Perché «non gradiscono» il pci

Perché «non gradiscono» il pci DIETRO IL «NO» AI COMUNISTI NELLA MAGGIORANZA Perché «non gradiscono» il pci II parere di alcuni parlamentari che rappresentano uno dei filoni rinnovatori della de - Mazzotta: "Il pei tende a diventare la forza centrale di un nuovo regime e respinge il metodo dell'alternanza e delle pluralità" - Per Gerardo Bianco sopravvivono "troppi dottrinarismi e ambiguità" - Altre dichiarazioni Bisogna andare indietro un bel pezzo con gli anni per ritrovare, nella democrazia cristiana, la stessa monolitica compattezza mostrata la scorsa settimana di fronte alle insistenti sollecitazioni per un governo di emergenza con i comunisti. Ma, al di là della ritrovata unanimità, che cosa si nasconde dietro la netta intransigenza verso l'ingresso del pei nella maggioranza? Le inquietudini e i timori, spesso «gonfiati» e talora irrazionali, degli anni della guerra fredda, o la serena, lucida analisi delle caratteristiche e dei limiti di quel partito? Per cercare di scoprirlo, siamo andati ad intervistare alcuni parlamentari che, pur tra diverse sfumature, rappresentano uno dei filoni rinnovatori della de. «Non ci troviamo certamente più di fronte — dice Roberto Mazzotta. uno dei «poli» della de milanese — ad un partito comunista di tradizione rivoluzionaria, ma questo è vero fin dall'inizio della vita della Repubblica e non rappresenta una novità. Quello che con altrettanta sicurezza si può dire è che il pei, pur essendo in evoluzione, non ha ancora messo in moto un vero processo di revisione ideologica, di aggiornamento programmatico, di modificazione delle proprie strutture organizzative». Quale forza Qual è allora il tipo di evoluzione che il pei sta subendo? «A mio avviso — dice Mazzotta — il pei tende a diventare una grossa forza social-nazionale, direi di più, la forza centrale di un nuovo regime». Il parlamentare milanese individua due «pericolosi elementi» che navigano al di sotto delle posizioni di «apertura tattica» del partito comunista: il primo è la tendenza a costituire sistematicamente larghi schieramenti unitari, cioè «a detestare e a guardare con sospetto la dialettica democratica tradizionale e il metodo dell'alternanza e della pluralità delle forze». Lo strumento per realizzare queste larghe unità — dice Mazzotta — «è il vecchio strumento caratteristico delle forze non pluraliste, l'invenzione del "nemico oggettivo"; ossia, in ogni fase della vicenda del nostro Paese si stabilisce quale deve essere l'avversario, il nemico da abbattere, e si sottolinea l'esigenza di far fronte comune, eliminando le differenze che invece sono l'anima della vita politica di una nazione. Prima il "nemico oggettivo" è stato il fascismo, oggi è la crisi complessiva del Paese: l'uno e l'altra esistono certamente, ma il pei li usa per l'appello ad un patto unitario che, lo sa bene, finirebbe per essere subordinato alla sua strategia complessiva del compromesso storico». L'altro «pericoloso elemento» è, secondo Mazzotta, «la completa estraneità del pei ad ogni corretto e concreto ragionamento in chiave europea, la sua mancanza di sensibilità sovranazionale, anche nella più recente formulazione eurocomunista». In definitiva, esso si preparerebbe a svolgere nel nostro Paese un triplice ruolo: «Un ruolo di forza d'ordine nei confronti di una situazione esplosiva che — è bene ricordarlo — esso ha contri¬ buito a rendere tale. Un ruolo di repressione rispetto alle tensioni sociali che — non va neppure dimenticato — nascono dalla crisi economica anche per le contraddittorie iniziative delle sinistre. Infine un ruolo di guardiano, per un ritorno a concezioni protezionistiche e di chiusura nei confronti del libero rapporto con il resto del mondo. Con un tal parti- to, la de non può, in questo | momento, accettare una cogestione del governo». Revisione Per Gerardo Bianco, vicepresidente vicario del gruppo parlamentare democristiano alla Camera, il processo di aggiustamento di questi ultimi anni ha indubbiamente avvicinato il partito comunista alle realtà nazionali, ben più di quanto avesse fatto la mediazione diplomatica di