irreggimentata. Con il suo vigile sforzo, le sue cruente lotte, ha impedito clic diventassimo (a dispetto dei santi) una squallida provincia dell'impero: quale il film, con oscuro masochismo, tende a descriverci. Esilaranti, più spesso goliardiche immagini non fanno né storia né satira: producono spettacolo, sostanzialmente fuorviarne. Benedetto Marzullo
Persone citate: De Gasperi, Immobile, Paolo Vi, Papa Giovanni, Pio Xii
Luoghi citati: Europa, Inghilterra, Italia
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