La famiglia non si tocca!

La famiglia non si tocca! La famiglia non si tocca! Un dizionario d'italiano che fosse compilato oggi, alla voce «benpensante» rimanderebbe il lettore a «Vito Scalia». E' il nome, come tutti sanno, dell'onorevole democristiano autore della recente interrogazione al ministro competente a proposito dei temi «contro la famiglia» dati agli alunni da una professoressa romana. Senza entrare nel merito della questione, di cui si sono già occupati i giornali, viene facile notare come ogni volta, nel nostro Paese, i crociati non manchino mai quando si tratta di simili argomenti. La famiglia, poi, è un nervo scoperto: guai a toccarlo, subito provoca un gemito. Eppure sappiamo tutti in quali condizioni versi questo istituto, e non solo in Italia. Da decenni i parroci tuonano dai loro pulpiti che la famiglia è in disgregazione, gli insegnanti ne lamentano il disservizio, i sociologi stilano i certificati di morte. Ma poi basta un tema in classe, che inviti gli studenti a discuterne, e si scatena il finimondo. Altro che decreti delegati! Ogni tanto sembra di tornare ai tempi di Sceiba e dell'onorevole Scalfaro. Insomma, qui si corrompe la gioventù. La quale gioventù sa benissimo come stanno Is cose, con buona pace di tutti i provveditori del mondo, perché le aule scolastiche sono ormai gremite di figli di separati, di divorziati, di risposati e di coppie in crisi. Nessuno di loro ha un babbo (come ai tempi miei) che ispeziona il Diario sfilandosi la cinghia dei pantaloni. Anche perché i genitori sono usciti per andare al cinema, e la baby-sitter guarda la televisione. Ma queste cose non sta bene dirle, anche se sono vere, visto che la «composizione in lingua» rimane pur sempre un grande invito alla mistificazione. E se l'allievo si rifiuta di mentire, di stare al gioco, immediatamente è lo scandalo. Forse soliamo gli spagnoli ci battono, in queste battaglie di retroguardia. Viviamo nella nazione più sconvolta d'Europa, ma si vorrebbe che la mamma, la maestra, la famiglia, fossero là immobili ed eterne come santini sul comò. Certo, è mollo bello il giorno di Natale riunirsi tutti quanti a tagliare il panettone. Ma finita la festa è un «rompete le righe» che dura tutto l'anno. Anzi, forse è cosi bello perché dura pochi giorni. «Nonna, prendine ancora!». «No, io, grazie, dallo allo zio...». E la settimana dopo via come lepri, chi s'interessa più della nonna o dello zio fino al prossimo Santo Stefano o del ricovero in ospedale. Tanto si sa che la famiglia si è sempre retta su una convenzione: che la consanguineità (cosa quanto mai occasionale) sia in sé un fatto positivo, un legame da celebrare, un impegno di buoni sentimenti. Lo era nella civiltà contadina, non lo è più nella società industriale. Quando io ero bambino, dei genitori si rideva dietro lo schermo della mano. Adesso invece di ridere si dice al babbo: ma che cavoiate dici? E non importa se gli restano gli spaghetti sulla punta della forchetta. Questa è la realtà di tutti i giorni, addirittura banale. Lo straordinario è che ci siano ancora dei politici che la ignorano. Invece dovrebbero guardare all'estero, dove i ragazzi, appena sedicenni, lasciano la famiglia e vanno a stare Ira loro (ebbene sì, anche le fanciulle!) in Paesi ordinati e civili come l'Olanda o la Francia, non dico la Svezia o la Danimarca. Ma i figli, si sa, da noi sono considerati un investimento seni timentale, obbligazioni, azioni privilegiate. Fa niente se rendono un accidente anche loro, l'importante è sedersi insieme attorno a quel sacro desco. Fa niente se la mamma ha una relazione nota anche alla portiera, fa niente se il babbo pensa solo a leggere il suo giornale, quello che conta è il rituale: buon appetito! L'ipocrisia è stata da sempre il cemento naturale di ogni convivenza, e specialmente delia iumiglia. Ma la spallata del Sessantotto è stata davvero una svolta storica. Non per la scuola, ma per la famiglia, perché sono mutati, e in modo irreversibile anche se tornasse il fascismo, i rapporti d'autorità. Ricordo che a diciott'anni, per essere rincasato dopo la mezzanotte, fui lasciato da mio padre a dormire sul marciapiede, mentre mia madre mi vegliava con amorevole sguardo affacciata alla finestra. Dirà qualcuno: quelli sì, che erano padri! Però io in quel momento mio padre l'avrei scannato. Vi sembra bello che un figlio lo pensi? Così nel Sessantotto i nostri ragazzi vendicarono anche noi, Carlo Castellaneta (Continua a pagina 2 in prima colonna)

Persone citate: Carlo Castellaneta, Scalfaro, Vito Scalia

Luoghi citati: Danimarca, Europa, Francia, Italia, Olanda, Svezia