Togliatti. Ma se la prassi politica del pci è andata molto avanti, altrettanto non si può dire del bagaglio culturale ed ideologico che fu il presupposto della scissione di Livorno del '21 e che è rimasto anche nel partito riformato dalla mediazione gramsciana; per cui dottrinarismi e ambiguità continuamente riaffiorano, come dimostrano, ad esempio, le recenti sortite del presidente Longo. « Ciò che noi chiediamo al pci — dice Bianco — è che anche la teoria, e non solo la prassi, sia sottoposta a revisione, perché altrimenti qualsiasi sviluppo in senso democratico finisce per essere un fatto puramente tattico ». Guardiamo — sostiene Bianco, per spiegarsi meglio — alla struttura interna del pci. « che è una struttura burocratico-accentratrice da comunismo di guerra, ed è stata capace di digerire tutto, lo stalismo prima e l'antistalinismo poi, e che sarebbe pronta a digerire, suppongo, anche nuove forme di autoritarismo ». Al di là dei passi, spesso « precipitosi », compiuti negli ultimi tempi, resta poi la costante del «principio dogmatico della conquista del potere ». Mario Segni, figlio dell'ex presidente della Repubblica scomparso, rivolge la sua attenzione soprattutto, al di là delle questioni ideologiche e delle formule, « alle reali disponibilità del pci ». Per esempio: « La nostra situazione economica — dice — richiede un deciso e duro intervento per ridurre la spesa pubblica e riassestare il mercato del lavoro, ridandogli la necessaria mobilità e riducendone i costi. Ebbene, che cosa è pronto a fare il : I pci? Non mi pare che le prime sue reazioni a certe ipotesi, come quella della "agenzia del lavoro", possano essere giudicate positivamente ». Per capire se l'evoluzione del pei va avanti, bisogna, secondo Segni, pretendere sempre da esso posizioni di assoluta chiarezza: « Per quanto riguarda i temi internazionali — egli dice — il | pci deve, ad esempio, ancora : dimostrare nei fatti di esseI re europeista: perché essere europeista significa consentire una politica di rilancio della libera iniziativa, in quanto il Mercato Comune è un mercato di libera iniziativa ». Con Franco Mazzola, deputato di Cuneo, il discorso si sposta dall'analisi del pci a quella dei rapporti tra de e pci. «Si tratta — egli dice — di forze alternative nello sviluppo del Paese, e quindi qualunque forma di alleanza politica tra loro condurrebbe sostanzialmente ad un regime teso a chiudere, anziché allargare, gli spazi di libertà e a criminalizzare inesorabilmente il dissenso; un regime che poi, in sostanza, sarebbe egemonizzato dal pci e si trasformerebbe in una sorta di democrazia consociativa ». Allo stato attuale delie cose, ribadisce Mazzola, c'è spazio solo per un incontro su punti specifici, allo scopo di uscire dalla crisi: « Se il pci non ac¬ cetta, allora si andrà alle elezioni, ma ci si andrà — questo sia chiaro — non per una nostra pregiudiziale ideologica, bensì sulla base della constatazione che, sulle cose concrete, il pci non è cambiato per nulla e resta un partito leninista ». Potrà, però, cambiare qualcosa a medio o a lungo termine? « Io non credo proprio — è la risposta del senatore Arturo Pacini, lucchese — in quanto l'evoluzione dei rapporti tra de e pci non può né potrà mai alterare quelle che sono le distinzioni di fondo per quanto riguarda i problemi della società nel suo complesso, della libertà, della democrazia». Una intesa di governo con il pci, secondo Pacini, «potrebbe compromettere seriamente la possibilità di recuperare il Paese dalla crisi, perché sarebbe essa stessa un'ulteriore elemento di crisi, nonché un pericolo per le istituzioni democratiche ». In prospettiva, però, « tutta la de, salvo qualche frangia, si auspica una evoluzione del partito comunista tale che lo renda pienamente utilizzabile nel sistema italiano ». E' questa l'opinione del deputato parmense Andrea Borri, il quale insiste per « forme di contatto politico, quale è quella del confronto, allo scopo ultimo di avere nel pci, appunto, il secondo polo democratico ». Carlo Sartori Tra de e comunisti spunta anche Carter (disegno di Franco Bruna)

Luoghi citati: Cuneo, Livorno